In nome di cosa? Il mondo al tempo del Covid tra sicurezza, privacy, diritti e tecnologia

Nel disperato tentativo di rimettersi in pista, le compagnie aeree e alcuni operatori turistici hanno pensato ad alcune soluzioni per tornare a volare e tra queste c’è sicuramente l’idea dei voli “Covid free”. Basterebbe a ciascun passeggero il rilascio di un Passaporto digitale, ovvero un documento che certifica al titolare di essere negativo dopo un tampone recente. Questo common pass, dopo molte pressioni da parte di Christian Solinas, governatore della Sardegna, e appoggiate in particolar modo dal presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci, è in fase di sperimentazione.

Non solo in Italia si percorre questa strada, ma anche altri paesi a vocazione turistica come Grecia e Croazia spingono per attivare questa soluzione, costi quel che costi, per far ripartire il sistema turistico che, senza dubbio, è quello maggiormente colpito dalle restrizioni e dai divieti stabiliti come misura di prevenzione dal contagio del Covid-19.

Chi sta andando spedita, quasi come non ci fosse un domani, è l’Estonia che sta già sperimentando il Passaporto di Immunità Digitale in cui vengono raccolti, archiviati e messi a disposizione di terze parti dati sensibili anagrafici, medici e altro di persone comuni.

Associato a questa infinita catalogazione di dati sensibili in mano a sconosciuti c’è anche il Face Boarding, una tecnologia già in uso in Italia in alcuni voli interni che consiste nel riconoscimento facciale rilevato da un dispositivo elettronico che, riconosciuto l’individuo, risale istantaneamente alla sua scheda anagrafica e sanitaria permettendone o meno l’imbarco. Questa attività di riconoscimento facciale, subdolamente, è già molto diffusa se pensiamo ad esempio ai termo scanner che vediamo all’ingresso di hotel o centri commerciali. Questi dispositivi, oltre a misurare la temperatura corporea, scattano una foto che viene conservata sulla memoria di pc di privati cittadini, allegando data e temperatura rilevata.

Secondo la rivista “Nature”: “qualsiasi tipo di documentazione che limiti le libertà individuali sulla base di dati biologici rischia di diventare una piattaforma per restringere i diritti umani, minacciare la salute pubblica (anziché proteggerla) e aumentare la discriminazione razziale”. La discriminazione, che può essere anche di carattere religioso o sessuale, è un rischio tangibile già accentuato in questi ultimi mesi. Infatti in alcune parti del mondo sono aumentate le discriminazioni nei confronti degli asiatici; in Cina invece si è registrato un aumento importante di discriminazione nei confronti degli africani.

Insomma, farsi delle domande sui pro e contro di questo tipo di pratiche tecnologiche a bassa tutela di diritti e privacy sarebbe lecito, tuttavia sarà inutile fare dibattiti perché la direzione, che sia per decisione di qualcuno o semplicemente per inerzia, è già stata presa e sappiamo che se oggi avremo bisogno di una tessera o di un chip per poter andare in vacanza o al cinema, domani questo sarà richiesto anche per ogni minimo spostamento, cure mediche, studi universitari, fino all’acquisto di beni di prima necessità.

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