“Da questo Sinodo tornerò nel mio paese piena di entusiasmo, di idee nuove, e soprattutto con la consapevolezza di quello che le chiese possono fare in tema di accoglienza del prossimo”.
Dora Kanizsai-Nagy è la responsabile del settore rifugiati della chiesa riformata di Ungheria, per la prima volta a Torre Pellice a seguire i lavori dell’assemblea. Sempre con le cuffie per la traduzione simultanea in testa per non perdersi una parola del dibattito, la incontriamo in una pausa nel cortile della casa valdese e con lei proviamo a ragionare sui differenti approcci, ma prima ancora sulle differenti consapevolezze che accompagnano il tema dell’accoglienza dei migranti.
“Guardo con grande attenzione al grande calore, al trasporto che pervade il dibattito del vostro Sinodo in tema di immigrazione, che nonostante i numeri emergenziali di questi mesi, di questi anni, viene vissuta sempre e ancora come occasione di arricchimento, non solo di assistenza cristiana. La forza aggregativa di iniziative quali “Essere chiesa insieme” mi pare contagiosa, un ottimo mix di accoglienza e di evangelizzazione, temi che sono fra i cardini anche della nostra chiesa, ma che noi fatichiamo ad attuare. La nostra azione risulta quindi carente dell’aspetto teologico, e dobbiamo imparare a far convivere meglio accoglienza e predicazione. Per questo momenti come questi sono per me di estrema utilità da cui riparto con grandi speranze”.
Dora è stata premiata nel 2013 dall’Eurodiaconia per le sue attività a favore dei migranti, e la chiesa riformata di Ungheria conta circa 620 membri e 1535 pastori, numeri assai più elevati rispetto alle nostre comunità, eppure ci racconta “è raro che le chiese siano coinvolte in progetti sociali così spinti, coraggiosi, capaci di andare oltre le distinzioni fra rifugiati e profughi, improntati sull’accoglienza cristiana a prescindere”.
Anche le priorità paiono differenti fra Italia e Ungheria per vari motivi, soprattutto “perché chi arriva in Italia lo fa via mare e il vostro è il primo suolo europeo che tocca, dopo un drammatico viaggio su carrette, ultima tappa di un lunghissimo pellegrinaggio fra deserti e zone di guerra. Chi arriva in Ungheria ha già impattato l’Europa, in Grecia, nei Balcani, e se giunge da noi è quindi non solo per passare oltre, ma anche per fermarsi, per provare a rifarsi una vita. E qui arriva l’enorme problema della lingua ungherese, così differente dalle altre di radice latina, e con un basso tasso di popolazione che parla inglese. Diventa quindi assolutamente prioritario per noi iniziare immediatamente con un’infarinatura della lingua, anche solo per poter soddisfare i bisogni primari dei rifugiati, ed il nostro centro di accoglienza di Budapest proprio di questo si occupava”.
Dora parla al passato perché la struttura, capace di ospitare decine e decine di migranti, di iniziare con loro un percorso di apprendimento per i più grandi, e di inserimento scolastico per i più piccoli, proprio in questi giorni ha dovuto chiudere per carenza di fondi: “Proprio così, non sono arrivati i promessi fondi europei che dovevano garantire le attività della seconda parte dell’anno, per cui abbiamo dovuto sostanzialmente bloccare i progetti, anche se non abbiamo chiuso gli spazi grazie al grande cuore di un gruppo di volontari che sta mano a mano crescendo in questi mesi di enormi flussi, e contiamo a breve di ricevere la tranche mancante da Bruxelles per riaprire a pieno regime”. La partecipazione della società civile è quindi una lieta novella, mentre la pagine dei nostri giornali raccontano del lunghissimo muro che il governo magiaro ha pressoché ultimato al confine con la Serbia, con l’intento di bloccare i flussi di esseri umani di questo periodo: “Proprio così, laddove la politica risponde ad un problema alzando muri, e le chiese tutte non sono capaci di prendere una posizione su una simile azione, è di conforto vedere la solidarietà individuale che riceviamo da molti cittadini”. Sembra inconcepibile per noi in Italia che le chiese mantengano un atteggiamento freddo davanti a simili decisioni politiche, “ma la situazione politica ungherese al momento è delicata, con un governo fortemente reazionario, che parla alla pancia delle persone, giocando a spaventare la società civile per compattarla attorno alla figura di un uomo forte. Ogni voce di dissenso è quindi assai prudente, se non del tutto assente. E se questo è un atteggiamento mai giustificabile, lo è meno che mai per una chiesa. Anche per la nostra, che sostiene i nostri progetti, ma da cui ci aspettiamo una presa di posizione pubblica più forte su simili questioni, mentre in tutta Budapest sono solo due le strutture di accoglienza di tipo religioso”. E’ un problema nazionale o europeo? “Europeo, oramai i Paesi sono strettamente connessi fra loro e la decisione di uno genera un effetto domino sugli altri, modificando gli equilibri. Se si alza un muro si spostano i flussi, non si ferma l’esodo, lo si devia, ma nell’Europa comunitaria l’atteggiamento di chi non vuole vedere non è più accettabile”.
Proprio nella giornata di ieri per la prima volta dall’insediamento del governo Orban nel 2010 un Ministro, quello degli affari sociali, ha visitato le opere a favore dei rifugiati della chiesa riformata di Ungheria, “speriamo sia segno di una politica e di un’attenzione nuova sul tema. Possiamo offrire le nostre esperienze maturate negli anni, speriamo di poter essere interlocutori nella stesura delle direttive legate a queste questioni”.
Da: Riforma.it/
Foto Anna Lami
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