CASTELFRANCO VENETO (TV) – Solomon ha gli occhi vispi di chi non ha paura di morire. Il giubbotto è nero, pesante, deve proteggerlo dal gelo e dalla stanchezza. Dice di avere 17 anni, ma le piccole rughe sotto gli occhi dimostrano che il tempo lo ha già consumato. Salomon è seduto nella hall di attesa del pronto soccorso di Castelfranco Veneto, nel Trevigiano, ha appena terminato gli esami del sangue e le lastre al torace. Sta aspettando che il suo destino si compia. Chiede febbrilmente cosa gli capiterà nelle prossime ore. Poi accetta un panino, che son pur sempre quattro giorni che non mangia, una bottiglietta d’acqua e ci lascia ascoltare il suo racconto. Al contrario di certi suoi amici di sventura, lui ha almeno la fortuna di conoscere l’inglese. «È stato orribile, orribile. Ma vuoi davvero che ti racconti cosa mi è capitato? Non credo mi potresti capire, non so se hai mai visto morire degli amici di fronte a te».
Fortunatamente, no. Ma da dove inizia la tua avventura?
«Sono nato in Niger. Lì non potevo vivere, c’è la guerra. Così due anni fa ho deciso di scappare, sono andato a Cipro attraverso la Libia».
Come sei riuscito a mantenerti, a pagare il viaggio?
«Avevo dei soldi, mi hanno aiutato i miei parenti. Ma soprattutto avevo un sogno. Io voglio giocare a pallone, il calcio è la mia passione. A Cipro sono riuscito ad allenarmi, per un periodo ho giocato in un club di terza divisione, il Mandunas. Sono centrocampista, voglio diventare come Luigi Di Biagio».
Ma non ti bastava, e sei scappato.
«Sì, otto mesi fa ho deciso che volevo arrivare in Italia. Per vivere, lavorare, studiare. O magari giocare a calcio. E così sono ripartito verso la Turchia, verso Istanbul. Da qui poi sono andato in Grecia. Ma il vero dramma è iniziato in Macedonia».
Stavi viaggiando con altri amici, in quel periodo. Cosa è accaduto?
«La nostra guida, un pakistano che ci doveva portare in Serbia, è stato catturato dalla mafia locale. È scoppiata una sparatoria. Era il 16 luglio 2013, ricordo perfettamente la data. Quattro amici, quattro persone con le quali avevo condiviso l’ultima parte del viaggio, sono state uccise». (Prima ci aveva mostrato la cicatrice che ha in testa, causata da quella sparatoria).
E non è stata l’ultima disavventura…
«No, a dicembre dello scorso anno mi hanno rubato tutti i soldi. Non sapevo più che fare. Ma in qualche modo sono riuscito ad arrivare in Serbia, salendo fino al nord, dove ho preso il treno».
Ma che coraggio ci vuole a saltare dentro una tomba di ferro come quella?
«Io non avevo paura, avevo già perso tutto. Io ero già morto, non mi poteva accadere nulla. Sono salito con un po’ d’acqua. Null’altro».
Davvero nulla oltre ai vestiti e al corpo?
«Una cosa c’è, in realtà. La Bibbia. Guarda. Ne ho una con la copertina rossa. Sono credente, sono cristiano. Quando posso, la leggo. È scritta in inglese. Dio ci porta sempre verso il meglio se lo preghiamo. Ci hai mai provato?»
di: Ma.Pl.
da: CorrieredelVeneto.it
data: 18/2/2014
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