“Chi ha ucciso il dottor Bayoudh non è chi si è fatto saltare in aria con una cintura esplosiva all’aeroporto di Istanbul. Chi ha ucciso il dottor Bayoudh è chi ha reclutato suo figlio e molti altri giovani tunisini al jihad in Siria, chi ha ucciso il dottor Bayoudh sono gli imam che hanno costruito e hanno chiamato all’ideologia del Daesh, i responsabili sono coloro che hanno esultato alle loro azioni, chi ha ucciso il dottor Bayoudh sono i politici che hanno aperto le porte delle prigioni ai terroristi in nome di una fantomatica democrazia. Che Allah abbia misericordia del dottor Bayoudh… ma i suoi diritti sono stati calpestati perché non sono stati aperti i dossier degli anni tristi in cui hanno governato i Fratelli [musulmani] del sangue e dell’afflizione. La storia non dimentica e non perdona.”
E’ lo sfogo dell’intellettuale tunisina Olfa Youssef per la morte nell’attentato a Istanbul del 28 giugno scorso del colonnello tunisino Fethi Bayoudh – 58 anni, originario di Ksour Essaf, ma residente a Tunisi – responsabile del servizio di pediatria dell’ospedale militare di Tunisi. Lo sfogo della Youssef, e di molti altri tunisini, è dovuto al fatto che Bayoudh si trovava all’aeroporto Atatürk per accogliere la moglie che lo stava raggiungendo al fine di ultimare le pratiche per il rimpatrio del figlio Anouar Bayoudh, in mano alle autorità turche dopo avere abbandonato le fila dello Stato Islamico.
La stampa tunisina ha immediatamente riportato la notizia ricordando che Anouar, ex allievo pilota in una scuola in un quartiere residenziale della capitale tunisina, sarebbe partito per la Siria nel 2014. Si sarebbe allontanato dalla famiglia con la scusa di frequentare uno stage in Svizzera per poi telefonare alla madre e comunicarle di essere giunto in Siria, via Iraq, e di essersi sposato con una tunisina che era partita con lui. Recentemente Anouar avrebbe abbandonato lo Stato islamico e si trova presso le autorità turche.
Ciononostante il 29 giugno un amico di Anouar ha rettificato sul suo profilo Facebook la storia del trentenne arruolatosi nello Stato Islamico: “Innanzitutto, il figlio del dottor Fathi Bayoudh, Anouer, è partito per l’Iraq […] solo sette mesi fa e non due anni fa! Addirittura ho giocato a calcio con lui a Tunisi nell’agosto 2015. In seguito si è spostato in Siria dopo avere deciso di abbandonare Daesh”; il padre si trovava “in Turchia da più di due mesi al fine di assistere il figlio negli spostamenti con lo scopo di avvicinarlo al confine turco, tramite intermediari turchi e guide siriane che hanno chiesto somme notevoli di denaro a fronte di questa “assistenza”.” A differenza della Youssef, l’amico del foreign fighter tunisino, attacca le autorità e le istituzioni tunisine non tanto per essere all’origine della partenza dell’amico, quanto per non avere aiutato un padre disperato ed esemplare che “in tutto questo periodo difficile non ha esitato a spendere denaro e a rischiare la vita per il figlio” e che “dopo essere finalmente e miracolosamente riuscito a far varcare il confine turco al figlio” era andato “in aeroporto per accogliere la moglie che voleva essere presente per ritrovare il figlio che aveva scampato la morte in più occasioni”, ma è stato in “questo momento che ha incontrato la morte”.
Una tragedia nella tragedia, un amaro scherzo del destino per il padre di uno dei seimila foreign fighters partiti dalla Tunisia, uno di quei giovani che non sono figli dell’emarginazione e della povertà, ma che provengono da una famiglia responsabile e rispettabile e che forse per questo ben presto si è ravveduto, ha compreso l’abbaglio preso oppure l’inconsistenza e l’artificialità delle promesse di giustizia, felicità e salvezza per mano di un fantomatico Stato Islamico. Eppure la storia di Anouer e di suo padre è paradigmatica della globalizzazione del fenomeno Daesh. Un giovane tunisino parte per l’Iraq, poi si sposta in Siria e infine approda in Siria. Suo padre lascia la Tunisia alla volta della capitale turca e viene ucciso da tre attentatori suicidi provenienti dalle ex repubbliche sovietiche. La storia di Anaouer narrata dall’amico su Facebook rivela la rabbia dei suoi coetanei nei confronti delle istituzioni che non hanno saputo né proteggere lui né aiutare e sostenerne la famiglia.
Olfa Youssef a sua volta punta il dito contro le istituzioni e in particolare contro coloro che, poco dopo la fuga di Ben Ali, hanno votato il decreto legge sull’amnistia generale dei prigionieri politici che ha rimesso a piede libero pericolosi jihadisti come Abou Iyadh che ben presto avrebbe fondato Ansar al-Sharia. Il dito della Youssef è puntato contro la Fratellanza musulmana di Ennahdha, primo partito a livello nazionale dopo le prime elezioni, che non ha saputo fungere da argine al terrorismo e che d’altronde ha visto nel 2013 il proprio leader Ghannouchi firmare, unitamente ad altri esponenti della Fratellanza tra cui Yusuf Qaradawi, un appello al jihad in Siria per combattere il tiranno Assad, quando Abu Bakr al-Baghdadi non aveva ancora né annunciato il “ritorno del califfato” e né chiamato all’egira verso lo Stato islamico. Ebbene è alquanto interessante ricordare che leader di Ennahdha ha pubblicato il cordoglio per la morte del dottor Bayoudh senza però alcun accenno al motivo per cui si trovava a Istanbul né all’esperienza del figlio.
Il colonnello Bayoudh viene da molti connazionali definito un eroe, un martire che si unisce agli altri martiri della rivoluzione, tra cui l’avvocato Chokri Belaid, vittima di un attentato sul quale è calato il silenzio. La speranza è che la testimonianza di Anouer, di un figlio unico rimasto orfano di padre per colpa di un terrorismo in cui aveva creduto, possa rivelare non solo la filiera che lo ha condotto in Iraq, ma soprattutto le motivazioni che hanno spinto un giovane benestante e non emarginato ad abbracciare la causa del jihad sulla via di Allah. La speranza è che il governo tunisino non solo faccia tesoro dell’esperienza di un suo figliol prodigo per comprendere le ragioni profonde di una deriva sociale e politica che sta portando al suicidio il paese, ma che protegga lui e sua madre da chi potrebbe temere la verità.
Nel momento in cui in Tunisia il dibattito imperversa sulla riconciliazione nazionale, si spera che la morte del colonnello e la tragedia della sua famiglia servano da monito per assumersi la responsabilità del futuro dei giovani, e meno giovani, tunisini che nutrono sempre più rabbia e sfiducia nelle istituzioni che sfociano in un istinto di ribellione che può essere intercettato dallo Stato islamico e usato fuori e dentro la Tunisia. Ma come ha dimostrato la morte del dottor Bayoudh a volte il cerchio si richiude tragicamente da dove era partito.
di Valentina Colombo | Lanuovabq.it
Sostieni la redazione di Notizie Cristiane con una donazione, clicca qui