Nei giorni che furono, il tempo era denaro. Oggi il denaro è tempo: tempo che perdo a causa del computer vecchio e lento; il tempo che se ne va a riparare da solo quel che può; tempo che si impiega a organizzare delle vacanze economiche oppure a cercare le offerte speciali; tempo che investo per costruire un futuro in cui spero di migliorarne la qualità, perché almeno una parte di esso valga davvero la pena di essere vissuto. Quanto tempo investiamo in impegni sovente di bassa qualità, per mancanza di soldi? Così, l’unica cosa che realmente abbiamo, cioè il nostro tempo, se ne va in fretta e vale sempre di meno. Il tempo libero, poi, quello da dedicare alle cose che ci piace fare e alle persone che amiamo, diventa sempre di più un lusso per pochi.
Il salmista ci invita, proprio partendo dalla nostra condizione di peccatori con i giorni contati, a ricevere la parola di liberazione che ci arriva dal Signore. L’evangelo è annuncio di liberazione del nostro tempo.
Pensiamo anche al tempo buttato in modo sciocco, alla ricerca di un vano riempire le nostre giornate, oppure abbandonati su un divano davanti alla televisione, stanchi del faticoso tran tran quotidiano e in cerca di uno svago. Pensiamo al tempo rubatoci dalla superficiale socializzazione tecnologica, che ci illude di semplificare la nostra vita, per poi lasciarci al netto un utile ben magro, a fronte di un dispendio di tempo enorme, ma improduttivo. Anche il vuoto divertimento impostoci dal nostro secolo, a cui ci conformiamo con troppa facilità con la scusa dell’incontro con gli altri, è sovente solo un modo per rubarci altro tempo e lentamente spegnere le nostre vite in maniera insignificante. Il tempo che abbiamo è poco ed è prezioso: come lo investiamo? A chi lo vendiamo? A chi lo doniamo? Da una parte sembra che non ci rendiamo conto del suo lento trascorrere, dall’altra lo neghiamo in ogni possibile maniera; forse l’assillo estetico dei nostri giorni è proprio indice di un’incapacità di vivere significativamente il quotidiano. Gli esempi fatti fin qui fanno riferimento a scelte di vita più o meno libere. Che dire, invece, quando la volontà scompare e subentra la necessità? Quando la malattia ti corrode il fisico e il tempo della cura diventa tempo di attesa, tempo per scoprire se vivrai o se morrai, rendendo il presente forse ancora più amaro della morte stessa? I giorni passano, le analisi si susseguono, le medicine ti straziano il corpo nella speranza della guarigione o, magari, solo con l’intento di prolungare l’agonia, in obbedienza al dogma della sacralità della vita, anche quando ogni aspettativa di ristabilimento è svanita.
Che si tratti di scelta o di ineluttabile necessità, il salmista ci invita a contare i nostri giorni, ad acquisire la coscienza del fatto che noi siamo mortali, per ottenere la saggezza necessaria ad affrontare la vita senza sprecarla. Il tono è profondamente malinconico: che si tratti di un sadico gioco per farci sopraffare dal senso di vanità dell’esistenza e lasciarci con il freddo vuoto della consapevolezza della morte? In effetti questo rischio è sempre in agguato e uno dei flagelli dell’umanità globalizzata è proprio la depressione, il male di vivere, che oggi assume il volto del muratore che si suicida dopo aver massacrato la famiglia o dell’immigrato che prende il piccone per uccidere chi capita in strada. Il Salmo, però, non vuol essere depressivo. Certo, si vuole esprimere una grande sofferenza, ma non è il canto a una vita senza speranza. Si invita il lettore a una riflessione sulla vita alla luce del dolore e della vanità non per annullarla, ma per condurla a colui che tutto questo può riscattare, il Dio creatore. Lui solo, unico e supremo giudice, ci può liberare dal peso del peccato che ci inchioda a terra, che ci opprime sotto le nostre colpe, facendo di noi dei morti viventi, magari pronti a uccidere o a ucciderci per sfogare il senso di impotenza davanti a un’esistenza che sembra essere un’eterna galera. Lui solo può liberarci da questo peso e riscattarci anche di fronte ai nostri nemici: quante volte nella vita ci costruiamo un avversario, proiettando su qualcuno tutti i fantasmi della nostra mente, i nostri sensi di colpa e le nostre frustrazioni e permettiamo a quella persona di farci del male, quasi che divenisse un agente sadico di noi stessi, legittimato a punirci, a distruggerci con la sua stessa presenza. Quante volte la paura ci porta a guardare al prossimo come a un potenziale ladro, un assassino, un truffatore… Così, invece di essere prudenti come serpenti, secondo l’insegnamento di Gesù, diventiamo semplicemente dei folli, prigionieri delle nostre paure.
Il Signore ci libera dai nostri nemici, rivelandone la natura e privandoli di ogni potere sulla nostra vita, perfino se dovessero arrivare a ucciderci. Il nemico vero, dunque, viene svelato in chi cerca di svuotare di senso il nostro tempo per riempirlo di nulla, di male, di sofferenza. Saremo noi stessi, quando ci imprigioniamo da soli in una gabbia di inutilità. Sarà il mercato, che ci vuole sempre più asserviti all’affanno del consumo, alla corsa dietro la vanità, ma allo stesso tempo togliendoci quei soldi che permetterebbero una maggiore condivisione del lavoro, per un recupero del tempo come spazio di vera vita. A proposito di lavoro, una parola va detta in questi tempi di crisi. La Riforma, infatti, ci ha insegnato che questo è sia un luogo di vocazione cristiana e di testimonianza, sia il nostro contributo alla società. Quante volte oggi possiamo ripetere sensatamente questa affermazione? Quante volte, invece di creare benessere e ricchezza, il nostro lavoro è volto al servizio del Male? Una delle nostre lotte, in quanto protestanti, dovrebbe essere proprio quella di contribuire a ridare un senso al lavoro umano, proprio perché torni a essere un tempo denso di significato, bello e utile, e non un tempo di frustrazione o di sfruttamento. Insomma, tornare a fare in modo che il tempo sia denaro da impiegare in maniera costruttiva, per noi stessi e per gli altri. Il salmista ci invita, proprio partendo dalla nostra fragilità, dalla nostra condizione di peccatori con i giorni contati, a ricevere la parola di liberazione che ci arriva dal Signore. Se Lui, per pura grazia, distoglie lo sguardo dai nostri peccati, i nostri giorni possono tornare a essere pieni di significato. Forse saranno sempre pochi, ma saremo finalmente liberi di viverli nella loro pienezza.
L’evangelo è annuncio di liberazione del nostro tempo, perché la Parola divina ci aiuta a recuperarne il senso, che può essere diverso per ognuno di noi, ma proprio per questo ricco e vario: per il mio cane il tempo bene investito è quello passato al parco correndo dietro ai suoi simili; per me può essere il tempo passato alla partita di mio figlio o al saggio di musica di mia figlia; per qualcun altro sarà il suo lavoro o il suo hobby… Il tempo è prezioso, rendiamolo significativo, anche solo per un sano riposo. Se la nostra vita è vanità, alla luce della benedizione divina è, invece, ricca di senso. Quanto tempo bello abbiamo nella nostra vita? Siamo disposti a farci sinceramente questa domanda, senza temere la risposta?
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