Il silenzio-assenso sugli organi? Una cattiva notizia

Il ministro Giulia Grillo firma il decreto per attuare il silenzio-assenso in tema di donazione di organi, come previsto dalla legge 91/99. «Permetterà di salvare molte vite», dice lei. In realtà imporrà un obbligo indebito sulla persona, rischiando di violarne la volontà e perfino di metterne a repentaglio la vita, alla luce dei discussi nuovi criteri per l’accertamento della morte.

Nel pieno del caldo agostano e della crisi di governo, è arrivata una notizia che rischia di causare serie ripercussioni sul piano della libertà e della vita dei cittadini. Il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha firmato il decreto ministeriale che contiene il regolamento sul Sistema informativo dei trapianti (Sit), istituito attraverso una legge di vent’anni fa – la 91/1999 – la quale prevede il principio del silenzio-assenso in tema di prelievo e donazione di organi. Il decreto della Grillo è in pratica una misura attuativa, cui ne dovranno seguire altre per far entrare a regime il Sit, e il cui fine è evidentemente quello di avere una maggiore disponibilità di organi.

La stessa esponente del Movimento 5 Stelle, attraverso un comunicato pubblicato il 20 agosto sul sito del ministero di cui è alla guida, ha detto con toni entusiasti: «Si tratta di un passaggio fondamentale per l’applicazione della legge sulla donazione di organi approvata vent’anni fa, ma rimasta lettera morta. In un anno abbiamo sbloccato un provvedimento fermo da decenni. È una legge che permetterà di salvare molte vite, ma bisogna che i cittadini siano adeguatamente informati. Vent’anni per dare attuazione a una legge di civiltà per il Paese sono troppi».

Il comunicato ministeriale, dopo aver sottolineato i fini di «trasparenza» del decreto, elenca i due successivi passi da compiere: «Nei prossimi mesi inoltre saranno attuate le altre prescrizioni della legge 91/1999 cioè l’adeguamento dell’Anagrafe nazionale degli assistiti (Ana) in tutte le Asl e sarà lanciata una campagna informativa volta a promuovere la consapevolezza su trapianto e donazione di organi».

A ciò va aggiunta, come prevede ancora la legge 91, la necessità di realizzare un sistema di notifica, attraverso cui si dovrà notificare ai cittadini maggiorenni (per i minorenni varrà la volontà espressa dai genitori) la richiesta di manifestare la propria volontà sulla donazione di organi e tessuti: semplificando, se entro 90 giorni dalla notifica ricevuta il cittadino non avrà risposto rendendo la propria dichiarazione, verrà considerato automaticamente donatore. Sulla base appunto della norma sul silenzio-assenso.

Fino a quando questo sistema non diventerà operativo – questione di un anno, secondo il direttore del Centro nazionale trapianti, Massimo Cardillo – si continuerà con il regime attuale, che si basa sempre sulla legge 91 e su una sua poco conosciuta disposizione transitoria (art. 23), secondo cui i cittadini italiani sono già oggi considerati come donatori, «salvo che il soggetto abbia esplicitamente negato il proprio assenso». Cosa cambia tra questa forma transitoria di silenzio-assenso e quella che potrebbe presto divenire effettiva? La differenza è che adesso i familiari più stretti, il convivente o il rappresentante legale possono presentare un’opposizione scritta per rifiutare la donazione degli organi di un dato paziente, che non abbia in precedenza manifestato la propria volontà e di cui sia stata diagnosticata la «morte cerebrale» o la cosiddetta «morte a cuore fermo».

In sostanza, rispetto a quel che succede oggi in casi del genere, che riguardano fondamentalmente pazienti reduci da incidenti o con gravi disabilità neurologiche, quando entrerà in vigore il nuovo sistema verrà meno – per gli adulti – l’intermediazione della famiglia.

Ciò detto, sono entrambi i sistemi previsti dalla legge 91, sia quello transitorio tuttora in vigore che quello in divenire, a essere bacati per un problema comune alla base: appunto, il silenzio-assenso. Che è un istituto giuridico che ha un senso quando si tratta di tutelare il cittadino rispetto ad esempio alla lentezza e all’inerzia della pubblica amministrazione nel rispondere a una particolare istanza, come sottolineava già nel marzo 1999 – a iter della legge ancora in corso – l’avvocato Salvatore Macca in una lettera-appello al presidente della Corte costituzionale. Il silenzio-assenso in tema di donazione di organi perverte invece il fine di questo stesso istituto, prevedendo per il cittadino un obbligo a fare qualcosa «per sottrarsi a qualcosa che non vuole subire», come scriveva Macca nella suddetta lettera, «e che per di più riguarda la sfera più intima, più riservata, più sacra della propria individualità o di quella delle persone a lui care o da lui rappresentate».

E se non ci si sottrae in tempo – per dimenticanza, ignoranza della questione o altro – a quel che il cittadino X magari vorrebbe evitare, si finisce che lo Stato diventa libero di disporre del suo corpo. Una vera e propria contraddizione per una società che va rigettando la morale cattolica in nome di una sempre più sbandierata e malintesa “libertà”.

Non per nulla il magistero della Chiesa prevede che la donazione degli organi è moralmente lecita solo previo esplicito consenso e solo per una persona «ex cadavere», per usare l’espressione che Benedetto XVI, sulla scorta peraltro di san Giovanni Paolo II, adoperò in un discorso del 2008: «… i singoli organi vitali non possono essere prelevati che ex cadavere, il quale peraltro possiede pure una sua dignità che va rispettata».

Le parole di Benedetto XVI sulla necessità che si sia in presenza di morte certa (ex cadavere) richiamano un altro fatto basilare. Connesso al problema del consenso – consenso che per essere tale dovrebbe presupporre una certa simmetria informativa tra il ‘sistema’ e il paziente – c’è infatti quello dei criteri di accertamento della morte, che sono stati ridefiniti in senso utilitaristico dal 1968 in poi (cioè subito dopo il primo trapianto di cuore), proprio per ampliare la disponibilità di organi.

Di questi nuovi criteri, ci riferiamo a quello della «morte cerebrale» e della «morte a cuore fermo», sono non pochi gli esperti che sottolineano, specie in ambito cattolico, come essi non coincidano con la morte effettiva (per approfondire vedi la relativa inchiesta della Nuova Bussola quiquiqui e qui). E, del resto, sono molti i casi concreti, riportati nella letteratura medica, di pazienti dati per «cerebralmente morti» e che invece si sono poi risvegliati o hanno comunque continuato a vivere a lungo.

In breve, questo tipo di silenzio-assenso, unito ai nuovi paradigmi per dichiarare la morte di una persona, finisce per deformare il fine buono di salvare vite umane, imponendo sulla persona obblighi indebiti e restringendone in definitiva la libertà, con il rischio tra l’altro di mettere fine alla sua vita prima del tempo. Il tutto nel solco di una visione che deprezza la vita fragile – in particolare di chi ha funzioni cerebrali gravemente danneggiate – e rischia di imporre una concezione dell’uomo (che non è un mezzo) come un insieme di pezzi di ricambio.

Ermes Dovico | Lanuovabq.it


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