Il rischio di essere squalificati

Leggendo le lettere dell’apostolo Paolo, è chiaro che quando parla della vita cristiana alcune delle sue metafore e analogie preferite vengono dal mondo dell’atletica. In Filippesi, per esempio, descrive la perseveranza nella corsa verso la meta della conoscenza di Cristo (3:14). Verso la fine della sua vita, parlando del suo ministerio, afferma di aver “combattuto il buon combattimento” e “finito la corsa” (2 Timoteo 4:7). In 1 Corinzi 9:25–27 Paolo traccia un parallelo, su cui vale la pena meditare, tra la competizione atletica e la vita cristiana, e l’autocontrollo e la disciplina necessari per entrambi.

Un pensiero allarmante

Nella mente di Paolo, né l’autocontrollo né la disciplina sono facoltativi, ma essenziali. Scrive così: “tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato” (1 Corinzi 9:27). Paolo riconosce che per ogni cristiano esiste un pericolo reale: il pericolo della squalifica.

È un pensiero allarmante. Paolo afferma che è infatti possibile per noi correre bene la gara per un periodo e tuttavia arrivare ad essere squalificati; è possibile perseverare per un po’ di tempo, ma alla fine non riuscire a raggiungere il premio; potremmo quindi non sentire dal Signore le parole: “Va bene, servo buono e fedele” (Matteo 25:21, 23). Potremmo gareggiare, ma perdere la ricompensa della “corona di giustizia” (2 Timoteo 4:8). In poche parole, è possibile predicare la salvezza e indicare ad altri la via per il cielo, senza arrivarci mai personalmente.

Come possiamo evitare di essere squalificati? Considerare la vita e le abitudini di Paolo è utile. Viveva con una specie di santo timore. Non si faceva illusioni riguardo al pericolo di squalifica che correva il suo ministero. Paolo dimostra che ciò che ci preserva dall’apostasia è timore, e non fiducia presuntuosa: una santa fiducia nei confronti di Dio e un santo timore per noi stessi.

È possibile predicare la salvezza e indicare ad altri la via per il cielo, senza arrivarci mai personalmente.

Una lezione dalla storia

Per approfondire il suo punto sul pericolo di essere squalificati, Paolo racconta la storia di Israele nell’Antico Testamento. Dice ai Corinti: “Non voglio infatti che ignoriate” (1 Corinzi 10:1), in altre parole: “Ho bisogno che siate informati. State all’erta. Imparate dal popolo di Dio che è venuto prima di voi”. Poi prosegue e individua i privilegi condivisi da tutto il popolo di Dio, sottolineando che tutti erano sotto la nuvola, tutti passarono attraverso il mare e vennero battezzati, e tutti bevvero insieme. Tutto il popolo di Dio, Israele, partecipò alle benedizioni spirituali di Dio. Paolo spiega: “Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque” (1 Corinzi 10:5). Durante gli anni nel deserto il popolo aveva goduto delle benedizioni di Dio, ma ne aveva anche abusato.

La lezione di oggi è chiara: dobbiamo capire che godere di privilegi spirituali, il battesimo, la santa cena, la comunione fraterna, ecc., non annulla il nostro bisogno di essere spiritualmente vigili. Poter godere di privilegi spirituali non garantisce l’immunità dal giudizio divino. Dobbiamo stare attenti a non annullare con le nostre azioni le verità che professiamo con la bocca. Dobbiamo occuparci delle cose interiori e non solo esteriori della nostra vita.

Paolo vuole che impariamo dal cattivo esempio di Israele. La nostra lettura della loro storia dovrebbe condurci lontano dal peccato e verso la santità. Quando pensiamo ad Israele come fece Paolo, scopriamo che questo popolo dispiacque a Dio in quattro modi.

Dobbiamo stare attenti a non annullare con le nostre azioni le verità che professiamo con la bocca

In primo luogo, diventarono idolatri (1 Corinzi 10:7). Paolo sta pensando specificamente all’episodio del vitello d’oro, e cita Esodo 32:6. Secondo, Israele dispiacque a Dio per la sua immoralità (1 Corinzi 10:8; Numeri 25:1–9). Terzo, tentarono Dio (1 Corinzi 10:9; Numeri 21:5). Tentare Dio significa spingerlo, volendo scoprire se Dio farà ciò che ha promesso di fare. Invece di fidarsi, Israele mise ripetutamente alla prova la parola di Dio. E infine, mormorarono contro il Signore, causando la propria distruzione (1 Corinzi 10:10).

Tuttavia, queste cose accaddero a Israele, tra le altre ragioni, per la nostra istruzione. Gli esempi sono negativi, ma ci insegnano cosa non fare mentre cerchiamo di vivere in una maniera degna del Vangelo.

Un avvertimento importante

Paolo poi arriva al nocciolo della questione: “Perciò”, avverte, “chi pensa di stare in piedi guardi di non cadere” (1 Corinzi 10:12). Parla a coloro che ingannano sé stessi, a coloro che pensano che i cattivi esempi della storia di Israele non li riguardino; affronta la questione della presunzione, avere, cioè, una fiducia irrealistica nella propria forza spirituale, che è un problema che può tentare chiunque. Ancora oggi le sue parole sono un avvertimento per chi vuole vivere la vita cristiana nelle forme esteriori per convincere chi gli sta attorno, ma non convince né Dio né la propria coscienza.

Considerate, ad esempio, la serietà della Cena del Signore. Dio ci dona questo momento come segno esteriore del suo impegno a preservarci nella sua grazia. È anche possibile che il credente, avvicinandosi alla Mensa del Signore, mangi e beva un giudizio contro di sé (1 Corinzi 11:29). In altre parole, possiamo partecipare a tutti i gesti esteriori della Cena del Signore senza mai occuparci delle realtà interiori, della condizione del nostro cuore. Per questo motivo, abbiamo sempre bisogno di esaminare noi stessi e occuparci del nostro peccato prima di partecipare alla Cena del Signore (1 Corinzi 11:28). Dobbiamo evitare una visione troppo alta di noi stessi quando partecipiamo alla Cena del Signore. Dobbiamo evitare ogni presunzione, restando umili, contriti e pentiti.

Quando ci poniamo davanti a Dio con questo tipo di umiltà, sarà automatico per noi riuscire a capire, se scorgiamo il peccato di un altro, che anche noi siamo a un soffio dallo stesso pericolo. Stiamo attenti alla presunzione, sapendo che in noi non c’è nulla che ci dà il diritto di innalzarci sopra un fratello o una sorella in Cristo, e prestiamo attenzione, per non cadere anche noi nel peccato.

Una fonte di incoraggiamento

Alla luce dei solenni avvertimenti di Paolo e del cattivo esempio di Israele nel passato, potremmo essere tentati di disperare. Paolo conclude il suo discorso offrendo una parola di conforto e incoraggiamento: “Nessuna tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate sopportare.” (1 Corinzi 10:13).

La tentazione è comune, ma Dio è fedele.

Il pericolo della squalifica non dovrebbe produrre disperazione, ma umiltà, spronandoci a confidare profondamente nella perfetta fedeltà di Dio. Sì, la tentazione è comune, ma Dio è fedele. Piuttosto che cedere al peccato, dobbiamo fuggire da esso (1 Corinzi 10:14). E possiamo tenerci stretti alla promessa che quando siamo tentati di cadere nel peccato, Dio ci darà sempre una via d’uscita. Sempre.

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