Uno dei modi moderni di disonorare l’istituto divino del matrimonio è la convivenza. C’è la convivenza di chi vive insieme, senza avere l’intenzione di vincolarsi legalmente. C’è anche la convivenza di chi vive insieme, per brevi periodi, pensando di mettere le cose a posto con il matrimonio…
Ogni estate si ripete la stessa storia; giovani fidanzati, che si definiscono credenti, vanno in vacanza e dormono insieme senza essere sposati (…). La convivenza diventa un modo di vivere sempre più diffuso nel mondo, e a volte sembra che anche nelle chiese cristiane non ci sia una ferma presa di posizione al riguardo (…). Spesso si tollerano situazioni ambigue solo per amor di pace, ma è giusto questo? Che dire poi quando qualcuno, che magari occupa un posto di responsabilità nella chiesa, diviene motivo di scandalo avallando tacitamente una convivenza o, peggio ancora, vivendola lui in prima persona? (…). Può essere giustificata la convivenza se dopo un certo periodo l’unione viene regolarizzata con il matrimonio?
Questa lettera tocca un argomento molto delicato, sul quale si possono fare dei grandi discorsi, richiamandosi ai principi scritturali, oppure lo si può lasciar cadere perché pochi sono quelli che se la sentono di mettere le mani in un vespaio. Infatti, quante situazioni conosciamo di convivenze più o meno temporanee, magari solo per il periodo delle vacanze, ma facciamo finta di non vedere?
Quanti invece non convivono, ma ciò non impedisce loro di avere rapporti sessuali prematrimoniali ogni volta che lo desiderano?
Quanti giovani oggi si mantengono puri fino al matrimonio?
Quali esempi troviamo attorno a noi?
E non sto parlando solo del mondo, perché anche all’interno delle nostre comunità possiamo purtroppo scontrarci con situazioni di ambiguità.
Il problema, a mio avviso, va dunque affrontato secondo quattro prospettive.
Per la maggior parte dei cristiani, la semplice convivenza di un uomo e una donna sotto lo stesso tetto, come se fossero sposati, in realtà non è un matrimonio, perché viene a mancare uno degli elementi determinanti: il patto con cui si sancisce a livello giuridico l’unione tra i due.
Questo elemento viene evidenziato molto bene da Malachia, quando parla della moglie «alla quale sei legato da un patto» (Malachia 2:14).
Era quel patto tra i due sposi, dichiarato pubblicamente, che garantiva i reciproci impegni matrimoniali.
Nel libro dei Proverbi si fa riferimento a questo patto, parlando della donna adultera, dicendo che essa «ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio» (Proverbi 2:17).
Anche nel Nuovo Testamento è molto chiara la dimensione legale del matrimonio, poiché ci viene ricordato che «la donna sposata è legata per legge al marito» (Romani 7:2), cioè essa ha un vincolo coniugale nei suoi confronti (confrontare con 1 Corinzi 7:39).
Il patto matrimoniale è una precisa dichiarazione di intenti e di impegno reciproco a realizzarli. Esso è vincolante perché è un’esplicita assunzione di responsabilità nei confronti del coniuge.
Anche il Codice Civile indica molto chiaramente quali sono i diritti e i doveri coniugali.
La Scrittura, infine, conferisce al vincolo matrimoniale grande dignità e santità:
«il matrimonio sia tenuto in onore da tutti e il letto :coniugale non sia macchiato da infedeltà; poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri» (Ebrei 13:4)
Non voglio fare un processo alle intenzioni, ma in mancanza di tale patto è senz’altro più facile sentirsi meno legati anche da un punto di vista psicologico. Nel matrimonio si investono tutte le risorse affettive, emotive e pratiche per «costruire la casa con saggezza e renderla stabile con la prudenza» (Proverbi 24:3).
Mi chiedo se la scelta della semplice convivenza, senza legittimare l’unione con un patto matrimoniale, non sia l’espressione di un’inconscia paura di assumersi degli impegni e delle precise responsabilità. Paura motivata molte volte dalla convenienza o da un egoismo di fondo, sostenuto dalla pressione culturale del mondo in cui viviamo.
In Italia le convivenze stanno aumentando e le persone in convivenza dichiarata costituiscono quasi il 3% delle coppie (circa 350.000 coppie nel 1998). Una volta, essa veniva definita “concubinato”, con tutta l’accezione negativa che questo termine comportava. Perciò sarebbe stato molto facile per i nostri padri dare una risposta a questa lettera: la convivenza non equivale al matrimonio e perciò si oppone agli ordinamenti di Dio.
Il nero era nero e il bianco era bianco.
Oggi ci troviamo invece immersi in una miriade di sfumature di grigio e di casi particolari, che ci fanno ammattire perché nella Scrittura non riusciamo più a cogliere quelle indicazioni nette e precise che ci permettevano di prendere delle decisioni chiare.
Perché oggi tutto sembra più difficile? Perché stiamo vivendo in un mondo caratterizzato dal pluralismo ideologico e dal relativismo culturale, che vuole eliminare i punti di riferimento assoluti, mescolandoli in un calderone dove ognuno può affermare la sua opinione e, di conseguenza, può agire come più gli piace, in nome di un soggettivismo sfrenato. E vero che oggi ci troviamo di fronte a situazioni ingarbugliate, difficili da dipanare, ma è altrettanto vero che l’lo ha sostituito Dio.
Oggi più che mai gli uomini sono «egoisti… vanagloriosi, superbi…insensibili… intemperanti …sconsiderati, orgogliosi, amanti del piacere anziché di Dio» (1 Timoteo 3:2-4).
Si ricerca il proprio benessere anziché la volontà di Dio. Ci si concentra più su ciò che Dio può fare per noi, invece di chiederci cosa noi possiamo fare per dare gloria a Dio.
Quale influenza sta avendo la cultura dell’lo nelle nostre comunità? Quanto sono a ttraen ti piaceri del mondo agli occhi dei nostri giovani? Quanto lo sono anche per coloro meno giovani? Oggi ci sentiamo tutti molto più avanzati culturalmente e riteniamo che dobbiamo avere un’attenta percezione della realtà che ci circonda.
Concordo pienamente, ma proprio questo dovrebbe spronarci ad approfondire quali sono le indicazioni bibliche che hanno un valore eterno, invece di annacquare i principi di Dio con presunte interpretazioni in chiave sociologica.
La convivenza si sta sostituendo al matrimonio? Certo, essa è più facile, più comoda e permette di interrompere il rapporto senza troppe complicazioni quando questo non funziona più. In un mondo dove tutto è relativo e passeggero, si perde il valore della permanenza e della stabilità dell’unione sancita dal matrimonio. Ci si chiede quale differenza c’è nel vivere insieme con o senza un pezzo di carta che attesti che si è legalmente sposati.
Si tende a delegittimare il patto, sminuendone l’importanza: “Cosa sarà mai una firma su un foglio?” Non è certo una firma a cambiare la nostra situazione morale, ma è l’atteggiamento generale del nostro cuore a fare la differenza!
I nostri giovani vanno in vacanza insieme ed hanno una normale vita sessuale già prima del matrimonio?
Quale insegnamento hanno ricevuto dai loro padri, dalle loro madri, dagli anziani della loro comunità? “Lo fanno tutti, che male c’è? ” potrebbero dire.
Se, come credenti, ci lasciamo trascinare dall’ideologia del mondo, chiudendo gli occhi sui danni morali e spirituali che la sua influenza sta avendo anche all’interno delle nostre file, allora abbiamo fallito il primo obiettivo di una chiesa che dice di confessare Gesù Cristo come suo Signore!
Il monito di Giacomo è ancora sufficientemente forte nelle nostre orecchie? «Non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. Oppure pensate che la Scrittura dichiari invano che: Lo Spirito che Egli ha fatto abitare in noi ci brama fino alla gelosia?» (Giacomo 4:4,5).
Noi dobbiamo aprirci al mondo per annunciare la Buona Novella, mantenendo
una ferma testimonianza, ma non dobbiamo venire a patti con i suoi criteri di valutazione morale.
La fermezza morale del credente deve essere sostenuta dai principi della Parola di Dio, nell’ubbidienza a Cristo, alla cui signoria dobbiamo conformare la nostra volontà e le nostre
La lettera faceva riferimento anche ad eventuali scandali all’interno di qualche comunità a causa di una tacita accettazione della convivenza. Se si tratta di persone che si stanno avvicinando al Vangelo, è ovvio che non si può avere un atteggiamento di condanna e di giudizio.
Non fanno ancora parte integrante del corpo di Cristo e perciò occorre dimostrare un amorevole spirito di accoglienza, nonostante la loro situazione. Gesù non ha condannato l’adultera colta in flagrante, ma l’ha invitata a mettersi in relazione spirituale con Dio e ad abbandonare il peccato (Giovanni 8:1- 11).
La conversione segna l’inizio di un cammino nel quale è molto probabile che il neocredente debba riorganizzare molti aspetti della sua vita sulla base della Parola del Signore. Man mano che egli cresce nella conoscenza della Scrittura e nella maturità spirituale, sarà sempre più sensibile alla voce dello Spirito che gli darà una chiara convinzione di come stabilire dei nuovi parametri per il suo cammino di fede.
All’interno della comunità, il ripristino della sua relazione con Dio è prioritario sugli eventuali giudizi circa la sua situazione personale, creata da scelte sbagliate fatte in passato.
L’obiettivo deve essere comunque quello di superare la fase della convivenza con la scelta di regolarizzare l’unione con il matrimonio, in ubbidienza al Signore. Questa decisione sarà anche la dimostrazione di un vero cambiamento interiore e di una vera sottomissione a Dio. In caso contrario, ci sarebbero dei seri dubbi sulla genuinità della conversione.
Se invece è una persona credente a vivere in una situazione di convivenza, allora le cose cambiano. Chi ha conosciuto Dio e la Sua Parola ha una grande responsabilità di testimonianza. Può essere un giovane o un anziano, ma una cattiva testimonianza può distruggere la reputazione di una comunità.
Quale peso avrà la nostra predicazione, se si tollerano o si vivono situazioni ambigue?
Quale valore avranno per noi i passi che esortano alla santificazione, se facciamo finta di non sapere che un nostro fratello o una nostra sorella vivono nella fornicazione?
E il mondo starà molto attento a mettere in evidenza le debolezze e i peccati dei credenti, vanificando completamente la testimonianza. Potranno dirci: “Anche voi siete come tutti gli altri! ”
La Scrittura ci esorta a chiare lettere ad astenerci “da ogni apparenza di male” (1 Tessalonicesi 5:22 – versione Nuova Diodati). Questo significa che anche se si va in vacanza insieme o si dorme sotto lo stesso tetto, ma come fratello e sorella in attesa del matrimonio (qualcuno mi ha assicurato che è così, ma sinceramente ho molti dubbi sul controllo degli ormoni) vedi Proverbi 6:27), si offre comunque un’apparenza di male e in Scrittura ci ordina di non offrire alcuna occasione di cattiva testimonianza!
Una persistente situazione di convivenza, da parte di chi si dichiara appartenente alla chiesa del Signore, indica in realtà un serio problema spirituale, i cui termini sono: disubbidienza, ribellione e ostinazione. A volte si cerca di interpretare il silenzio della Scrittura su certi soggetti specifici, come una concessione a vivere come più ci piace. Siamo tutti molto bravi a trovare delle scappatoie che giustifichino le nostre scelte.
La Scrittura dice chiaramente: «Ogni cosa mi è lecita, ma non ogni cosa è utile. Ogni cosa mi è lecita, ma io non mi lascerò dominare da nulla» (1 Corinzi 6:12).
Questo passo ci indica l’ampiezza della libertà del cristiano, ma deve essere letto nella prospettiva di un altro passo: «Non fate della libertà un’occasione per vivere secondo la carne» (Galati 5:13).
L’apostolo Paolo, restringe poi il campo d’azione alla sfera sessuale, richiamandosi alla situazione di degrado morale e spirituale dalla quale provenivano i credenti di Corinto e indica per quale strada dovevano camminare dopo la conversione. «Il corpo non è per la fornicazione, ma è per il Signore, e il Signore è per il corpo… Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?.., Chi si unisce al Signore è uno spirito solo con lui. Fuggite la fornicazione.
Ogni altro peccato che l’uomo commetta, è fuori del corpo; ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificale dunque Dio nel vostro corpo» (1 Corinzi 6:13-20).
I parametri spirituali della condotta del credente sono dunque molto chiari. Qualunque tentativo di sminuirli o di accantonarli per giustificare una situazione di peccato, esprime un’aperta disubbidienza a Dio.
La disubbidienza è spesso motivata da uno spirito di ribellione, perché si privilegia il proprio benessere piuttosto che la volontà di Dio.
Se si insiste in questo stato, chiudendo il cuore ai richiami della Parola, dello Spirito e degli anziani della comunità, si cade nel peccato di ostinazione, che viene paragonato ad una forma di idolatria: «La ribellione è come il peccato della divinazione, e l’ostinatezza è come l’adorazione degli idoli e degli dèi domestici» ( 1 Samuele 15:23).
La situazione morale attorno a noi non è delle migliori, perciò i credenti hanno l’importante compito di pregare, di annunciare la verità e di lasciarsi investigare dallo Spirito di Dio, rifiutando ogni sorta di compromesso morale che può condurre al peccato. In ciò manifesteranno quella fedeltà al Signore che è necessaria per essere come le sentinelle che scrutano attentamente l’orizzonte per capire «a che punto è la notte» (Isaia 21:11).
Marco Distort
Tratto e liberamente adattato da «IL CRISTIANO.it
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