Si parla tanto del suicidio dell’Europa e, in senso più ampio, della civiltà occidentale. Un’eutanasia continentale provocata dal fatto che l’Europa non fa più figli e che quelli che concepisce li uccide nel grembo materno oppure li lascia crioconservare da qualche parte. Muore perché, come nel film L’invasione degli ultracorpi, i migranti piano piano ci stanno sostituendo demograficamente, perché ha ammazzato famiglia e matrimonio con il pesticida del divorzio e dei “matrimoni” gay, perché infine non solo non ha riconosciuto le proprie radici cristiane, ma sta tentando in tutti i modi di sradicarle dalla coscienza collettiva. Un’aria mortifera aleggia in Europa. I miasmi della putrefazione dei principi che in realtà dovrebbero essere incorruttibili – vita, famiglia, libertà di educazione e di religione – sono sempre più nauseabondi anche qui da noi in Italia. Il recente disegno di legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento in esame al Senato ne è una prova, l’ultima in ordine di tempo.
Il quadro è quello delineato dal Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae: “siamo di fronte a una realtà più vasta, che si può considerare come una vera e propria struttura di peccato, caratterizzata dall’imporsi di una cultura anti-solidaristica, che si configura in molti casi come vera «cultura di morte». Essa è attivamente promossa da forti correnti culturali, economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della società”.
La cultura di morte si realizza quando vengono ad esistenza tutti o buona parte dei seguenti elementi. In primo luogo la normalità del male, cioè la diffusione di alcune condotte contrarie alla vita e alla famiglia. La contraccezione, l’aborto, il divorzio, le convivenze, le pratiche di fecondazione artificiale sono così presenti a livello capillare nel tessuto sociale che sono come le polveri sottili a Milano nel mese di gennaio. Ci sono, ma nessuno più se ne accorge. Dall’eccezionalità della donna che aveva abortito o della coppia che aveva divorziato siamo passati all’ordinarietà. Aborto, divorzio, etc. sono diventati costumi sociali da indossare in tutte le occasioni.
In secondo luogo abbiamo la liceità morale del male: la percezione da parte della collettività che tali condotte sono moralmente accettabili proprio perché diffuse. Aborto, divorzio, fecondazione artificiale, etc. un tempo venivano qualificate come scelte riprovevoli, poi come condotte da tollerare e successivamente da accettare in qualche raro caso. Si entrò quindi nella fase del giudizio di neutralità o a doppio binario (“io non lo farei mai, ma non posso imporre agli altri la mia opinione”), infine si qualificò simili atti come buoni ed oggi quasi doverosi (“non abortire un bambino malformato è atto di egoismo; continuare a litigare in casa e non divorziare fa solo male ai figli”).
La diffusione e la moralizzazione del male non possono che sfociare nella sua legittimazione giuridica. La condotta privata, diventata prassi sociale, esige un riconoscimento giuridico. Da qui i famigerati diritti civili: diritto ad abortire, a diventare genitori, a sposarsi con persone con gli stessi organi genitali, a drogarsi, a divorziare, etc. Va da sé che legittimare una pratica agevola sempre la sua diffusione.
L’ultimo step, che spesso si sviluppa in parallelo ai precedenti, è la collaborazione sociale, cioè la mobilitazione da parte di soggetti privati e pubblici per diffondere ancor di più queste pratiche attraverso i media, la cultura, le fondazioni, le Ong, etc. E così abbiamo film e serie TV che sdoganano l’omosessualità, ministeri che introducono la teoria del gender nelle scuole, organizzazioni come Planned Parenthood che promuovono la pratica abortiva nel mondo, cliniche per la fertilità disposte a fornire servizi riproduttivi che vanno dalla fecondazione artificiale omologa all’utero in affitto.
(…) Anche l’eutanasia in questo senso si è strutturata. E’ fenomeno sempre più diffuso, forse non ancora in Italia, ma all’estero sì. Ad esempio in Olanda nel 1991 – quando la pratica era ancora formalmente vietata – il governo distribuì un questionario sull’eutanasia ai medici in cui gli stessi potevano rispondere in forma anonima. I dati rivelarono che il 9,1% di tutti i decessi avveniva per una decisione eutanasica. Inoltre circa il 50% dei medici aveva consigliato ai propri pazienti critici l’eutanasia. Se questo era il quadro quando l’eutanasia era ancora reato, possiamo immaginarci quale è il fenomeno dell’eutanasia clandestina, non rispettosa delle regole, oggi che è legale.
L’eutanasia è poi pratica sempre più accetta dalle persone a motivo sia delle tendenze marcatamente autonomiste della cultura contemporanea che concepisce l’individuo sovrano assoluto con potere di vita e di morte sulla propria persona, sia dello spirito edonista che accetta come unica esistenza tollerabile quella fisiologicamente sana ed esteticamente attraente.
La legittimazione poi della pratica sta crescendo nel mondo. L’ultima legge sull’eutanasia è quella canadese. Nei primi sei mesi dalla sua approvazione quasi 800 persone sono state uccise con questa tecnica. Anche da noi, come è noto, è al vaglio al Parlamento un disegno di legge che se passerà introdurrà l’eutanasia di Stato, qualificandola come diritto soggettivo a morire.
Infine esiste un network nazionale e internazionale che soffia sul fuoco dell’eutanasia. Pensiamo alla clinica Dignitas in Svizzera, vero centro di raccolta per gli immigrati eutanasici provenienti da tutta Europa, al programma TV Le Iene, sempre pronto a far da sponda nel raccontare storie pro-dolce morte, alle associazioni Exit e Luca Coscioni, think tank che orientano la coscienza collettiva in modo efficacissimo. L’associazione radicale in particolar modo ha messo a punto un vero e proprio protocollo strategicamente vincente: l’accompagnamento in Svizzera dei pazienti che vogliono morire, l’autodenuncia per aiuto al suicidio, la promozione di vertenze giudiziarie (v. caso Eluana), la raccolta firme, i “digiuni”, il confronto nei dibattiti pubblici, etc.
I figli della luce hanno il compito di annientare la cultura della morte usando gli stessi strumenti prima descritti: diffusione di condotte consone ai principi non negoziabili, formazione delle coscienze perché comprendano che queste ultime sono condotte buone, proposta di leggi a tutela delle stesse e abrogazione di quelle ingiuste, azioni di supporto sociale che permettano alla controffensiva di articolarsi non solo su un piano individuale ma anche collettivo.
di Tommaso Scandroglio | Lanuovabq.it
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