“Meglio sani per scelta che malati per caso”. Così il professor Edoardo Boncinelli conclude sul Corriere della Sera dell’8 luglio il suo commento all’ultima scoperta annunciata al congresso della Società europea della riproduzione (ESHRE) che in questi giorni si sta svolgendo a Londra, che permette di avere bambini “geneticamente sani”, ovviamente con la fecondazione artificiale.La tecnica Ngs (Next generation sequencing) è niente più che un potenziamento della diagnosi pre-impianto che consente entro 16 ore di avere un profilo esteso dell’assetto cromosomico e genetico dell’embrione evitando la necessità del congelamento in attesa delle risposte. Dagan Wells, inventore del metodo, ha annunciato che due bambini sono già nati dopo avere superato lo screening Ngs.
Ancora secondo Boncinelli si tratta di fare nascere “non un bimbo su misura, ma un bimbo geneticamente sano”. È allora opportuno affiancare alle astrattezze utilitaristiche del docente del San Raffaele qualche considerazione alternativa, qualcosa di più reale e corporeo.
La tecnica prevede il ricorso alla fecondazione artificiale. L’introduzione della provetta tra l’uomo e la donna fatalmente significa introdurre una serie di soggetti che mediano la venuta al mondo del figlio, ciascuno dei quali, a diritto, potrebbe rivendicare una compartecipazione genitoriale. Certo, ci sono i genitori con i loro gameti, ma c’è il ginecologo che ha eseguito il prelievo degli ovociti ed il trasferimento dell’embrione, c’è il biologo che ha operato la fecondazione e c’è tutta la filiera dei produttori di strumentazione e materiali, quando non ci sono di mezzo donatori di gameti o l’utero in affitto. Se c’è una compartecipazione così vasta, il figlio viene privato di un padre e una madre esclusivi (sotto questo aspetto l’obiezione dell’adozione post-natale è una fattispecie che niente ha a che vedere).
L’introduzione della tecnica nel processo generativo contribuisce in maniera rilevante all’asimmetria tra genitori e figlio. Questi infatti, al di là delle intenzioni soggettive dei genitori biologici, si trova ad essere non più nella condizione di dono prezioso, di ospite da trattare con ogni riguardo, ma, così come osservato dal bioeticista Leon Kass, di manufatto. Il figlio non è più procreato, ma prodotto (in America conservano il pudore di chiamare queste tecniche “riproduzione artificiale”) e come ogni “merce” è legittimo sottoporlo al controllo di qualità, che per il concepito si chiama “screening”, cioè quel setacciamento contro cui tanto ha parlato il neonatologo Carlo Bellieni volto ad identificare l’imperfetto non per curarlo, ma per eliminarlo. La fecondazione artificiale opera questo processo in modo costante sulla base di una serie di parametri morfologici che indicano la qualità dell’embrione. Se andate a leggere i forum dedicati troverete che gli embrioni sono descritti dalle mamme come “belli”, “bruttini”, o francamente “brutti”.
Con la fecondazione artificiale il detto napoletano “ogni scarafone è bello a mamma sua” non ha più senso perché la sua dignità non è riconosciuta, ma è attribuita. Come descritto in profondità dalla storica Lucetta Scaraffia nel suo ultimo libro, questa mentalità è iniziata con il birth control (controllo delle nascite) che non a caso è originato dal movimento eugenista. La marcia è proseguita secondo la stessa direttrice con lo screening prenatale che equivale molto spesso ad una diagnosi di morte. A sua volta la diagnosi pre-impianto costituisce un’anticipazione tecnologica dei medesimi principi volta agli stessi fini, essa è né più né meno che un’eugenetica sentenza di morte. Se con la fecondazione artificiale a fresco i nati vivi sono l’8,8% degli embrioni prodotti (dati registro PMA 2012), con la diagnosi pre-impianto la percentuale di embrioni sacrificati è ancora più alta.
Che fa la tecnica che ora ci magnificano? La stessa cosa in maniera più incisiva. Il professor Boncinelli dice: meglio sano che malato, una cosa che sottoscriverebbe anche Catalano di “Quelli della notte”, ma dimentica di dire che tutta la tecnica fino ad oggi a disposizione non sana, ma scarta il malato. Per Boncinelli questo non è un gran problema, perché sul Corriere sminuisce l’embrione dopo la biopsia dei blastomeri usando il termine francamente imbarazzante di “abbozzo” (abbozzo di di che? Boh!); e ancora dal solito quotidiano nel 2005 scrisse che, seppure sin dalla fecondazione si è in presenza di un essere umano, la persona è cosa diversa ed il suo inizio non scatta “all’ora x”, ma può essere stabilito “per convenzione”, allo stesso modo per cui si decide la maggiore età a 18 anni.
Allora si deve tenere in mente che il diritto alla vita è qualcosa che precede i diritti politici. Michelangelo, Mozart, Velasquez e miliardi di esseri umani che la grande storia non ricorda hanno vissuto, pianto, gioito e sono morti senza avere mai messo una croce su una scheda elettorale. Senza vita non c’è maggiore età e proprio perché è “primum” la vita è bene primario. “Incertae providantiae nostrae”, è scritto nel libro della Sapienza. Chi è medico conosce da vicino la sofferenza umana e sa bene che ben poca di essa ha a che fare con il DNA. Si può partire con una Maserati genetica e trovarsi a correre al palio dei ciuchi, si può avere un trabiccolo di DNA ed essere stelle di prima grandezza. Questa è la lezione della vita, questo è il mondo reale.
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