Qualcuno aiuti i salesiani in crisi di identità. Sembra proprio che i figli di Giovanni Bosco ci siano ricascati. Dopo il caso del film scandalo Carol proiettato nel cinema gestito dai Salesiani di Roma in marzo, bocciato dalla stessa commissione di valutazione della Cei, questa volta a finire sotto osservazione sono i salesiani di Padova.
Qui, in via Asolo, sorge il Piccolo Teatro di Padova, di proprietà dell’Istituto salesiano Domenico Savio e gestito da un’associazione che fa capo alla vicina parrocchia di Giovanni Bosco. Struttura moderna e, tra l’altro, recentemente premiata dalla mostra del Cinema di Venezia per gli eccellenti risultati raggiunti nella diffusione dell’opera lirica. Si vede che quando i responsabili si sono recati in Laguna per ritirare il premio non hanno potuto fare a meno di rimanere incantati da uno dei film in Rassegna: The Danish girl che ha riscosso un notevole successo mediatico (ha avuto anche l’Oscar per la miglior attrice non protagonista) ma come spesso accade, uno scarso riscontro in botteghino: appena 2 milioni di euro.
Ma evidentemente ai salesiani, o ai curatori del cartellone che operano in nome e per conto di, il film non solo merita di essere visto da un pubblico composto per lo più da famiglie che frequentano la parrocchia, ma ha conquistato anche l’onore di essere proiettato nelle visioni di Pasqua e Pasquetta, quando, di solito al cinema si recano non solo gli habituè.
Detto, fatto. Il film proposto è non proprio quello che San Giovanni Bosco avrebbe definito una produzione edificante ed educativa per i virgulti. Basti pensare che negli Stati Uniti il sito Filmrating.com lo ha classificato con una R, che si affibbia senza remore ai film vietati ai minori di 17 anni, data in cui negli Usa viene raggiunta legalmente la maggiore età. La motivazione data dall’organismo di classificazione, nato per dare alle famiglie un criterio orientativo sulle pellicole per bambini e famiglie, è la seguente: Rated R for some sexuality and full nudity. Tradotto: “Nudità completa e scene con tematiche sessuali”.
Ora, immaginatevi il giovane curato che propone ai ragazzi dell’oratorio una soluzione del genere per la domenica principale della vita cristiana. Infatti in parrocchia qualcuno ha già iniziato a mugugnare. E non è un anziano bacchettone, dato che alla Bussola, la segnalazione è arrivata da un giovane parrocchiano che da poco ha raggiunto la maggiore età. “Già non mi piace l’idea di andare al cinema a Pasqua o Pasquetta ma se proprio volessi andare ecco cosa mi troverei a vedere”, ci ha detto.
E come dargli torto. Ma perché il film è considerato scabroso tanto che negli Usa viene contrassegnato da bollino rosso? Perché narra, strizzando l’occhio alla rivendicazione sociale della comunità Lgbt, della vicenda umana dell’artista di inizio Novecento Einer Wegener, che dopo aver accettato un gioco della moglie, capisce di trovarsi più a suo agio nei panni di una donna e diventa così Lili Elbe, il primo travestito della storia sottoposto ad una operazione per la riassegnazione del sesso, che però gli fu fatale. Un film a tesi. Un film manifesto.
Un dramma amoroso e sociale al tempo stesso, dove l’attore protagonista non ha fatto mistero di aver preso spunto dalla storia di alcuni transessuali. Un dramma ovviamente che ci guardiamo bene dal giudicare anche se l’idea di fondo è quella che le convenzioni sociali non sono altro che un ostacolo alla manifestazione dell’amore vero. E il sesso biologico di fatto è un ostacolo a tutto ciò. Il messaggio di fondo del film in realtà sta tutto qui e in tempi come questi di diritti gay, figli alle coppie omosex e simil matrimonio, non è stato un caso che la pellicola abbia trovato adeguato spazio sui giornali e nelle mostre cinematografiche dove è stata candidata a molti premi.
Un po’ meno però è il vettore attraverso cui il film viene diffuso a Padova. E qui, non c’è dramma che tenga, né diritto umano che venga prima, dato che il cinema che lo ha proposto è di ispirazione cattolica e gestito da un ente religioso. Bacchettoni? Non proprio, almeno stando a giudicare la tesi che permea il film secondo cui l’amore vince su tutto e dunque non c’è verità sulla natura dell’uomo. In pratica: cambiate pure sesso senza stare a interrogarvi troppo. Tesi che può essere emozionante quanto si vuole, ma che è in contrasto con quell’antropologia cristiana che una sala parrocchiale dovrebbe promuovere.
Ma onde evitare di incorrere in qualche reprimenda al contrario è bene ricordare che i cinema parrocchiali sono anch’essi disciplinati da un preciso regolamento. Che non è stato fissato con Mosè sul Sinai, bensì da una legge laica. Viene a questo punto da chiedersi se la pellicola proposta possa essere in linea con quanto disposto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 28 “Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche” che al comma 10 dell’articolo 2 definisce così i cinema parrocchiali: “Per sala della comunità ecclesiale o religiosa si intende la sala cinematografica di cui sia proprietario o titolare di un diritto reale di godimento sull’immobile il legale rappresentante di istituzioni o enti ecclesiali o religiosi dipendenti dall’autorità ecclesiale o religiosa competente in campo nazionale e riconosciuti dallo Stato. La relativa programmazione cinematografica e multimediale svolta deve rispondere a finalità precipue di formazione sociale, culturale e religiosa, secondo le indicazioni dell’autorità ecclesiale o religiosa competente in campo nazionale”.
E’ dunque una finalità della Chiesa di oggi quella di proporre il cammino di liberazione sessuale attraverso la teoria gender?
di Andrea Zambrano | Lanuovabq.it
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