I giovani sono disperati perché gli adulti non dicono più la verità

Sociologo e psicologo, ma soprattutto un uomo che, “sebbene fossi povero, sin da piccolo avevo la sicurezza che la vita era piena di una presenza buona”. Poi l’incontro con don Giussani e la scoperta che “la promessa che ci viene fatta alla nascita ha una carne, è viva”. Così Silvio Cattarina, fondatore della comunità terapeutica di Pesaro l’Imprevisto, spiega alla Nuovabq.it da dove nasce la fragilità dilagante degli adolescenti e la disperazione che li porta a gesti e violenze estreme.

E’ recente la notizia di un nuovo gioco, “Balena Blu”, che propone un percorso di prove, inizialmente banali, poi autoumilianti. Fra le tappe anche la visione di 24 ore di fila per parecchi giorni di film dell’orrore. Queste prove sono tutte fotografate e messe in rete. L’ultima tappa prevede il suicidio. Il gioco, ideato da un 20enne russo, arrestato nel 2016, si è diffuso in altri paesi. Oggi si contano diverse vittime. Se si può lontanamente capire il suicidio per disperazione profonda, è difficile comprendere come si possa arrivare a togliersi la vita tramite un gioco e in modo così freddamente programmato. Di che cosa è segno, secondo lei, un fenomeno come questo?
Penso che se nella vita manca una proposta bella, buona e seria tutto si riduce ad un gioco. E siccome l’uomo non può sopprimere il suo bisogno infinito, più il gioco è estremo, terribile e scandaloso meglio è. Quello che colpisce di questo “gioco” sono le foto delle prove messe in rete. E’ significativo, perché la vita deve sempre essere al cospetto di qualcosa di grande. L’uomo sente che la vita deve essere per qualcuno, deve essere voluta e  guardata da un altro reale. Nelle epoche passate una cosa bella e grande doveva essere vista da Dio. Dio ti vedeva sempre, perciò ogni particolare era curato anche nel nascondimento. Se Dio, un Dio vero, viene eliminato quel bisogno resta. Allora si cerca approvazione altrove, si fanno diventare i social network i nostri dei, dove più gente vede te e ciò che fai più ti pensi importante. In questa povera epoca moderna vogliamo mettere tutto in piazza: se la gente non mi vede allora non esisto.

Ci deve essere qualcosa di diabolico in un gioco del genere, ma probabilmente anche in chi lo pratica c’è qualcosa di malato.
Sono vere entrambe le cose. C’è qualcosa di diabolico in questo gioco. Ma la cosa più diabolica è una grande assenza e il pensare che questa sia normale e reale, quindi irrimediabile. Ciò produce rassegnazione e disperazione. Gli adulti non dicono più ai giovani la verità: che c’è una presenza che fa ogni cosa e che fa anche loro. Ma l’assenza troppo prolungata porta alla patologia per cui si esplode come a dire: “Guardami! Esisto!”. Anche la diffusione dei tatuaggi sul corpo lo dice: “Accorgiti che ci sono, guarda che soffro porca vacca! Ma non ti accorgi? Non vedi?”. E’ un grido lancinante ma muto, come non avesse un destinatario. Non si sa a chi lo si rivolge. Ma la presenza di un destinatario è necessaria per vivere sperando, perché implica un destino per cui siamo al mondo.

Vediamo sempre più giovani sviluppare delle dipendenze e schiavitù. Non solo dalla droga ma anche dalla rete, dalla pornografia (fenomeno dilagante anche fra i bambini e che porta a concepire i rapporti con violenza). Quanto queste dipendenze sono legate alla fragilità educativa o familiare crescente e quanto dal bombardamento mediatico?
Comincio rispondendo alla prima parte della domanda. Questi fenomeni e mode portano a concepire i rapporti come strumenti e quindi alla violenza. Ma l’accento non è da porsi tanto sui social, la droga o la pornografia. Il punto, infatti, è la violenza presente nel cuore dei ragazzi, anche degli adulti a cui queste mode danno sfogo alimentandola. Perché tutti nasciamo in forza di una grande promessa e se questa viene tradita, o se non viene insegnata la strada per arrivarci, inevitabilmente si diventa violenti. Il tradimento sono nel nichilismo, borghesismo, nelle separazioni che sembrano dire che è impossibile vivere per qualcosa di grande che attendo. Allora i giovani si arrabbiano e hanno ragione. Farei così anche io. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda rispondo che tutto è amplificato dal fatto che il bombardamento mediatico si innesta su un fragilità educativa di adulti che non sanno più dire che si viene al mondo per un grande scopo, che nella realtà c’è una grande presenza, c’è la provvidenza, un grande aiuto, sol che tu lo chieda, sol che tu la cerchi. I grandi non riconoscono più questa evidenza e quindi i giovani si sentono persi, senza direzione. L’influenza mediatica fa leva su questo aggravando la situazione e i danni.

Tanti temono di mettere al mondo figli che devono poi vedersela con scuole dai contenuti sempre più deboli (anche cattoliche), con coetanei che tramite l’accesso ai media influenzano i compagni. I genitori poi temono spesso di opporsi al pensiero unico per non essere denunciati dalle scuole (vedi in America dove le scuole possono segnalare i genitori all’autorità se sostengono che si nasce solo uomo o donna). Come se ne esce?
Reimparando l’abc: cos’è la persona e la vita. Il guaio dell’epoca moderna è che ci ha portato via i fondamenti, i nomi delle cose. Perciò, nelle nostre comunità terapeutiche facciamo come una scuola di due incontri al giorno per insegnare cosa sono e a che cosa servono le cose. Parliamo della bellezza e della bruttezza, del bene e del male. I giovani sono poveri di questo. Sanno solo darsi i loro corpi anche se vorrebbero darsi di più: “Facciamo solo sesso con la ragazza perché non sappiamo fare altro”, ti dicono. “Non sappiamo come si fa ad essere amici, non sappiamo parlare, non siamo vuoti, abbiamo dentro tutto ma non sappiamo dirlo, non sappiamo cos’è”. Dobbiamo ricominciare da capo. Quando dico a uno: “Se una ragazza si innamora di te con gli occhi rapiti, credi si sia innamorata della tua persona? No! Ma di quanto tu sei vivo, vivo per la vita. Poi dopo, con il tempo, amerà te, le tue mani e occhi e capelli, la tua cultura, ma dapprima si innamora di come vivi”. I ragazzi spesso non sanno che la vita è un mistero vasto e profondo. Ecco davanti alla paura dico ai genitori che devono reagire costruendo una civilizzazione nuova, partendo da una grande e gloriosa tradizione. Come quando racconto loro di Paolo e Francesca, beccati a fare sesso estremo, come direbbero i giovani. Dante li ha messi all’inferno, spiego, non perché erano caduti, ma perché avevano sperato in troppo poco: il vostro amore fisico è poco, siete fatti per molto di più. Quando comincio a spiegare queste cose, i ragazzi ripartono, ricominciano. E’ vero hanno famiglie problematiche, passati di dolore, ma ciò che più fa soffrire è una mancanza di profondità della vita. Di senso, bisogna riconquistarli con cose più grandi di quelle che offre loro il mondo.

Sì ma viviamo in una società così pervasa dalla menzogna che diventa difficile educare. Verrebbe voglia di creare dei monasteri di famiglie, dove ricominciare da capo. Cosa ne pensa anche partendo dall’esperienza della comunità terapeutica, in cui, in un certo senso, tante tentazioni vengono eliminate?
Sì è vero il togliere serve, ma non in senso punitivo. E’ un togliere per dare. Togliamo gli idoli che ingannano per offrire una presenza che mi dice: “Tu vali, con te farò cose grandi”. Educando bisogna porre limiti e bisogna essere anche severi e precisi, proprio per togliere via ciò che impedisce di guardare meglio a questa cosa più grande. In questo ci vuole un’alleanza educativa: se avessi una scuola non farei le gite con gli alunni, ma con i genitori, per instaurare rapporti, creare legami, diventare amici. Per imparare insieme a loro, che sono soli e in una difficoltà e paura estreme, come rispondere alle sfide educative. Ho detto ad alcuni insegnanti: ogni 15 giorni dovete riunire i genitori, sentire cosa pensano e dire: “Ma tu dici a tuo figlio che la vita vale? Che è bella anche se dura e drammatica? Anche se la mamma è così, anche se sbagli anche se sei incoerente? Glielo dici che non siamo qui a caso?”.

Spesso temiamo di offrire un senso che richieda degli argini per non “ledere la libertà” del giovane. Così si finisce per parlare di una misericordia generica, priva di sacrificio. Cosa significa amare la libertà di un giovane? Solo aspettarlo o sfidarlo in qualche modo? Insomma che rapporto c’è fra libertà e verità?
Basta essere leali per capire che la verità viene prima di tutto, bisogna dirla, invocarla, gridarla. La verità è la cosa più importante, senza dire la verità non si va da nessuna parte. L’educatore deve pensare prima a sé, al suo bisogno di verità, giustizia, bellezza. Io parlo ai giovani del mio bisogno di vita, lo lascio esplodere e annuncio loro la verità. La libertà dell’uomo non è la scelta fra un sì ed un no. La libertà è solo nel “sì” ad una proposta. Perché se dici “no” al bene e fai il male non ti senti libero: siamo creature poverette che per essere libere devono dire sì ad una grande e vera proposta. La verità è un’imponenza e puoi essere felice solo aderendovi, non bisogna stancarsi di viverla e proporla senza sconti ai giovani. Perché come dice il gioco folle di cui abbiamo parlato, siamo noi e non loro a temere la radicalità.

di Benedetta Frigerio | Lanuovabq.it

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