L’attentato compiuto a Manhattan da Sayfullo Saipov rischia di venire presto dimenticato, come è accaduto ad altri attacchi jihadisti condotti con lo stesso schema in Europa. Il numero di vittime non è così elevato da renderlo memorabile come l’11 settembre 2001 (quasi 3mila morti) o la serie di attacchi ricordati con l’azione condotta da un commando jihadista al Bataclan di Parigi (130 morti).
Anzi, c’è già chi sottolinea l’indebolimento progressivo dello Stato Islamico, definito incapace di provocare stragi consistenti, ma al tempo stesso ritiene che il tracollo del Califfato sui fronti bellici in Siria e Iraq aumenterà la pressione terroristica. Però l’Isis ha colpito più duramente in Europa proprio durante la sua fase espansiva in Medo Oriente. A differenza di al-Qaeda, per alcuni anni il Califfato ha assunto il rango di vero e proprio Stato, ma dopo aver perso il suo territorio continuerà presumibilmente a colpire con le armi di guerriglia e terrorismo che certo non gli sono ignote. Il “modus operandi” utilizzato da Saipov è lo stesso degli attentati con i veicoli compiuti a Nizza, Berlino, Stoccolma, in Gran Bretagna, Canada, Israele e risponde alle istruzioni fornite da Mohammed al-Adnani (il capo della propaganda del Califfato ucciso l’anno scorso da un drone statunitense) ai seguaci del jihad privi di preparazione militare, ai quali si raccomanda l’uso di armi improprie come coltelli da cucina, veleni e veicoli per uccidere gli infedeli.
Saipov, come i suoi predecessori, non era un foreign fighter, non era stato addestrato al combattimento e sabotaggio né aveva militato in formazioni combattenti in Iraq, Siria o Libia. Come gli altri suoi predecessori aveva però pianificato attentamente l’attacco (forse non da solo) ed era decisamente motivato, considerato che ai polizotti che lo interrogano in ospedale ha detto di sentirsi orgoglioso del suo gesto rammaricandosi di aver ucciso così pochi infedeli. Una determinazione condivisa da chissà quanti dei moltissimi estimatori del jihad che vivono in Europa e Stati Uniti. Inchieste e sondaggi in tal senso rivelano dati allarmanti.
In settembre il Quotidiano Nazionale ha pubblicato un sondaggio tra i musulmani in Italia realizzato dalla società demoscopica IPR Marketing che ha rivelato percentuali preoccupanti di filo jihadisti: il 28% degli intervistati condivide le ragioni dei terroristi e il 33% sostiene che l’islam deve conquistare l’Occidente. Nel marzo 2016 l’istituto britannico ICM rivelò che il 4% dei musulmani nel Regno Unito condivide la scelta dei terroristi suicidi, il 32% giustifica le violenze contro chi offende l’islam e Maometto e solo il 34% denuncerebbe alla polizia un terrorista. In Francia due inchieste rivelarono nel 2015 che il 28% dei musulmani francesi di tutte le età (oltre un milione di persone) è pronto a mobilitarsi per la sharia contro lo Stato francese e il 50% dei giovani tra 15 e 25 anni vorrebbe imporre la sharia in Francia.
Dovremmo quindi chiederci quanti potenziali Saipov si annidano tra i milioni di fans del terrorismo jihadista presenti in Europa. La risposta è necessariamente disarmante poiché è impossibile controllarli tutti ma è anche politicamente scomoda perchè trasferisce il terreno di scontro dalla lotta al terrorismo alla minaccia sociale, politica e di sicurezza rappresentata dalla penetrazione islamica in Occidente. Ci culliamo nell’illusione che il nemico sia il terrorismo mentre sprofondiamo inesorabilmente in Eurabia.
Gianandrea Gaiani | Lanuovabq.it
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