I disagi giovanili e l’inganno ideologico dietro la transizione di genere

Cosa c’è dietro il boom della transizione di genere, soprattutto per i minori, a cui stiamo assistendo negli ultimi anni? Non è chiaramente semplice rispondere a questa domanda, dal momento che siamo senza dubbio dinanzi ad un fenomeno complesso, esito cioè di tutta una serie di concause correlate tra loro. Propaganda mediatica, social, mondo scolastico, pseudo-scienza e così via. Tra queste, però, c’è anche l’altrettanto complesso universo dei disagi giovanili e adolescenziali e le spesso assurde e ideologiche risposte che proprio a bambini e giovani arrivano da parte di un mondo che non fa altro che spingerli solo ed esclusivamente alla transizione.

Basti pensare che i giovani che si rivolgono a medici e specialisti che trattano la disforia di genere presentano tassi di co-morbidità psichiatrica nel 40-50% dei casi e con «disturbi dello spettro autistico» nel 6-20% dei casi, mentre nella popolazione generale siamo a 0,6%. In questa direzione, va detto, vanno anche degli importanti studi scientifici. Per esempio, una ricerca pubblicata nell’aprile 2021 sulla rivista Human Systems ha scoperto, studiando 79 giovani di ambedue i sessi inviati a una gender clinic, come – oltre a provenire spesso da famiglie divise – costoro sperimentano in oltre il 62% dei casi ansia o depressione, in oltre il 40% delle situazioni alti livelli di disagi, ideazione suicidaria e autolesionismo e in oltre il 35% di casi disturbi comportamentali.

Analogamente, la famosa editorialista inglese Sarah Ditum – spesso criticata dal mainstream proprio per le sue posizioni sull’identità di genere, la genitorialità e la cancel culture – sulle colonne di “Unherd” Sarah Ditum ha scoperto come, se si esaminano le biografie dei giovani che vogliono “cambiare sesso”, tra le quali la componente femminile è prevalente, troviamo delle «ragazze sorprendentemente simili tra loro», osserva l’editorialista. Infatti queste giovani risultano accomunate da: look e tagli di capelli; una passione per gli Youtubers transgender; la frequente compresenza di altri problemi (autolesionismo non suicidario, ideazione suicidaria, tentativi di suicidio, condizioni dello spettro autistico (ASC), disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), sintomi di ansia, psicosi, difficoltà alimentari, esperienze di bullismo e abusi); una identità lesbica o bisessuale dichiarata nel 90% dei casi.

Non esagera insomma chi ritenga, dinnanzi a questo quadro, come assecondare il “cambio di sesso”, per molti giovani, rischi di essere null’altro che l’assecondare quel disagio legato all’incongruità tra il proprio corpo che da una parte si supererebbe quasi certamente da solo con la maturità, mentre dall’altra spinge la persona con disforia di genere a cercare il cambiamento verso il sesso opposto, percepito come appagante.

Il punto è che oggi dei problemi preesistenti in chi si sente a disagio nel proprio corpo non si tende a parlare; anzi, si tende a nasconderli a favorire in tutti i modi il “cambio di sesso”. A venire nascosti però sono spesso studi e ricerche di grande rilevanza e autorevolezza scientifica. Oltre ai già citati, infatti, è doveroso portare alla luce un lavoro pubblicato nel 2008 sul Journal of Sexual Medicine che affermava infatti che i livelli di disforia di genere «diminuiscono o addirittura scompaiono in una percentuale considerevole di bambini (le stime vanno dall’80 al 95%). Pertanto, qualsiasi intervento nell’infanzia sembrerebbe prematuro e inappropriato». O ancora nel 2012 fu l’American Academy of Child & Adolescent Psychiatry (AACAP) a pubblicare un lavoro nel quale si ricordava che «negli studi di follow-up su ragazzi in età prepuberale con discordanza di genere, compresi molti non sottoposti a trattamento di salute mentale, i desideri di cambiare sesso di solito si affievoliscono con il tempo e non persistono nell’età adulta, con solo il 2,2% – 11,9% che continua a sperimentare la discordanza di genere». Anche una pubblicazione uscita lo scorso anno ha evidenziato come il significativo insieme di dati di cui disponiamo «suggerisce che la maggior parte dei casi di disforia di genere ad esordio infantile cessa prima dell’età adulta».

A preoccupare, inoltre, non sono solo i disagi che stanno alla base della volontà dei giovani di “cambiare corpo”, ma anche alcuni effetti, sempre legati alle paure adolescenziali, che altrettanto di frequente nascono anche dopo aver intrapreso un percorso di transizione. In tal senso la pediatra californiana Jane E. Anderson dell’American College of Pediatricians, in un suo lavoro di recente pubblicazione, dal titolo “Mental health in adolescents with incongruence of gender identity and biological Sex”, ha appunto indagato il cosiddetto “approccio affermativo”, trovandolo senza basi. «Sia prima sia dopo la ‘terapia di affermazione di genere’ – si legge infatti nello studio – gli adolescenti che presentano incongruenze nell’identità di genere corrono un rischio maggiore di psicopatologia rispetto ai loro coetanei che si identificano con il loro sesso biologico», motivo per cui si può concludere che «non ci sono prove a lungo termine che i problemi di salute mentale siano diminuiti o alleviati dopo la “terapia di affermazione del genere”».

Queste affermazioni e gli studi sopracitati sono, purtroppo, molto chiari ed eloquenti. Prove scientifiche che dovrebbero far riflettere non solo sul problema stesso della transizione di genere, ma anche e soprattutto su ciò che sta dietro ad essa e sulle risposte – assurde e ideologiche – che arrivano ai ragazzi. Risposte, ingannevoli, che purtroppo conosciamo fin troppo bene: l’unica strada “giusta” e percorribile è quella di assecondare la volontà di transizione per il bene fisico e mentale dei ragazzi.

No. Non è così. E’ tutto un grande, e pericoloso, inganno, come quello che ha scosso – tanto per fare uno di molti possibili esempi – la vita di Luka Hein, la giovane detransitioner americana che ad ottobre 2024 è in viaggio per tutta Italia con l’evento l’evento “INGANNATA – Perché nessuno è nato nel corpo sbagliato. Nemmeno io”, organizzato da Pro Vita & Famiglia onlus per portare la sua testimonianza e cercare di far aprire gli occhi a giovani, società, cittadini e politica.

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