La responsabilità dei credenti nell’affrontare la crisi dei rifugiati è uno tra i temi ricorrenti del Kirchentag 2017.
Tra i vari dibattiti che si susseguono al Kirchentag 2017 si possono individuare dei filoni che accomunano molti interventi, linee che danno forma a quella che è l’attualità tedesca nelle sue connessioni con il resto del mondo e la visione che le chiese si scambiano su quelle che potrebbero essere le prossime sfide per il futuro.
Il dibattito sulle migrazioni e la crisi umanitaria accende l’interesse di molti, sia in quanto cittadini sia come credenti. Sui vari palchi si susseguono le testimonianze di chi è stato un migrante accolto in Germania e che ora si batte perché i diritti dei richiedenti asilo siano rispettati, di chi lavora a diretto contatto con i richiedenti asilo o chi, all’interno delle istituzioni, cerca di dare una prospettiva sulle politiche da applicare in questo momento di cambiamento globale. Ieri pomeriggio, tra gli altri, è stata la volta di Eni Lestari Andayani Adi, membro dell’Ima, l’International Migrant Alliance con sede a Hong Kong, la quale ha invitato gli ascoltatori a tenere sempre a mente che, quando si cita il fenomeno delle migrazioni, si parla di persone e che, nonostante la specifica visione europea, in Asia lo spostamento di persone in fuga o in cerca di lavoro è enorme. Insieme a lei anche Nizaqete Bislimi, scrittrice e avvocato per l’Associazione romanì a Essen, e Ephtalia Pappa, del programma per i rifugiati della Chiesa evangelica in Grecia.
Giovedì pomeriggio e venerdì mattina c’è anche spazio per l’esperienza italiana e in particolare per il progetto dei Corridoi Umanitari, presentato alle 11 da Paolo Naso e Marta Bernardini, coordinatore e operatrice di Mediterranean Hope.
Scambiando qualche parola con Paolo Naso poco prima dell’inizio, ci colpisce la sua frase: «dove altri se non qui?». Questa domanda diventa un’affermazione quando si pensa al ruolo decisivo della Germania nella definizione delle politiche europee. Se alle elezioni di settembre l’attuale cancelliera Angela Merkel dovesse venire riconfermata in questo ruolo, come suggerito da tutti i sondaggi politici, la posizione tedesca si rafforzerà soprattutto in cooperazione con la Francia. «Proprio per questo – prosegue Naso – saranno Francia e Germania a determinare il futuro delle politiche in materia di immigrazione, e da questo punto di vista Berlino è il luogo ideale in cui ripetere ciò che abbiamo sempre detto con Mediterranean Hope, cioè che la questione migratoria nel Mediterraneo non può essere scaricata su Italia, Grecia, Malta o Spagna, perché il confine sud dell’Europa appartiene a tutta l’Europa». Questo concetto è stato ribadito durante l’incontro Corridors of Hope, trasmesso in diretta sulla pagina Facebook di Radio Beckwith Evangelica. Alle 12, poi, l’intero Kirchentag ha osservato un minuto di silenzio per ricordare i migranti che negli anni hanno perso la vita cercando di raggiungere l’Europa. Un momento forte, toccante, che non può tuttavia essere soltanto un esercizio di memoria. «L’unico modo chiaro per combattere il traffico irregolare e clandestino che ogni anno ci affida il debito di 4.000-5.000 persone morte – ha proseguito Naso dopo il gesto – è creare vie d’accesso legali e sicure in Europa». Un tema che, posto a Berlino, al Kirchentag, di fronte a una platea tedesca, di fronte a politici tedeschi, di fronte alle chiese tedesche, che tanto peso hanno nel dibattito pubblico di questo Paese, è un dito che indica un esempio positivo e replicabile.
Intanto, questa mattina altre 6 persone sono arrivate all’aeroporto di Fiumicino grazie al progetto dei Corridoi umanitari. «Abbiamo delle quote ormai residuali di siriani – spiega Paolo Naso – ma la crisi clamorosa è quella dell’Africa occidentale, di Paesi come il Niger, la Nigeria, il Gambia, la Costa d’Avorio, il Mali. Questo sposta l’accento, vorrei dire la direzione di marcia, dell’intervento». Tuttavia, come sottolineato da alcuni partecipanti all’incontro, i migranti africani godono di una sorta di “rango inferiore” rispetto a chi fugge dalla guerra in Siria, come se la maggior distanza culturale e la diversa natura della migrazione la rendesse meno legittima e meno praticabile in termini di integrazione. «Dobbiamo porre la questione – ha replicato Naso dal palco – anche in termini giuridici, perché si distingue tra migrante economico e profugo politico, ma questa definizione, che funzionava forse negli anni della Guerra Fredda, non funziona più in anni in cui il migrante economico sfugge anche da persecuzioni e colui che sfugge da persecuzioni è anche una persona che vive in un terreno desertificato con sempre minori risorse. I due campi si intrecciano in una sorta di nuova figura migrante, che ha caratteristiche sia del migrante economico che del profugo o del rifugiato politico. Ecco, il sistema europeo dell’accoglienza non coglie questa novità, e ancora ragiona in base a categorie obsolete».
Tra i modelli proposti dalla politica e che si appoggiano maggiormente su questa logica, si trova sicuramente quello degli hotspot, che individua il migrante economico sulla base della provenienza geografica e talvolta gli impedisce persino di avanzare la domanda d’asilo, che viene impedita o comunque resa così complessa da diventare in pratica impossibile. «A queste persone viene affidato un foglio di via di 7 giorni, quindi loro da sole dovrebbero rientrare nel proprio paese. Questo significa che ci creiamo da soli degli irregolari». L’altro comportamento che viene messo in atto è quello, quando esistono degli accordi di ritorno accompagnato, di riportare fisicamente nel paese di origine la persona che ha cercato di lasciarlo. «Da questo punto di vista – afferma Naso – crediamo che si corra anche il rischio di violare alcune norme di protezione internazionale, perché alcune persone vengono talvolta riconsegnate nelle mani dei loro carnefici».
Parlare di corridoi umanitari a Berlino, nel cuore politico ed economico d’Europa, non è soltanto un passaggio simbolico, ma assume una valenza pratica se si guarda al ruolo che l’Unione europea è chiamata a giocare, un compito che in teoria dovrebbe appartenere alla vocazione stessa di questo territorio, come ribadito a più riprese e in più ambiti durante il Kirchentag. A margine dell’incontro, è ancora Paolo Naso a riflettere su questo tema. «L’Europa, che è stata il faro dei diritti umani, ha un compito morale e politico di prim’ordine anche di fronte all’evidente insensibilità della gestione americana attuale in questa fase, negli anni della presidenza Trump, quindi il pallino morale e politico è tornato all’Europa, e speriamo che in un rapporto più ravvicinato, più diretto, con le realtà vere di questi Parsi soprattutto dell’Africa occidentale si possa immaginare un migration compact, un piano complessivo che metta insieme diversi strumenti. I corridoi umanitari non sono la soluzione magica e conclusiva di questa tragedia, anzi: al momento sono soltanto una buona pratica che si propone di applicare su larga scala, ma è chiaro che anche avendo corridoi umanitari per 100.000, 200.000, 300.000 persone l’anno, occorrerà comunque immaginare di mettere mano alle cause che determinano le migrazioni. Occorrerà intervenire nei Paesi dove le situazioni di disagio, di persecuzione, di povertà, sono determinate. Qualcuno parla di un “piano Marshall” per l’Europa. È suggestivo, ma ogni stagione ha il suo tempo, l’età della post-globalizzazione non è quella del piano Marshall degli anni del dopoguerra, ma un grande intervento strategico di sostegno all’economia, un’economia che non dev’essere dipendente, ma un’economia autonoma di questi paesi che però prima devono essere stabilizzati. Ecco, credo che questa sia una strada che l’Europa deve cominciare a delineare».
di Marco Magnano e Susanna Ricci | Riforma.it
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