Ancora notizie di discriminazioni e persecuzioni dal Pakistan. In contemporanea con gli annunci di nuove “imprese” alpinistiche e progetti di “valorizzazione” (leggi sfruttamento, “addomesticamento”…) delle ultime aree (quasi) incontaminate del “Terzo Polo”.
Mentre i nostrani farisei (“sepolcri imbiancati” come da manuale) travestiti da “buoni samaritani” non demordono nella realizzazione di strade, ponti e rifugi alpini (di cui, oltre ai turisti – travestiti da alpinisti – occidentali, qatarini, sauditi etc usufruiranno le borghesie locali), per gli emarginati, i proletari, i poveri, le masse popolari umiliate e offese del Pakistan le cose procedono come sempre. Di male in peggio. Se poi sei anche cristiano…cavoli tuoi.
Come denunciava qualche tempo fa un articolo di Zia ur-Rehman e di Maria Abi-Habib (v. New York Times, maggio 2020) sulle dure discriminazioni subite dalle minoranze religiose (cristiane, ma non solo) in ambito lavorativo. Relegati ai lavori più pericolosi e meno qualificati, per non dire disprezzati, ritenuti “sporchi”, indegni e degradanti. Ma a cui sono costretti, in mancanza di alternative, per poter comunque sopravvivere.
In Pakistan la comunità cristiana, in gran parte discendente da gruppi induisti convertiti, di fatto costituisce una casta inferiore.
Nell’articolo (risalente a quasi quattro anni fa, ma comunque estremamente attuale) si raccontava la dura vita di uno spazzino, Jamshed Eric. Il cui lavoro consisteva nella quotidiana pulizia (a mani nude, senza guanti e mascherina, con tutti i rischi per la salute connessi) dei canali di scolo e pozzi neri dei quartieri poveri di Karachi. Maleodoranti, intasati di feci e rifiuti di ogni genere (compresi residui ospedalieri), infestati dai batteri e da cui durante le operazioni di drenaggio fuoriescono, insieme a orde di scarafaggi, pericolosi gas tossici. Mancando di adeguate attrezzature è scontato che molti tra di loro finiscano con l’ammalarsi anche seriamente (e sulla situazione della sanità pubblica pachistana, sempre più privatizzata, bisognerebbe aprire una capitolo a parte).
Nel caso di Karachi si calcola che siano almeno 1750 milioni di litri di rifiuti quelli che quotidianamente produce la città portuale (20 milioni di abitanti).
Una situazione che – a differenza dell’India dove le discriminazioni di casta vengono, almeno ufficialmente, contrastate dalla legislazione (anche se finora i risultati sarebbero piuttosto scarsi) – gli stessi governi pachistani contribuiscono ad alimentarla. Mentre, viceversa, accolgono con generosa ospitalità i nostri turisti d’alta quota.
In varie occasioni, per esempio, l’esercito pakistano (quello che mette a disposizione i suoi elicotteri per gli incauti o sprovveduti alpinisti rimasti incrodati) aveva emesso bandi di concorso per spazzini e addetti alle fognature. Precisando però che potevano parteciparvi solo i cristiani. Una discriminazione a carattere religioso che venne tolta soltanto dopo le accese proteste delle associazioni sindacali e di difesa dei diritti umani.
E la triste consuetudine si estende anche ad altri ambiti. Durante l’epidemia di Covid-19 molte donne indigenti (senza casa, vulnerabili…) di religione cristiana e induista, in fila per ricevere una razione di cibo distribuita dall’organizzazione benefica“Saylani Welfare International Trust”, venivano invitate con fermezza ad abbandonare la fila e andarsene via.
Proprio in questi giorni nella città di Faisalabad il sindacato degli spazzini (in stragrande maggioranza cristiani, ca va sans dire, visto che la quota riservata ai musulmani è solamente del 5%) hanno protestato per l’ennesimo ritardo nel ricevere lo stipendio. Un evento ricorrente negli ultimi dieci anni. Al momento su circa 4500 spazzini, oltre 3500 sono cristiani, un’altra buona parte induisti o esponenti di altre minoranze.
Proprio a Faisalabad nell’agosto scorso si erano registrati vari episodi di assalti a chiese e abitazioni di cristiani da parte di gruppi islamici. Costringendo molte persone ad abbandonare la propria casa e fuggire altrove.
In dicembre gli spazzini si erano organizzati per protestare con sit-in e manifestazioni riuscendo, se pur tardivamente, a ottenere quanto spettava loro soltanto il 9 gennaio.
Verrebbe paradossalmente da dire: ma perché non si trasferiscono al Nord dove potrebbero essere utilmente impiegati per ripulire le latrine di campi base e rifugi oltre a tutta la merda lasciata sui ghiacciai da sciatori, alpinisti e turisti benestanti vari?
Gianni Sartori
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