La dittatura del ‘politicamente corretto’ colpisce ancora. All’Università di Roma Tre non si può parlare d’aborto. È stato infatti censurato l’incontro pubblico di Gianna Jessen con gli studenti universitari, in programma ieri pomeriggio alle 15 presso l’aula 17 del Dipartimento di Studi Umanistici in via Ostiense. La Jessen avrebbe dovuto semplicemente parlare di sé e raccontare la sua storia. Eppure questo diritto le è stato negato. Perché? Semplicemente perché la Jessen è “nata per un aborto salino”. Si legge questo sul certificato di nascita di Gianna, la quale è incredibilmente sopravvissuta a tale cruenta pratica abortiva diffusa negli Stati Uniti e riservata a feti di ormai 6 mesi. Anche a Gianna è stata iniettata una soluzione salina che avrebbe dovuto corroderla perché fosse partorita morta il giorno seguente. Ma, con grande sorpresa di tutti, Gianna ha potuto venire alla luce, grazie soprattutto al soccorso di un’infermiera che la fece trasferire repentinamente in ambulanza dalla clinica a un ospedale. “Il medico che avrebbe dovuto abortirmi non ha vinto ? afferma la Jessen in una testimonianza pubblica tenuta al parlamento di Victoria in Australia, il cui video sottotitolato in italiano è reperibile su YouTube, ? anzi ha dovuto firmare il mio certificato di nascita. Io sono la bambina di Dio!”.
Organizzato in collaborazione con CitizenGo, Notizie ProVita e La Quercia Millenaria onlus, l’evento è stato promosso dagli Universitari per la Vita, un’associazione studentesca “apartitica e aconfessionale, che s’impegna a diffondere la ‘cultura per la vita’ negli atenei italiani a partire da quelli della capitale, promuovendo campagne di sensibilizzazione, attività di formazione ed eventi e coinvolgendo studenti di diverse nazionalità anche attraverso degli aperitivi in università, allo scopo di tutelare e custodire il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale”.
Secondo ‘voci di corridoio’ già il titolo dell’evento, “Sopravvissuta all’aborto”, avrebbe infastidito alcuni professori, avvalorando il loro pregiudizio che in università si sarebbe svolto “un incontro contro l’aborto”. Di qui, probabilmente dopo aver guardato le altre testimonianze della Jessen in rete, tali docenti avrebbero giudicato il personaggio ‘scomodo’, anche perché “colpevole, sul piano politico, di sostenere in America la destra repubblicana”. Insomma, senza ascoltarla dal vivo, costoro hanno deciso preventivamente che il suo stile sarebbe stato poco dialogante e dunque non idoneo a un’aula universitaria. Così, a meno di ventiquattro ore dall’evento, gli Universitari per la Vita si sono visti negare la concessione dell’aula precedentemente accordata, in quanto la richiesta della stessa sarebbe stata improvvisamente valutata invalida sul piano formale.
Il Consiglio della Facoltà di Lettere ha infatti contestato al gruppo di non aver indirizzato correttamente tale richiesta, deliberando che l’incontro con la Jessen fosse confinato in uno spazio ritenuto più congruo all’iniziativa, ossia quello della Cappellania di Roma Tre nei pressi della Basilica di San Paolo fuori le mura. Se il motivo fosse stato soltanto di natura burocratica, un’aula libera si sarebbe magari comunque potuta trovare anche all’ultimo momento. I fatti lasciano invece presagire che la motivazione è di ben altra natura. “Siamo esterrefatti da questa scelta liberticida – ha commentato Filippo Saverese di CitizenGo Italia. Si dimostra che esiste un regime di pensiero che impedisce ad alcune persone di esprimere liberamente e democraticamente il loro pensiero, violando la Costituzione”.
Adottando un simile ostruzionismo, l’università che da un lato invoca il dialogo, dall’altro lo nega di fatto a priori e, privando i suoi studenti dell’opportunità di un sereno e fecondo confronto sul tema dell’aborto, di fatto ne squalifica la riflessione sul piano razionale, relegandolo alla sfera confessionale. Eppure, contrariamente a quanto si potrebbe presumere, il motivo per cui in Italia i ginecologi obiettori sono 7 su 10 è di carattere scientifico, non certamente religioso: i loro occhi vedono la realtà del concepito e, in larga parte, agiscono di conseguenza, tutelandone il diritto alla vita. Essi son ben consapevoli che alla terza settimana dal concepimento, a soli 21 giorni, il cuore di ogni figlio comincia a battere prima ancora che sua madre s’accorga di essere incinta. Nella sua singolarità, questo dato scientifico è sufficiente a testimoniare che l’ideologia può soltanto mistificare ed edulcorare la realtà, ma la natura umana dell’embrione non può che essere riconosciuta da uno sguardo libero da pregiudizi.
di Fabio Piemonte | Lanuovabq.it
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