Erwiana Sulistyaningsih, indonesiana di 23 anni, avrebbe subito maltrattamenti durante i 9 mesi di lavoro presso una famiglia del Territorio. Rimandata a casa, è ricoverata a Java centrale. Attivisti e politici democratici contro le leggi inadatte e il clima di insicurezza che respirano i lavoratori stranieri.
Hong Kong – La polizia dell’ex colonia britannica ha annunciato di aver aperto un’inchiesta sulle presunte torture subite da una collaboratrice domestica di nazionalità indonesiana durante i suoi 9 mesi di lavoro presso una famiglia di Hong Kong. Erwiana Sulistyaningsih, 23 anni (nella foto “prima” e “dopo” le violenze), è ricoverata in un ospedale di Java centrale: sul corpo presenta tagli, ustioni e lividi di diversa entità che secondo la donna le sono stati inflitti dal suo ex datore di lavoro. Le sue condizioni di salute migliorano ma è ancora costretta a letto.
Gli abusi sono stati denunciati dall’agenzia di collocamento che ha gestito l’assunzione della donna solo lo scorso 12 gennaio, due giorni dopo il suo rientro in Indonesia. Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dall’Associazione dei lavoratori indonesiani migranti, portandola in aeroporto l’uomo che l’ha assunta le avrebbe dato 100 dollari di Hong Kong (circa 12 euro) e una maglietta, intimandole di non parlare con nessuno prima del decollo.
Una portavoce della polizia sostiene che gli agenti non hanno aperto subito un’inchiesta perché “mancavano le prove. L’agenzia di collocamento non ci ha dato i mezzi per confermare la denuncia, quindi possiamo soltanto sperare di ottenere maggiori dettagli”. Questa dichiarazione ha provocato la rabbia di attivisti per i diritti umani e politici democratici. Fernando Cheung Chiu-hung, deputato laburista, dice: “Non voglio pensare che la polizia, se una persona viene uccisa e nessuno denuncia l’omicidio, rimanga in attesa delle prove prima di aprire un’indagine”.
La questione riporta l’attenzione sul dramma dei lavoratori stranieri a Hong Kong. La maggior parte di queste persone proviene da Filippine e Indonesia, per lo più con incarichi da aiutante domestica o impiegate in imprese di pulizia. Tuttavia tra salari bassi, difficoltà a reperire un alloggio, impossibilità di ottenere la cittadinanzae una velata ostilità di stampo razzista la loro vita è spesso molto complicata. Nonostante leggi interne e regolamenti, le autorità di Hong Kong sembrano spesso voler ignorare questa terribile situazione.
Anche il caso di Sulistyaningsih presenta, oltre alle violenze fisiche, diversi tratti di discriminazione. L’agenzia di collocamento le avrebbe chiesto 18mila dollari di Hong Kong (circa 1.700 euro) come “commissione” per trovare un impiego nonostante la legge imponga un massimo di 401 dollari locali per questo servizio. Robert Godden, coordinatore per l’Asia-Pacifico di Amnesty International, sostiene che la cifra richiesta a volte arriva persino a 21mila dollari. Inoltre, “sono comuni” i casi in cui le agenzie trattengono il passaporto e le carte di credito dei migranti fino al saldo del debito.
Leo Tang Kin-wa, segretario della Confederazione dei sindacati di Hong Kong, sostiene che alla base di tutto ci sia la legge sull’obbligo di residenza dei lavoratori domestici in casa dei datori di lavoro: “Perché abbiamo saputo di questa storia solo dopo il ritorno della donna in Indonesia? Perché Hong Kong ha fallito nel creare un’atmosfera sicura per i suoi lavoratori. Costretta a vivere con i suoi padroni e senza un centro pubblico dove chiedere aiuto. È molto dura per chi aiuta in casa trovare aiuto qui da noi”.
Fonte: http://www.asianews.it/
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