Venticinque anni dopo la rivolta avvenuta sulla piazza Tienanmen, la Cina deve fare fronte, una volta di più, a un vasto movimento di protesta.
(ve/Réforme) Pechino rifiuta qualsiasi negoziato e risponde con la forza alle rivendicazioni dei contestatori che si appellano al rispetto delle loro libertà. A dispetto delle speranze che ha fatto nascere due anni fa l’arrivo di un nuovo gruppo dirigente alla testa del Paese, il divario non cessa di aumentare tra la leadership comunista e il popolo che essa dovrebbe rappresentare.
Pechino viola i patti
A Hong Kong decine di migliaia di manifestanti chiedono il riconoscimento dei loro diritti da parte delle autorità cinesi. Violando l’impegno preso al momento della restituzione dell’antica colonia britannica alla Cina, nel 1997, Pechino ha annunciato che in occasione dell’elezione del prossimo capo dell’esecutivo, nel 2017, saranno autorizzati a scendere in lizza solo candidati scelti dal governo centrale cinese. Questa decisione rappresenta una palese violazione delle regole di suffragio universale riconosciute con l’accordo del 1997 e contraddice il principio “un paese, due sistemi”, approvato all’epoca del ritorno di Hong Kong alla Cina.
La forza e non il dialogo
La risposta è giunta dai liceali e dagli studenti, i quali sono scesi in sciopero per fare sentire la loro voce. A loro si sono aggiunti anche il movimento Occupy Central with Love and Peace (OCLP), che ha lanciato l’idea di “disobbedienza civile”. Dall’unione di diversi movimenti della società civile, è nata quella che è subito stata ribattezzata la “rivoluzione degli ombrelli”: una protesta pacifica che brandisce gli ombrelli quale unica arma da opporre ai gas lacrimogeni e ai manganelli della polizia o agli assalti degli uomini in mano alla mafia.
Un compromesso sembra ancora essere possibile per evitare che il caos si installi in un territorio dove la prosperità è una carta vincente per l’economia cinese. Ma il regime di Pechino, che teme un effetto di contagio, non sembra essere pronto al dialogo e conta sul fatto che il rapporto delle forze in campo non è a favore dei contestatori.
Fonte: http://www.voceevangelica.ch/
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