Hai premura di Divorziare? fallo con il gratta e vinci del divorzio!

mexico_lawyers_prepaid_divorce_cardsA quanto pare, in Messico il problema del divorzio è molto sentito, e per questo è stato preso sul serio da parte di un gruppo di avvocati, probabilmente perché dopo il 2008, con l’introduzione di una legge che prevede la possibilità di divorziare in tempi celeri, ne sono aumentate le richieste.Da alcuni studi emerge che i matrimoni Messicani durano pochissimo, mediamente il 50% delle coppie non arriva al secondo anno di matrimonio.

Tutto questo comporta un eccesso di richieste di divorzio che causano un ingolfamento delle pratiche presso i tribunali e gli uffici appositi.

Tanti messicani lamentano infatti grosse difficoltà nel riuscire ad orientarsi a causa dei molti fogli da compilare, senza dimenticare le enormi code tra i diversi uffici da visitare, così, per venire in contro alle richieste di molti clienti, il gruppo di avvocati sopra accennato ha inventato il tagliando del divorzio.

Basta recarsi presso dei supermercati o banche convenzionate, acquistare una carta (il grattino del divorzio), grattare la patina argentata e scoprire un codice che deve essere successivamente inserito all’interno di un apposito sito web, assieme ai dati personali dei due coniugi.

Questo permette di avviare le pratiche per il divorzio in tempi rapidi, senza file, senza compilare carte o ducumenti, e soprattutto senza dover necessariamente incontrare l’altro coniuge, a quanto pare una delle cose più detestate in questi casi.

Il servizio non è neanche caro, bastano circa 288 euro più IVA (5 mila pesos), ed il divorzio è confezionato. I documenti della sentenza e l’atto del registro civile vengono recapitati comodamente a casa dei coniugi. Unica condizione è la separazione consensuale e il non aver alcun figlio.

La questione del divorzio, non considerando la trovata folle del gratta e vinci del divorzio, è oggi davvero attuale. E sta toccando anche le chiese evangeliche. Non si contano più le coppie di separati. Negli ultimi dieci anni i casi si sono moltiplicati in maniera esponenziale. E’ diventato un potenziale rischio chiedere a chi si incontra: “Come sta tuo marito?”. Ovvero, “Come sta tua moglie?”. Perché le probabilità sono sempre di più che ti risponda: “Ci siamo separati.”

Perché è importante parlarne? Perché bisogna essere all’altezza, Bibbia alla mano, di dare risposta a chi necessita di risposte, incoraggiamento a chi ne ha bisogno, ma anche rimprovero a chi lo merita.

Il lapidario: “il matrimonio è per sempre”, punto e basta, non trova spazio nel buon senso dell’uomo comune di oggi, non se si osserva bene la realtà che ci circonda. Come dire alla moglie con un marito che la picchia, o che picchia i figli, o che fa uso di droga, o che è in carcere per gravi motivi, che non vuole lavorare, che abusa della moglie con violenza, che scommette tutto lo stipendio e fa debiti di gioco, ecc…, come dire ad una donna che soffre, ad una famiglia che langue per colpa di un marito e padre indegno, che, nonostante tutto, il matrimonio è indissolubile? Come possiamo dire ad un marito che è stato abbandonato dalla moglie, tradito e lasciato solo, privato della dignità, della coabitazione con i propri figli, a volte della sua stessa casa e di parte del suo stipendio in maniera coercitiva, ecc…, come dirgli che deve accettare e subire tutto in silenzio, perché comunque il matrimonio è per sempre e questo, in un certo senso, lo porta a dovere scontare una colpa che non ha commesso?

Solo chi l’ha provato sa quanto male possa fare al morale ed alla spiritualità di alcuni credenti che si trovano in certe dolorose circostanze, quando Bibbia alla mano non gli si propone nessuna via d’uscita: è tua moglie, è tuo marito, finché morte non vi separi.

La Bibbia non promuove di sicuro il divorzio. Ma è altrettanto certo che lo permette. In alcuni determinati casi, con motivazioni fondate e valide. In nessun luogo poi sono vietate delle nuove nozze a chi ha divorziato validamente una prima volta. Questo lo premetto subito.

L’argomento è molto scottante. E’ una patata bollente che nessuno vuole prendere in mano. In italiano ho visto qualcosa di pubblicato sull’argomento, ma non credo che sia sufficiente. Occorrerebbe infatti una buona, valida, onesta pubblicazione in lingua italiana (o, perché no? Anche più di una) che valuti attentamente la problematica da un punto di vista squisitamente italiano – tradurre libri dall’inglese non è abbastanza. Né è sufficiente affrontare le problematiche relative al matrimonio ed al divorzio solo dal punto di vista religioso e biblico senza tenere conto della vigente legislazione italiana. Ciò perché, oltre alla valenza religiosa, il matrimonio in Italia produce anche degli effetti civili regolati dalle leggi italiane e le problematiche legate al matrimonio ed alla possibilità di divorzio dipendono soprattutto da quest’ultime. Un cittadino americano riesce con grande facilità sia a sposarsi che a divorziare, civilmente e religiosamente. Tutt’altra cosa accade in Italia. Ma di questo ne parlerò più a lungo dopo.

Se devo essere sincero, preferirei parlare di matrimonio, di qualcosa di positivo. E mi accorgo che bisognerebbe farlo in maniera seria, soprattutto nelle chiese, analizzando attentamente l’aspetto legale, inscindibile dall’idea e dall’attuazione del matrimonio stesso. Molti divorzi avvengono perché non si sa cos’è il matrimonio, il valore religioso, ma anche l’impegno pratico che questo richiede. Bisognerebbe che si mettessero per un po’ da parte l’euforia della cerimonia, l’esaltazione della festa, la ricerca degli abiti d’occasione, di fiori, foto, e quant’altro spesso va a prendere il posto del senso vero di ciò che si sta per fare sposandosi, per considerare la sostanza ed l’autentico significato del matrimonio. Anziché correre da un locale all’altro, da un fotografo all’altro, da un negozio all’altro, bisognerebbe che la coppia si fermasse e capisse cosa significa che con l’atto formale del matrimonio che da lì a pochi giorni si andrà a firmare, si prenderanno degli impegni ben precisi verso il proprio coniuge, davanti a Dio, ma anche davanti alla legge – italiana, nel nostro caso. Ma come spesso accade, mi accorgo che alcuni sono trascinati verso il matrimonio loro malgrado, alcuni quasi inconsapevoli del senso reale di quello che stanno per fare, o per ossequio alle convenzioni sociali, o perché bisogna sposarsi prima o poi, perché si vogliono dei figli, perché si cerca qualcuno che stiri le proprie camice (me lo sono sentito dire davvero!), perché si è ormai costretti dalle circostanze, per lasciare casa dei genitori, ecc…

Il matrimonio è una cosa seria, perché con esso gli sposi si promettono l’amore reciprocamente, con tutto il resto che ne consegue. Promettersi l’amore è impegnativo. Promettersi l’amore è difficile, è quasi impossibile senza l’aiuto di Dio. Oggi in molti gettano la spugna. Anche perché la separazione, che una volta era la strada più tortuosa e difficile da percorrere, nonostante tutto appare subito come una facile scappatoia alla responsabilità matrimoniale. Purtroppo, accanto ai futili motivi, a quelli che sono quasi veri e propri pretesti, sempre più diffusi ai nostri giorni, ci sono anche dei validi ed onesti motivi per interrompere un vincolo matrimoniale.

Vediamo allora cosa dice la Sacra Scrittura sulla possibilità di divorziare.

In base alle previsioni della legge di Mosè un marito poteva divorziare dalla moglie.

“Quando un uomo sposa una donna che poi non vuole più, perché ha scoperto qualcosa di indecente a suo riguardo, le scriva un atto di ripudio, glielo metta in mano e la mandi via”. Deuteronomio 24:1.

La diatriba circa l’ampiezza dei casi contemplabili all’interno dell’affermazione della Legge, nella cerchia ebraica stessa non era ancora risolta quando Gesù iniziò ad insegnare. Come su altri argomenti, egli venne interrogato anche su questo.

Stiamo ben attenti a cosa gli viene chiesto, perché per valutare correttamente una risposta non possiamo estrapolarla dal contesto che è la domanda dalla quale origina. Citiamo quindi per esteso le parole di Gesù.

“Dei farisei gli si avvicinarono per metterlo alla prova, dicendo: “È lecito mandar via la propria moglie per un motivo qualsiasi?” Ed egli rispose loro: “Non avete letto che il Creatore, da principio, li creò maschio e femmina e che disse: “Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre, e si unirà con sua moglie, e i due saranno una sola carne?” Così non sono più due, ma una sola carne; quello dunque che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”. Essi gli dissero: “Perché dunque Mosè comandò di scriverle un atto di ripudio e di mandarla via?” Gesù disse loro: “Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli; ma da principio non era così. Ma io vi dico che chiunque manda via sua moglie, quando non sia per motivo di fornicazione, e ne sposa un’altra, commette adulterio“. (Matteo 19:3-9).

La domanda dei farisei tende a voler interrogare Gesù circa la pratica del tempo, difesa da alcuni giudei, di poter divorziare dalla moglie, facendo rientrare pretestuosamente qualsiasi incompatibilità (persino aver cucinato male una pietanza) all’interno della casistica contemplata nel vago “qualcosa di indecente” della Legge mosaica. I farisei commettono un errore grossolano, che Gesù subito gli fa notare: Mosè non comanda il divorzio, lo permette; è ben’altra cosa comandare dal permettere.

Aggiunge Gesù: “da principio non era così”. Non era questo il piano di Dio originario per l’uomo. Ma “per la durezza dei vostri cuori”, cioè a causa della condizione in cui è scaduto l’uomo, Mosè ha permesso il divorzio.

Argentino Quintavalle è uno studioso delle Scritture che gestisce un sito suo, dove, come me, pubblica i suoi studi. Di recente ha scritto un interessantissimo articolo sul divorzio all’interno della tradizione ebraica. Ne consiglio la lettura per un approfondimento del senso ebraico dell’affermazione di Gesù. Ho tratto dal suo studio delle ottime informazioni sul sostrato ebraico delle affermazioni di Gesù nei vangeli.

Per non complicarci la vita, però, noi rimarremo per quanto potremo sul testo come lo leggiamo tradotto in italiano.

Dalle parole di Gesù comprendiamo subito che egli riconosce nell’immoralità sessuale della moglie, una causa per divorziare. Riferendosi a “chiunque manda via sua moglie”, egli aggiunge “e ne sposa un’altra”. E’ una precisazione tutt’altro che trascurabile. Perché potremmo supporre che se divorzia dalla moglie ma non ne sposa un’altra, ciò sarebbe possibile. E’ invece più logico interpretare questa frase come lo scopo reale dietro un divorzio per il quale si invocano dei futili motivi, palesemente pretestuosi.

Vediamo cosa voglio dire vedendo qualche altro brano di Matteo.

Matteo 5:15, “e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa”.

Quello che qui la Bibbia traduce con “per” corrisponde in realtà nell’originale greco alla copula “kai”, “e” in italiano. E’ opinione diffusa che in questo brano, ci troviamo davanti ad un semitismo molto forte che tradisce l’origine ebraica della frase di Gesù. Nella lingua ebraica, quella che in italiano, come in greco del resto, è una semplice congiunzione, ha invece una valenza più ampia. Che qui, come è chiaro anche dal contesto, la “e” sia dipendente dal significato ebraico è palese, tanto che i traduttori della Nuova Riveduta oltrepassano il limite del testo greco originale, per recuperare il significato semitico originario della frase.

In un brano simile del vangelo di Marco, l’autore sacro non trascura il fatto che il lettore non ebreo potrebbe non comprendere una tale sfumatura. Qui allora il greco originale tradotto con “per” non è più la congiunzione “e”, bensì “ina”, che indica proprio lo scopo di un’azione e che così naturalmente si traduce nella nostra lingua appunto con “per”, inteso come: “allo scopo di”.

Marco 4:21, “Poi diceva ancora: “Si prende forse la lampada per metterla sotto il vaso o sotto il letto? Non la si prende invece per metterla sul candeliere?”

Marco conferma la supposizione sul semitismo del vangelo di Matteo.

Con questo in mente, riprendiamo la frase di Gesù sul divorzio.

“chiunque manda via sua moglie, quando non sia per motivo di fornicazione, e ne sposa un’altra, commette adulterio”.

Alla luce di quanto abbiamo appena visto, credo si possa essere autorizzati a comprendere la frase di Gesù in questo modo: “se un uomo divorzia da sua moglie, senza validi motivi, per sposarne un’altra commette adulterio”.

Credo che, dopo anni di studio della Parola di Dio, finalmente io sia giunto ad una soddisfacente comprensione di questa affermazione di Gesù, un’interpretazione che ne spiega in maniera esauriente le sfumature, altrimenti difficilmente comprensibili.

E’ impossibile far dire a questo brano, come fanno i difensori a tutti i costi dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale, che non vi è nessun motivo valido per divorziare se non l’adulterio. Leggerlo in questo modo significa semplicemente estrapolarlo dal suo contesto. Dal punto di vista squisitamente esegetico una prassi di questo genere è sempre altamente sconsigliabile.

Ecco una serie di motivi che rendono più che improbabile l’interpretazione eccessivamente letterale:

– qui non si parla di adulterio, bensì di fornicazione – il che rende l’affermazione un po’ più enigmatica.

– attaccandoci alla lettera a questa affermazione di Gesù, la facoltà di divorziare riguarda l’uomo soltanto. Paradossalmente, sempre se interpretiamo letteralmente, l’uomo sarebbe in diritto anche di avere relazioni extraconiugali senza che la donna abbia alcun titolo per voler divorziare.

– questa interpretazione, così concepita, farebbe realmente e direttamente insegnare a Gesù qualcosa in contrasto aperto con le disposizioni della Legge mosaica.

Se il nostro intento è essere fedeli all’insegnamento di Gesù, dobbiamo essere sufficientemente accorti da evitare che un irrazionale desiderio di adesione alla lettera in sé e per sé non ci faccia, paradossalmente, perdere di vista l’autentico significato delle parole del Signore, che non possono essere estrapolate dal contesto nel quale sono state proposte.

Propongo un famoso esempio di eccessiva interpretazione letterale proprio di un brano del vangelo di Matteo che si trova proprio poco più in là rispetto a quello che stiamo considerando.

Matteo 19:12, “Poiché vi sono degli eunuchi che sono tali dalla nascita; vi sono degli eunuchi, i quali sono stati fatti tali dagli uomini, e vi sono degli eunuchi, i quali si sono fatti eunuchi da sé a motivo del regno dei cieli. Chi può capire, capisca”.

Ebbene in preda alla ricerca di una adesione letterale alle parole di Gesù, Origene, vissuto nel III secolo, famoso e fertile figura del cristianesimo del suo periodo, vissuto ad Alessandria d’Egitto, si evirò. L’interpretazione letterale giustificava il suo gesto, ma non la realtà del senso delle parole di Gesù!

Interpretare alla lettera, senza soppesare altri fattori, risulta ancora più disastroso se leggiamo, ad esempio, il vangelo di Marco soltanto: “Egli disse loro: “Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei” Marco 10:11. Dovremmo intendere qui che Gesù non permetta in nessun caso il divorzio, nemmeno per adulterio, perché questa clausola non è contemplata. In realtà qui, come nell’altra affermazione del vangelo di Matteo, Gesù può non dilungarsi molto sulla questione perché sa che i suoi ascoltatori conoscono bene la Torah e la sua frase non è chiaramente una revoca delle prescrizioni di quella, ma un invito ad una morale più degna del popolo di Dio.

La logicità dell’interpretazione che propongo è chiara nel perfetto integrarsi di una tale lettura della frase di Gesù all’interno del contesto giudaico.

Tutta questa premessa per dire semplicemente, che alla luce di quanto insegna la legge mosaica, e nella prospettiva dell’unica affermazione che troviamo fatta da Gesù nel Nuovo Testamento in proposito, dalle prescrizioni di Paolo circa le possibilità di divorzio e seconde nozze per i credenti, il divorzio, per motivi seri, fondati, è possibile e con il divorzio, in nessuna parte delle Scritture vengono vietate le seconde nozze – o divorzio non sarebbe.

Devo dire che per un certo periodo il mio opuscoletto sul divorzio è stato oggetto di commenti e di e-mail da parte di diverse persone. Alcune lettere che ho ricevuto erano davvero toccanti, quasi liberatorie. Sono contento di avere proposto quel mio breve lavoro, perché nella sua semplicità ha donato conforto a diversi credenti.

La realtà dei fatti è che il peso, la vera tragedia che affronta un cristiano che divorzia la si può capire solo se si attraversa una tale esperienza. E’ facile difendere gli ideali assoluti, ma è drammatico vivere la miseria della vita comune. Nel matrimonio non tutto è legato alla condotta di una sola persona. Un individuo onesto può cadere nella trappola di un altro che tanto onesto non è. O a volte, più semplicemente, l’incompatibilità fra i coniugi è tale da rendere impossibile il proseguire di un matrimonio. Alcuni sono stati traditi o abbandonati dalla moglie o dal marito e non solo non è giusto che paghino per tutta la vita la loro onestà, ma non vi è nessun autentico supporto biblico perché ciò accada.

Come dicevamo all’inizio però, il matrimonio non è solo un evento religioso; non è nemmeno principalmente un evento religioso. In Italia è soprattutto un atto giuridico che provoca effetti civili, verso le parti che lo contraggono e verso i terzi – figli, debitori, creditori, ecc… Sono convinto, quindi, che chi si sposa oggi debba prima comprendere realmente che sta legando il proprio destino ad un’altra persona, anche dal punto di vista squisitamente legale ed economico. E mentre il vincolo dell’amore spesso basta solo un attimo a romperlo, gli altri vincoli non sono così facili da sciogliere. In Italia più che in altre nazioni. Qui, infatti, divorziare è molto complesso, lungo, costoso e logorante.

Vi spiego brevemente come funziona.

Nel mezzo di liti, di pianti, grida, di momenti di disperazione, di ansia, di solitudine; quando tutte le certezze della coppia sono scosse, uno dei due va da un avvocato per chiedere la separazione. Se i due sono d’accordo si redige una separazione consensuale che verrà sottoposta al tribunale di competenza per la ratificazione. Se non vi è il consenso, la parte che vuole obbligare l’altra alla separazione lo fa citando in tribunale l’altra parte e sostanzialmente, senza reale possibilità che ciò non accada, impone al coniuge riluttante la separazione.

Nella sentenza il tribunale stabilisce i termini della separazione. Di solito il marito deve lasciare la casa coniugale. I figli, nel 99 per cento dei casi, vengono affidati alla madre. E’ vero che è stata varata una legge che prevede l’affido congiunto, ma rimane tale solo a parole. Nella sostanza i figli rimangono con la madre e nella casa coniugale, cioè quella dove abitava la coppia. Il giudice stabilisce quanto e quando il padre vedrà la prole. Stabilisce il mantenimento dovuto alla moglie, se vi deve essere e a quanto deve ammontare. Stabilisce anche una somma che deve essere versata alla madre (se ha i figli in custodia) per il mantenimento dei figli stessi.

Dall’emissione della sentenza devono decorrere tre anni di separazione effettiva perché si possa passare alla fase successiva e chiedere il divorzio vero e proprio.

Parliamo, quindi, di tempi molto lunghi. In Italia ancora si tentenna fra la posizione tradizionalista cattolica che proibisce il divorzio in senso assoluto e la realtà sociale dei nostri giorni. Il risultato è disastroso. Tre anni di separazione, che poi, tra accordi tra avvocati e lentezze giuridiche arrivano sempre a quattro, cinque anni. Ciò crea un lungo periodo di sospensione, che, spesso, proprio a causa di queste lungaggini, sfocia in continui segni di insofferenza ed esasperazione, se non addirittura in comportamenti violenti. Le liti sono continue. I figli vengono utilizzati come arma di ritorsione e sono oggetto delle frustrazioni dei genitori. In Italia si deve ormai comprendere che c’è bisogno di una vera e onesta legge sul divorzio, che lo consenta in termini rapidi ed equi per entrambi gli ex coniugi.

Dopo i tre anni di separazione, ci si rivolge di nuovo al giudice per ottenere la sentenza di divorzio. Di nuovo il divorzio può essere richiesto di comune accordo; in questo caso è definito consensuale. La richiesta può essere promossa anche da una soltanto delle parti interessate. In quest’ultimo caso l’azione è giudiziale. Nel divorzio consensuale i tempi sono più ristretti, da uno a due anni. Nella seconda ipotesi la previsione è dai due ai tre. I continui rinvii da udienza in udienza servono a poco, se non a motivare le parcelle degli avvocati; tanto, varcata la soglia dell’aula e fino alla prossima udienza, il giudice non si ricorderà nemmeno della vostra faccia.

Le lungaggini nell’ottenimento del divorzio sono il motivo più comune per le molte convivenze che seguono al primo matrimonio. Oggi i matrimoni sono in calo e un figlio su quattro nasce da una unione di fatto. Visti i tempi ed i risultati di un divorzio (verrebbe voglia di dire, a ragione), difficilmente chi ha divorziato si risposa. Oggi sempre più giovani, specie maschi, che vedono cosa accade alle coppie che “scoppiano”, guardano il matrimonio come una trappola e ne stanno lontani finché possono.

Per noi cristiani le lungaggini sull’ottenimento del divorzio creano un problema di non poca rilevanza. Ho conosciuto la mia seconda moglie tre anni dopo la mia separazione. Abbiamo dovuto attendere circa quattro anni per potermi risposare io e sposare lei e, nonostante la mia non giovanissima età, abbiamo dovuto vivere per anni come fidanzatini – non che ciò non avesse il suo fascino. Un divorzio ottenuto con più facilità eviterebbe di scoraggiare molta gente a contrarre un secondo matrimonio ed eviterebbe il nascere di così tanti legami di fatto, che non sono produttivi per il tessuto sociale. A riprova che ogni storia è un caso a sé, una coppia che ho conosciuto tramite il mio sito mi ha raccontato che entrambi si sono convertiti a Cristo durante la loro convivenza che seguiva due matrimoni falliti. Mi ha colpito moltissimo il fatto che, per testimonianza, questi fratelli abbiamo deciso di vivere la loro convivenza castamente fino a che, liberi di potersi risposare, non contrarranno nuove nozze. Il problema qui non è Dio o la parola di Dio, né tantomeno la morale cristiana; quanto le ingiustificabili lungaggini della burocrazia italiana.

Un altro problema rilevante è che in Italia i tribunali non si pronunciano quasi mai a favore di una delle due parti ed è difficile ottenere un divorzio o una separazione per colpa. Anche nei casi più lampanti, dove vi sono stati tradimenti, o altri comportamenti censurabili, di solito un legale intelligente consiglierà di non intentare una causa di separazione con addebito della colpa all’altra parte, perché la prassi dei tribunali italiani è quella di distribuire le colpe ad entrambi i coniugi. Meno utopistica la possibilità di addebito della colpa all’uomo in presenza di dati oggettivi, quali violenze, ecc…

La casa coniugale viene nella stragrande maggioranza dei casi lasciata alla moglie. A lei vengono affidati i figli. E’ vero, come ho già accennato, che la nuova legge prevede l’affido condiviso, ma di fatto non è cambiato nulla rispetto a prima visto che la dimora dei figli viene comunque fissata con la madre, le visite al padre vengono stabilite dal giudice e il contributo per il mantenimento è comunque dovuto dall’uomo alla donna. E’ stato un palese fallimento della legislazione italiana. Di solito tali precari equilibri si risolvono in tensioni continue e un impoverimento dell’uomo separato e divorziato, al quale viene tolta la propria abitazione e viene prelevato coercitivamente e senza alcuna cura per la sua condizione personale, una parte di reddito per provvedere ai bisogni di ex moglie e figli. Sebbene il divorzio non ha luogo per colpa di una delle due parti (almeno dal punto di vista legale), è comunque spesso l’uomo ad essere “punito”. In Italia purtroppo il concetto di eguaglianza fra uomo e donna è solo un’idea vaga ed indefinita che sfocia in retorica e privilegi contrari all’eguaglianza di trattamento al quale tutti i cittadini – indipendentemente se uomo o donna – avrebbero diritto da parte dello stato italiano. Sono convinto che oggi molti divorzi siano dovuti alla sicurezza delle donne di uscire da un’aula di tribunale con tutti i propri privilegi garantiti e con il vantaggio di essersi tolte di mezzo il marito. Scusate se parlo con sincerità, dicendo quello che penso. Dall’altra parte, molti uomini sanno solo scappare dalle proprie responsabilità di mariti e di padri e separandosi dalle mogli ritornano semplicemente a fare gli “scapoli d’oro”, ricominciando a vivere come ragazzi, col piacere di potere fare il papà un paio di ore la settimana – se gli va di farlo. Alcuni padri, purtroppo, non divorziano dalle mogli soltanto, ma anche dai figli.

La sostanza è che i costumi si sono davvero impoveriti. Quando anni fa fummo invasi dalle telenovele e dai vari Beautiful e teleromanzi vari, l’Italia era diversa. Oggi anche noi italiani siamo diventati come i protagonisti di quelle soap operas: di facili costumi, divorziati, saltiamo di partner in partner come se nulla fosse, ecc… E, come in quei teleromanzi, nessuno ha più vergogna di nulla. La cosa più triste è che questa logica è entrata anche nelle chiese. Nella chiesa Cattolica non si tollera il divorzio. Ma di fatto ai fedeli importa poco, e come per altre questioni, ognuno si regola come crede più giusto. I preti oggi battezzano figli di coppie di conviventi senza battere ciglio o ci si sposa tranquillamente di bianco dopo anni di convivenza. I fidanzamenti di oggi, lasciatemelo dire, sono ormai l’esatto corrispondente del matrimonio di altri tempi, visto che è quasi impensabile oggi conoscere delle coppie che non facciano sesso prima del matrimonio. E’ l’andazzo generale. Nelle nostre chiese evangeliche la situazione è leggermente meno preoccupante, ma vorrei subito disilludere gli ottimisti: la crisi riguarda anche noi. Anche nelle nostre chiese vi sono persone che si fanno condizionare più dalla tv che dalla Parola di Dio.

Perché questo lungo discorso? Perché il matrimonio va seriamente ponderato e oggi nelle chiese i pastori hanno l’obbligo morale di assicurarsi che chi fra i loro membri contrae matrimonio, capisca cosa sta facendo: che con la promessa dell’amore ci si impegna personalmente ad amare l’altro ed a servirlo, per tutta la vita. Non si deve farlo quando e se ci va, ma col matrimonio si promette e ci si impegna a farlo. Le coppie che scoppiano perché non ci si ama più, o uno non ama l’altro, hanno alla base un errore di fondo: è nei films di Hollywood che l’amore è un colpo di fulmine o un innamoramento a prima vista; per il cristiano l’amore è un impegno quotidiano; non è un velo davanti agli occhi, bensì un’azione continua e costante di dono di se stesso all’altro.

La Parola non ci suggerisce ma ci comanda:

Efesini 5:33, “Ma d’altronde, anche fra di voi, ciascuno individualmente ami sua moglie, come ama sé stesso; e altresì la moglie rispetti il marito.”

Chi si sposa deve comprendere che non è giusto appellarsi al fatto che il matrimonio sia per sempre per sentirsi autorizzati a mettere alla prova continuamente la pazienza dell’altro coniuge: vi sono altre importanti previsioni del “contratto” matrimoniale. Per esempio, non credo di essermi accorto io soltanto che le donne tendono a sviluppare un certo senso di ostilità verso il marito, spesso immotivato, e che spesso si manifesta in una tendenza a ritrarsi dalle attenzioni fisiche di lui. So che gli uomini siamo a volte irritanti e il nostro essere eterni bambini può risultare pesante. Il compito delle donne bisogna dirlo è più gravoso e meno gratificante di quello dell’uomo, è oggettivamente più difficile. Forse in ragione di quest’ultimo fatto Paolo da delle direttive specifiche a Tito:

Tito 2:3-4, “anche le donne anziane abbiano un comportamento conforme a santità, non siano maldicenti né dedite a molto vino, siano maestre nel bene, per incoraggiare le giovani ad amare i mariti, ad amare i figli…”

Il fallimento di un matrimonio fra cristiani non è solo un fallimento come coppia, ma anche dei singoli che compongono la coppia come cristiani. Perché la riuscita del matrimonio è inscindibile dalla consacrazione e autentica fede dei coniugi: se entrambi obbediscono alla Parola di Dio non è possibile che il matrimonio naufraghi in un divorzio.

Le parole di Gesù che abbiamo citato e che tendono a fare del matrimonio un vincolo sacro ed indissolubile, non sono un’arma nelle mani di chi vuol fare tutto quello che gli o le aggrada certo o certa che il coniuge per bene, per fedeltà alla Parola di Dio, non potrà porre fine alle proprie sofferenze prima della morte, sua o del suo motivo di tormento. Non può essere così, per validi motivi. L’abbiamo detto, la Parola di Dio permette (non auspica o comanda, ma permette) il divorzio. Dico una cosa sconvolgente ma vera quando dico che alcuni matrimoni sono solo di facciata o vissuti da un coniuge nella totale automartirizzante esperienza della sopportazione dei soprusi dell’altro. Pensare che tali unioni siano veramente dei matrimoni e non soltanto delle dolorose convivenze dipende soltanto dal fatto che si dia più importanza all’apparenza che alla sostanza delle cose.

Il matrimonio è un impegno serio. E’ un impegno difficile. E’ una scelta d’amore, ovviamente. Ma è anche una scelta di impegno. Non andiamo a lavoro solo quando ci sentiamo di andarci. Allo stesso modo il nostro matrimonio non è un impegno minore: non possiamo smettere di amare perché non ci va. Il matrimonio è una responsabilità perché è alla base del nostro tessuto sociale: dalle nostre unioni escono fuori i cristiani, i padri, le madri, i mariti, le mogli di domani.

Vorrei che ogni pastore, padre, madre e cristiano in genere sentissero il peso di tramandare la realtà della verità sull’unione coniugale come ce la insegna la Parola di Dio non delegando questo compito, per pigrizia o per paura, alla tv, ai films ed agli altri media. Il risultato di quest’ultima diffusa scelta, come è sotto gli occhi di tutti, è disastroso.

Anziché salvaguardare il matrimonio, la legge italiana, con le sue lungaggini ed insormontabili incongruenze, ha finito per boicottarlo e tramutarlo in una trappola dalla quale oggi molti uomini, giustamente impauriti dei possibili risvolti di un eventuale divorzio, cercano di sfuggire, mentre, al contrario, per le donne è sempre più una comoda sistemazione dalla quale possono uscire facilmente senza perdere nessuno dei privilegi acquisiti col matrimonio, col vantaggio di riguadagnarsi la propria libertà. Nonostante questi problemi, incito chi ha attraversato la tormentosa vicenda di un divorzio a non aggiungere al proprio dramma anche degli inutili sensi di colpa ma a cercare il perdono di Dio se si è fatto male, a provare a riconciliarsi col proprio coniuge se è possibile, ma alla fine a guardare avanti certo o certa del perdono di Dio. La differenza fra Giuda e Pietro non fu nell’azione che essi commisero, perché in entrambi i casi si trattò di un tradimento della persona di Gesù. La differenza fu che Giuda andò ad uccidersi, non riponendo fiducia nel perdono e nell’amore di Dio. Pietro, invece, saggiamente, si ravvide, tornando a Dio, il quale non solo lo perdonò ma gli donò uno stato di preminenza fra gli apostoli, usandolo per primo per parlare di Cristo il giorno della Pentecoste e per annunciare per primo il vangelo ai non giudei. Con esempi di questo genere, tramandati nella Scrittura proprio perché se ne abbia memoria, mi chiedo come riusciamo ancora oggi a limitare il potere di perdono del nostro Dio?

Quando divorziai dalla mia prima moglie, mi sentivo disperato ed assalito dai sensi di colpa. Non voglio puntare il dito contro nessuno, ma se non fossi stato così convinto che il matrimonio sia indissolubile sempre e comunque, forse il mio comportamento non sarebbe stato quello censurabilissimo che invece è stato. Il fatto è che, sebbene studioso della Parola di Dio, non avevo mai realmente ed approfonditamente considerato l’argomento e, quindi, mi fidavo dell’insegnamento della mia chiesa. La mia angoscia ebbe fine un giorno. Una domenica andai in una chiesa evangelica di lingua inglese. Le chiese americane sono molto più attrezzate per i bisogni di individui divorziati. Andai anche il mercoledì seguente. Sono convinto che non fu per caso che quella sera il pastore fece uno studio proprio sul matrimonio. Dio mi aveva portato lì con uno scopo ben preciso. Alla fine dello studio parlai con il pastore spiegandogli la mia condizione. Egli mi chiese: “Puoi riconciliarti con il tuo coniuge?”. Io dissi di “no”. Purtroppo, anche a prescindere delle colpe, in alcune relazioni vi sono oggettivamente dei punti di non ritorno. E il mio precedente matrimonio l’aveva superato di molto. Il pastore quindi mi disse: “Non avresti dovuto divorziare, perché è sbagliato. Ma è successo e siccome non ci sono peccati che il Signore non può perdonare (tranne uno, ma non era il mio caso), guarda avanti e vivi la tua vita con serenità. Se vuoi rimanere single, rimani single. Se vuoi risposarti, fallo. Il perdono di Dio ti rende libero”. Non mi disse nulla che non sapevo già dalla Parola di Dio, ma semplicemente ero troppo condizionato dall’approccio tradizionale alla questione. Da allora quel peso si è sollevato per non riguardarmi più. Propongo questa mia esperienza e mi prodigo a scrivere su questo argomento, al quale, lo ribadisco, da studioso della Parola di Dio, mi ritengo scarsamente interessato, nella speranza che la mia testimonianza possa essere utile ai tanti fratelli e sorelle che, purtroppo, lo so, stanno attraversando circostanze come quelle che ho attraversato io allora, e, con molta facilità, persino prove ben più grandi. Vorrei che in tutto questo, sebbene anche la chiesa o alcuni fratelli si aggiungono quali motivi di dolore, essi si concentrassero sul loro rapporto con Dio e che sentissero costantemente la Sua presenza, che è molto più importante di qualsiasi altra circostanza o evento di questa effimera esistenza terrena, anche in momenti di tristezza tanto profondi.

Chi aggiunge ulteriore disperazione anche a chi ha senza colpa subito un torto dal proprio coniuge dicendogli che solo la morte lo scioglierà dal vincolo con quella persona, non è autorizzato a farlo dalla Parola di Dio. La realtà dei fatti è che i cristiani evangelici italiani risentono troppo dell’ambiente cattolico nel quale si trovano immersi. In altre nazioni, le stesse chiese evangeliche che qui difendono l’indissolubilità del matrimonio, hanno persino dei ministri divorziati. Il fatto è che fino ad oggi in Italia i casi davvero sporadici di divorzio non riuscivano a pressare per un concreto cambio di direzione. Oggi invece i tempi sono maturi perché le nostre chiese considerino la questione con più umanità e serenità e assumano un atteggiamento più serio e costruttivo davanti ad un’emergenza quale è diventata questa vera e propria epidemia di divorzi.


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