E’ di nuovo tensione fra il governo di Atene ed i massimi vertici della potente Chiesa greco-ortodossa dopo che la troika, come riferiscono con evidenza i media locali, ha rispolverato una vecchia proposta ventilata dal precedente governo socialista che prevede – nell’ambito delle drastiche riduzioni della spesa pubblica volute dai creditori internazionali del Paese – un taglio degli stipendi dei circa 9.500 preti ortodossi (i cosiddetti ”pope”) in servizio in tutta la Grecia. Leggi la nostra considerazione a fondo pagina!Il governo greco sente il fiato sul collo da parte dei rappresentanti dei creditori internazionali i quali hanno fatto capire chiaramente che occorre tagliare senza indugi, ma la pressante richiesta – come riferisce il quotidiano Parapolitika – è destinata a suscitare aspre polemiche e forti resistenze da parte degli ambienti religiosi e soprattutto del suo leader, l’influente arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Ieronimos.
Secondo il giornale, i rappresentanti della troika (Ue, Bce e Fmi) hanno chiesto al governo conservatore del premier Antonis Samaras di riprendere in esame la proposta avanzata nel 2011 (e poi accantonata) all’esecutivo dell’allora premier socialista George Papandreou in base alla quale lo Stato dovrebbe smettere di pagare gli stipendi dei pope o, nella migliore delle ipotesi, condividerne il pagamento con la Chiesa.
All’epoca un combattivo Ieronimos rispedì la proposta al mittente affermando che era ”per tradizione un obbligo dello Stato provvedere agli stipendi dei preti”. E, per ribattere alle affermazioni di quanti asseriscono che la Chiesa ortodossa è estremamente ricca, rese pubblici i dati di bilancio per l’anno prima (il 2010) precisando che i redditi della Chiesa erano stati di 10 milioni di euro, 9.1 dei quali provenienti dal leasing di proprietà immobiliari. Però le spese (alle quali contribuiscono in gran parte le chiese, i monasteri e le organizzazioni religiose) sempre per il 2010 erano ammontate a 16.5 milioni di euro.
Lo Stato ellenico, secondo i dati del Segretariato generale per gli Affari Religiosi, spende ogni anno circa 200 milioni di euro per pagare gli stipendi dei preti che si basano su queste tariffe: un pope di prima nomina guadagna 1.092 euro lordi al mese (770 netti), un prete con 10 anni di anzianità arriva a 1.381 euro lordi (1.032 netti), un vescovo metropolita con 30 anni di anzianità riceve 2.543 euro (1.750 netti) mentre l’arcivescovo Ieronimos prende 2.978 euro al mese (2.213 netti).
Un’eventuale riduzione del contributo statale, secondo Parapolitika, metterebbe la Chiesa di fronte al dilemma di aumentare la propria quota di partecipazione agli stipendi oppure cominciare a licenziare i pope (la maggior parte dei quali sono sposati e hanno figli) nello stesso modo in cui il governo di Atene – sempre nell’ambito delle misure per la riduzione della spesa pubblica – sta portando avanti le controverse iniziative per il licenziamento di decine di migliaia di dipendenti statali. (fonte ANSAmed)
Dopo le pressioni della troika per ridurre la spesa pubblica, non riusciamo a capire la polemica insorta tra chiesa e governo. Se il governo greco è a rischio banca rotta, cos’ha da rivendicare la chiesa greco-ortodossa? La chiesa evangelica pentecostale di cui noi facciamo parte, ad esempio, non percepisce nessun finanziamento dallo stato, nessun 8×1000, nessun contributo “volontario” per battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, funerali, congregazioni varie, contributi comunali per santi patroni, attività no-profit, etc… come conviene a moltissime realtà cattoliche d’Italia ma sopravvive, semplicemente, grazie all’offerta volontaria che ogni figlio di Dio si sente di dare. Perchè non fa cosi anche la chiesa cattolica (ortodossi compresi)? Forse questa musica è troppo dura per le loro orecchie!
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