Gli italiani rapiti confermano che l’Isis ci vuole colpire

img-_innerArtFb-_bonattiIl governo italiano continua a negare che i terroristi dello Stato Islamico abbiano preso di mira il nostro Paese nonostante si siano infittite negli ultimi giorni le minacce rivolte all’Italia.

Una posizione che il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, mantiene anche di fronte al rapimento dei 4 tecnici italiani della società Bonatti rapiti a Melitha, 60 chilometri a ovest di Tripoli dove si trova la stazione di pompaggio che alimenta il gasdotto Greenstream che trasporta il gas libico a Gela, in Sicilia, e da lì nella rete di distribuzione italiana ed europea.

Il rapimento dei quattro italiani è una ritorsione contro l’Italia per il suo appoggio in sede Onu al governo attualmente in formazione? “Questa ipotesi non mi sembra molto fondata” ha detto Gentiloni rispondendo a un giornalista dopo che nella mattinata di ieri lo stesso ministro aveva detto che “al momento è difficile fare ipotesi sugli autori del rapimento”.

La Bonatti, 6 mila dipendenti che operano in 16 nazioni, è presente in Libia da molti anni realizzando progetti infrastrutturali per numerose società petrolifere inclusa l’Eni che gestisce il Greenstream il più grande metanodotto sottomarino del Mediterraneo, 520 chilometri poggiando su fondali che raggiungono i 1.100 metri. Il gasdotto fornisce all’Europa 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno: due miliardi per l’Italia e il resto per gli altri Paesi, in prevalenza la Francia. Greenstream appartiene a una società mista composta da Eni e dall’agenzia petrolifera libica National Oil Corporation (NOC) e dall’inizio del conflitto libico è stato bloccato due volte quando la compagnia italiana decise di far rientrare il proprio personale.

Melitha rappresenta quindi un obiettivo molto visibile a chi volesse colpire l’Italia. Anzi, si può dire che simboleggia gli interessi italiani in Libia ed è forse uno dei pochi siti in cui è certamente possibile trovare personale italiano dal momento che, dopo i sequestri dei mesi scorsi, la Farnesina mantiene un comprensibile riserbo circa il numero di italiani rimasti nella nostra ex colonia e le località dove questi operano e vivono.

Del resto non occorre essere degli indovini per avere piena consapevolezza che l’Italia è nel mirino dei jihadisti dello Stato Islamico che hanno una base ad appena dieci chilometri da Melitha, a Sabratha dove da più parti si segnala la presenza di un campo d’addestramento in cui l’Isis avrebbe addestrato centinaia di volontari per lo più tunisini in parte attivi in Libia e in parte rientrati in Tunisia.

La presenza del campo di Sabratha, confermata dal governo laico libico di Tobruk e da fonti tunisine (Tunisi per bloccare le infiltrazioni sta costruendo un muro lungo il confine con la Libia) mette in imbarazzo il governo islamista di Tripoli che ne ha negato l’esistenza ed è oggi ai ferri corti con la diplomazia internazionale per non aver aderito alla trattativa guidata dall’ONU e sostenuta da Roma per costituire uin governo libico di unità nazionale.

Ce n’è abbastanza per ipotizzare che i 4 tecnici della Bonatti siano stato catturati in circostanze non ancora rese note proprio perché italiani? Sembra proprio di sì, anche se il governo Renzi sembra aver deciso che il modo migliore per affrontare la minaccia jihadista sia far finta che non esista. Lo denunciava nei giorni Magdi Cristiano Allam ricordando la rivendicazione dello Stato Islamico dell’attentato contro il consolato italiano del Cairo dell’11 luglio (anche in quel caso Gentiloni negò che la bomba fosse da interpretare “come qualcosa di diretto verso l’Italia”) e le minacce dirette postate in rete dallo Stato Islamico.

Il 22 giugno in un video l’Isis sostenne che “il Califfato con la conquista di Roma sta per compiere un’impresa epica e tutti i libici sono invitati a tornare nel loro paese per ristabilire la legge di Allah. La Libia non è lontana da Roma. I mujaheddin hanno già combattuto contro i miscredenti italiani e non temono di rifarlo”.

Immagini propagandistiche ritraggono un miliziano armato di mitragliatrice con la scritta in arabo e inglese che “Dalla Libia stiamo arrivando o Roma”, in un’altra un terrorista sventola la bandiera nera con la didascalia: ”Prossima tappa Roma” mentre in una terza il disegno del gasdotto Greenstream era accompagnato dalla nota minacciosa: “Le onde ancora ci separano, ma questo è un mare piccolo, è una promessa al nostro Profeta. State attenti, ogni stupido passo vi costerà caro. Ogni stupido passo incendierà tutto il Mediterraneo”.

Difficile escludere, come fa Gentiloni, che non fossero moniti diretti all’Italia che, nell’ottica dei jihadisti di “passi stupidi” ne ha compiuti parecchi negli ultimi tempi. In Libia sosteniamo un negoziato che sta mettendo all’angolo il governo islamista dei Fratelli Musulmani e un governo di unità nazionale che dovrebbe combattere lo Stato Islamico e i trafficanti di esseri umani che gestiscono i flussi di migranti che arricchiscono anche i jihadisti. Da tre settimane l’Italia ha assunto il comando della flotta europea dell’operazione Eunavfor Med che dovrebbe contrastare i trafficanti, distruggendo i barconi prima che vengano riempiti di immigrati clandestini. Finora l’operazione Ue non ha combinato un granché in attesa del via libera da Bruxelles, ma è indubbio che la leadership italiana ci ponga nel mirino dei jihadisti. Come se non bastasse pochi giorni or sono il ministro della difesa, Roberta Pinotti, è andata a Baghdad a firmare un accordo che vedrà 110 carabinieri italiani addestrare la polizia irachene che dovranno combattere le cellule terroristiche suicide dello Stato Islamico.

Tutti ci auguriamo che i sequestratori dei tecnici italiani siano solo banditi in cerca di un ricco riscatto ma non mancano certo le ragioni per porre l’Italia nel centro del mirino dell’ISIS e dei suoi alleati. Anche se Gentiloni non lo sa o finge di non accorgersene.

di Gianandrea Gaiani

da: Lanuovabq.it/

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