Cultura e religione: una separazione consensuale
E qui entra in gioco un altro aspetto curioso: l’italiano medio, pur immerso nella religione cattolica, ha sempre avuto una relazione quantomeno distratta con la dimensione spirituale del testo sacro. Gli intellettuali hanno spesso ignorato la Bibbia come fonte diretta di ispirazione. Persino un gigante come Benedetto Croce, il grande filosofo italiano del Novecento, si sentì in dovere di chiarire che “non possiamo non dirci cristiani”, ma lo disse con l’aria di chi ti spiega che non puoi non definirti umano, senza nessun coinvolgimento spirituale.
E anche Dante, che pure si muove agilmente tra l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso con la Bibbia sottobraccio, non era esattamente un lettore appassionato del testo sacro. Il suo Divina Commedia attinge a piene mani dalle Scritture, ma con la distanza del poeta, non del credente. Dante costruisce il suo universo teologico come un architetto, più interessato all’ordine cosmico che alla parola viva del Vangelo. Come osservava lo storico Ernesto m Buonaiuti: “Dante aveva della Bibbia la percezione che si ha di un grande affresco: lo si ammira da lontano, senza mai toccarlo davvero”.
La Bibbia nella letteratura: un fantasma evanescente
Anche nella letteratura italiana, la Bibbia è una presenza che aleggia, ma non si materializza mai completamente. Prendiamo Manzoni: I promessi sposi è un romanzo intriso di morale cristiana, ma la Bibbia rimane sempre sullo sfondo, come un’eco lontana. Padre Cristoforo sembra più un predicatore d’altri tempi che un seguace del Vangelo, e Lucia, povera martire, si rifugia più nelle braccia della Provvidenza che in quelle delle Sacre Scritture. Per dirla con le parole del critico Giovanni Papini: “In Italia, la Bibbia è un libro che si evoca, non si legge”.
Se guardiamo alla filosofia, le cose non migliorano. Il razionalismo italiano, erede di figure come Croce e Gentile, ha sempre guardato alla Bibbia con sospetto, come a un residuo di epoche più buie. Anche i filosofi italiani che si sono avventurati in terreni religiosi, come il già citato Dossetti o Vito Mancuso, hanno dovuto sempre fare i conti con una cultura profondamente laica, che vede nella Bibbia più un oggetto di curiosità storica che un testo vivo e pulsante.
La Chiesa e il monopolio: quando la Bibbia non è per tutti
Uno dei motivi di questa distanza tra gli italiani e la Bibbia va cercato nel ruolo storico della Chiesa cattolica. A differenza dei protestanti, per i quali la lettura diretta delle Scritture è una pratica quotidiana, il cattolicesimo italiano ha sempre mantenuto un controllo serrato sul testo sacro. “La Bibbia è troppo difficile per essere lasciata nelle mani del popolo”, diceva ironicamente il teologo protestante Karl Barth, e in Italia questo principio è stato preso alla lettera.
Solo con il Concilio Vaticano II, negli anni ’60, la Chiesa ha aperto le porte a una maggiore diffusione della Bibbia tra i fedeli. Ma a quel punto, il danno era fatto: gli italiani, abituati a ricevere la religione in comode pillole domenicali, non si sono certo precipitati nelle librerie a comprare copie del Vangelo. E così, la Bibbia è rimasta un libro per pochi. “In Italia, la Bibbia è come un mobile antico: si rispetta, ma non si usa”, diceva il critico letterario Guido Ceronetti, con la sua solita ironia.
Il paradosso dell’Italia moderna: una Bibbia assente in un paese cattolico
Oggi, in un’Italia sempre più secolarizzata, la Bibbia è diventata ancora più invisibile. Le nuove generazioni, cresciute a pane e social network, sanno a malapena che esiste. La religione si è ridotta a un fatto privato, e il testo sacro sembra interessare solo a teologi e studiosi. “Non leggere la Bibbia è come avere un’enciclopedia e non aprirla mai”, diceva lo scrittore Umberto Eco, ma l’enciclopedia italiana, purtroppo, rimane chiusa.
In un paese che si dichiara cattolico al 70%, il paradosso è evidente: ci definiamo cristiani, ma non sappiamo cosa significhi. La Bibbia è il grande assente nella vita degli italiani, un libro che si evoca senza conoscerlo, un simbolo vuoto che ha perso gran parte del suo significato. Forse, come diceva Montanelli, “l’Italia è un paese di cattolici atei: credono in Dio, ma non sanno nulla di Lui”.
Davide Romano
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