Chissà se ti è mai capitato di essere preso di mira dai tuoi compagni di classe, se hanno mai riso di te o se ti hanno mai maltrattato, minacciato… Chissà come ti sarai sentito. Chissà se tu sei mai stato il bullo. Chissà…
Bullismo: ne avrai sicuramente sentito parlare a scuola o al telegiornale e probabilmente puoi raccontare in prima persona di averlo visto, subito o esercitato.
Olweus, studioso norvegese, definisce questo fenomeno una forma sistematica e ripetuta di vittimizzazione, caratterizzata da intenzionalità (il bullo provoca intenzionalmente un danno alla vittima), persistenza e sistematicità (gli episodi non sono isolati ma ripetuti) e asimmetria del potere (fra il bullo e la vittima vi è uno squilibrio fisico e di potere).
Molte sono state le ricerche condotte in questo ambito, le quali hanno dimostrato che i giovani, vittime del fenomeno, presentano un minor grado di autostima e una maggiore incidenza della depressione.
Viene, così, coinvolta la sfera dei sentimenti: timore, vergogna, debolezza, senso di responsabilità.
La vittima presenta un atteggiamento passivo sia nei confronti della scuola (es. calo del rendimento scolastico) sia verso se stessa, credendo che quanto le sta accadendo sia una sua responsabilità, una sua colpa. Non solo la scuola può diventare il luogo dove prendono vita i propri incubi, ma anche fuori da essa la vita non risulta essere troppo facile. Gestire le proprie emozioni non è più così scontato, occorre talvolta mascherarle davanti a genitori, insegnanti, amici.
Il disagio che ne consegue, risulta andare al di là del singolo ragazzo, ma anzi coinvolge quelli che vengono chiamati gregari o spettatori dell’azione.
Questi, pur non prendendo parte, talvolta, all’azione collusiva, vengono considerati allo stesso modo responsabili: complici.
Negli ultimi anni, non si può più parlare solo di bullismo come un atto fisico, di violenza o minaccia continua, ma anche di “cyber bullismo”, ovvero di un atto aggressivo, prevaricante o molesto ripetuto nel corso del tempo compiuto tramite strumenti telematici (sms, e-mail, siti web, social network, ecc.).
Su un articolo del Corriere della Sera si può leggere: “Dal 2015 al 2016 gli atti di cyberbullismo sono aumentati dell’8%…” (http://www.corriere.it/cronache/cards/bullismo-ecco-come-riconoscerlo-combatterlo-sei-mosse/rete-avvertire-polizia-postale.shtml).
Questi dati poco rassicuranti ci pongono di fronte a dei veri e propri furti d’identità.
Ruoli, azioni, conseguenze differenti che riportano a una delle storie più antiche della Bibbia: quella di Giuseppe, la storia di un giovane diciassettenne invidiato dai suoi fratelli, venduto e portato in terra straniera, e che probabilmente non sapeva ancora del meraviglioso piano che Dio aveva pensato e preparato per lui (Libro della Genesi 37-50).
I fratelli di Giuseppe l’odiavano e non potevano parlargli amichevolmente, probabilmente per quell’insicurezza di fondo dovuta al tanto, “troppo” amore di Giacobbe nei confronti del giovane figlio.
Quest’ultimo era il più amato tra i fratelli, frutto della vecchiaia del padre e origine della gelosia dei fratelli. L’odio li aveva accecati, tanto da meditare di ucciderlo.
Erano sicuramente un gruppo, un gruppo di bulli come lo definiremmo oggi, unito da quel sentimento di vendetta e voglia di prevaricazione nei confronti del giovane Giuseppe, il quale sicuramente non avrebbe avuto opportunità di difendersi: era solo.
Proprio quest’ultimo stato di solitudine ci consente di riflettere sull’importanza di circondarsi di persone che ci amano, pronte a difenderci, pronte ad ascoltare.
Condizione necessaria affinché ciò possa avvenire, è quella di “aprirsi”, confidando ciò che è presente all’interno del nostro cuore: dubbi, paure, pesi. Prendere coscienza di ciò che accade intorno o in noi, consente di reagire e quindi di agire.
Genitori, insegnanti, amici e, ancor prima, il Signore ti stanno aspettando: vogliono aiutarti, consolarti. Risulta essere particolarmente importante poter parlare con adulti e/o coetanei e, quindi, pensare a dei piccoli gruppi di conversazione all’interno delle scuole o delle nostre chiese.
Nel libro di Isaia (43:4) è scritto: “Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo…”. Trova la tua forza nel Signore, Egli ti ama.
I bulli, all’interno della nostra storia, non sapevano ancora che sarebbe arrivato per loro il momento di essere scoperti, riconosciuti: “Giuseppe riconobbe i suoi fratelli, ma essi non riconobbero lui.” (Libro della Genesi 42:8).
A questo proposito, ci si può rifare a un noto modo di dire: “ogni cosa, alla fine, viene a galla”. I fratelli di Giuseppe avevano pensato a tutto, ma per coprire il loro gesto non è bastato uccidere una capra e sporcarne con il sangue le vesti di Giuseppe, non è bastato neanche allontanarlo dalle loro vite.
Ma tutto ciò è bastato ad aumentare il loro vuoto, ad aumentare la loro distanza dal padre e a convivere per diverso tempo con il peso di aver abbandonato e venduto il proprio fratello.
Quel vuoto fatto d’insicurezze non per forza deve essere fatto “pagare” a qualcun altro, forse proprio a quel ragazzo seduto vicino a te in classe, apparentemente più debole e timido.
Riconoscere il proprio vuoto non è così scontato, spesso risulta più semplice tentare di colmarlo a scapito degli altri, ma anche di se stessi: ciò significherebbe ammettere i propri errori e affrontarne le conseguenze.
Il Signore ci vuole però sostenere nel “fare agli altri, ciò che vorremmo fosse fatto a noi”.
Quando e se i sensi di colpa si faranno sentire, non lasciamoci sovrastare, ma ricordiamo di avere una seconda possibilità: la possibilità di chiedere perdono a Dio, ma anche a noi stessi.
La croce di Gesù ci mostra il perdono divino che nessuna terapia psicologica può uguagliare.
Con Dio si può ricominciare, meglio e in meglio.
Chissà Giuseppe, che definiremo vittima della nostra storia, quante volte si sarà sentito solo, abbandonato, e chissà quanti domande si sarà posto.
Nella vita potrebbe capitare di dover percorrere strade che non si erano prese in considerazione, di affrontare situazioni pesanti che possono portare a pensare: “Perché a me?”.
Ricordiamo che il Signore non lascia nulla al caso, guarda ad ogni singolo dettaglio, sostiene durante la prova e gioisce nel saperci vittoriosi.
Lo stesso ragazzo diciassettenne venduto e abbandonato dai suoi fratelli divenne “…padre del faraone, signore di tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d’Egitto”. (Libro della Genesi 45:8).
Possiamo, quindi, affermare che da giovane vittima, Giuseppe divenne vincitore in Dio e per Dio.
Era stato pensato il meglio per Giuseppe: “Ma ora non vi rattristate, né vi dispiaccia di avermi venduto perché io fossi portato qui; poiché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita”. (Libro della Genesi 45:5).
Con l’aiuto del Signore, come Giuseppe, perdona i tuoi bulli e vinci.
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