In Sicilia la disoccupazione giovanile è arrivata al 50%. Un’intera generazione che ha perso speranza nel futuro. Cresce la disperazione, e cresce anche il coinvolgimento di minori in attività criminali.
E’ allarmante la notizia diffusa dall’Istat secondo la quale ammonterebbe a 38,5% il tasso di disoccupazione giovanile in Italia. A marzo ben 70.000 donne hanno perso il lavoro mentre in un anno sono oltre 248.000 gli «under 25» che non hanno più alcuna occupazione. In Sicilia, se possibile, il dato è ancora più preoccupante: un giovane su due non lavora.
Non ce la fa, quindi. Una classifica che vede la Sicilia superata solamente dalla Calabria. Il Sud paga, ancora una volta, il prezzo più alto di questa come delle altre crisi con una riduzione degli occupati ma, quello che i dati non dicono e sottintendono, soprattutto con la perdita, da parte di una intera generazione, della speranza nel futuro, in una vita degna.
Le cifre sono impressionanti se si considera che sono ben tre milioni gli italiani che non hanno un posto fisso, oltre a coloro che, espulsi in una qualche maniera dal mercato del lavoro, hanno smesso di cercare una nuova occupazione e si sono quindi arresi alla crisi. Dati terribili, ripresi pure nel «Bilancio sociale 2013» del Servizio cristiano di Riesi, accompagnati dalle rilevazioni statistiche sui livelli di povertà e impoverimento della Sicilia. In questa regione a statuto speciale il Commissario di Stato ha impugnato alcune norme della legge finanziaria appena approvata: in particolare la «Tabella H», ovvero l’elenco di 135 enti e associazioni beneficiari di 24 milioni di euro, approvata a notte fonda tra numerose polemiche.
Per il Commissario «la norma dà adito a rilievi di carattere costituzionale perché l’Assemblea regionale interviene nuovamente con un provvedimento ad hoc destinato esclusivamente a determinate istituzioni, da anni fruitrici di provvidenze pubbliche senza ancorare la scelta operata a precisi e confacenti parametri di comparazione e valutazione». Ovvero l’ennesimo tentativo, contro il quale pure si era scagliato il Presidente della Regione Crocetta, di utilizzare le risorse pubbliche in maniera «discrezionale» verso iniziative di interesse di singoli o gruppi di deputati.
Le risorse non ci sono, e questo è indubbio: sperperi e politiche di vero e proprio saccheggio nei confronti delle risorse pubbliche hanno imposto la dura legge della recessione. La Sicilia è a rischio default come la Grecia, senza nessuna strategia anticrisi e con il rischio, sempre più concreto, non solo di un malessere sociale evidente e palpabile, ma che questo malessere finisca per consegnare larghe fasce di popolazione alla ricattabilità del sistema dei prestiti, delle finanziarie se non nelle mani delle organizzazioni criminali. Specie nelle più lontane periferie.
Ci troviamo di fronte all’impazzimento del sistema economico-finanziario che è prigioniero della crisi ma, soprattutto, della paura della crisi che blocca ogni tentativo di immissione di fiducia nel sistema umano, in quel tessuto importantissimo della coesione e della solidarietà sociale che ha finora frenato ogni spinta violenta e reazionaria. I supermercati, i centri commerciali sono pieni di persone che girano a vuoto, che guardano gli scaffali ma non comprano, come coloro che, d’estate, si rifugiano dentro un supermercato per godere dell’aria condizionata. Il benessere occidentale, il consumo acritico cui ci siamo stati abituati, quella irrefrenabile voglia di possesso che dovrebbe legittimare la necessità d’esistere, benché a portata di mano è divenuta irraggiungibile e perciò insopportabile. Le periferie si stanno pericolosamente allontanando in un mare in tempesta fatto di pulsioni violente, disperazione, espedienti di sopravvivenza in cui il mors tua vita mea è regola di condotta. Il dramma nel dramma è che oggi siamo nel centro del ciclone, dell’emergenza, perciò il tempo per dotte riflessioni non solo è esaurito, ma rischia di contribuire odiosamente alla crescita della disperazione: quella reale e quella percepita.
A ciò, come sopra accennato, si aggiunge una recrudescenza del fenomeno criminale, stante quanto riportato dalla Relazione della Corte d’Appello di Caltanissetta: «deve essere registrato un sensibile aumento, in termini di quantità e di complessità, dei procedimenti penali [a carico di minori, nda] iscritti. […] Va oggi annotato come sia aumentata in negativo la qualità oggettiva dei reati commessi, spesso contrassegnati dall’uso della violenza e, più di frequente, riconducibili ad autori di età sempre più precoce. È inoltre fortemente aumentato il numero degli arresti dalle Forze dell’Ordine e alto si è confermato il numero delle misure restrittive adottate a carico di indagati minorenni. Continuano a destare particolare allarme i territori dei Comuni di Gela e Riesi […] ove persistono segnali del mantenimento dell’interesse della criminalità organizzata verso attori minorenni da avviare alle attività illecite ovvero da coinvolgere in queste. È significativo, in proposito, che i 2/3 delle segnalazioni di reato riguardanti tutto il distretto giudiziario (Caltanissetta ed Enna) provengano da Riesi e Gela e che siano stati contestati ad indagati minorenni reati associativi di stampo mafioso»*.
Per il Tribunale di Caltanissetta i numeri parlano chiaro: 34 sono gli iscritti nel registro di notizie di reato al di sotto dei 14 anni!!! In parte una riduzione rispetto all’anno precedente in cui tali segnalazioni riguardavano ben 62 minorenni. Ma questo dato è da ascriversi allo spostamento dei procedimenti penali nel registro dei procedimenti civili di potestà nei confronti dei genitori o della collocazione dei minori nelle comunità.
– Le iscrizioni per reati concernenti la sfera sessuale (violenza sessuale) sono aumentate del 37% in un solo anno passando da 14 casi a 22**; il quadro è sconfortante perché non solo i giovani sono defraudati del loro futuro ma vengono proiettati, quasi inesorabilmente, in un assetto sociale dove regna la legge del più forte. Ed è questo il contesto in cui ci troviamo a operare, consapevoli che ogni rinuncia da parte di chi ancora opera per impedire lo sprofondamento sociale, rischierebbe di tradursi nella classica goccia che fa traboccare il vaso.
Perciò, dinanzi alla nostra responsabilità inculcata in noi dall’etica protestante che anima il nostro agire laico e aperto a tutti e tutte, si è aggiunta la consapevolezza di non appartenere più né soltanto a un gruppo ristretto di persone, a una religione, ma di essere parte portante di questa società nel tempo presente.
* S. Cardinale, Relazione Corte di Appello di Caltanissetta, anno 2012, p. 73.
** Id., pp. 74 e 75.
* direttore del Servizio cristiano di Riesi (Cl)
(15 maggio 2013)
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