I numeri, quando sono riferiti a uomini donne e bambini, sono spersonalizzanti, si sa. Eppure, 65 milioni è una cifra che dovrebbe inquietare anche chi è abituato a maneggiare statistiche. 65,3 milioni di persone, per la precisione, sono state costrette alla fuga nel 2015: 65 milioni di volti, di storie, di ansie, di paure, di malattie e di pericoli che spesso hanno portato anche alla morte.
Sono i dati resi noti oggi dall’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, che ha sottolineato come questo sia il dato più alto (e quindi più grave) mai raggiunto fino ad oggi. Il numero complessivo comprende 3,2 milioni di persone che erano in attesa di decisione sulla loro richiesta d’asilo in paesi industrializzati a fine 2015 (il più alto totale mai registrato dall’Unhcr), 21,3 milioni di rifugiati nel mondo (1,8 milioni in più rispetto al 2014 e il dato più alto dall’inizio degli anni ‘90), e 40,8 milioni di persone costrette a lasciare la propria casa ma che si trovano ancora all’interno dei confini del loro paese (il numero più alto mai registrato, in aumento di 2.6 milioni rispetto al 2014).
A livello globale, con una popolazione mondiale di 7.349 miliardi di persone, questi numeri significano che una persona su 113 è oggi un richiedente asilo, sfollato interno o rifugiato – un livello di rischio senza precedenti secondo l’Unhcr.
La Siria, a causa della guerra, continua a produrre il maggior numero di profughi, con 4,9 milioni di rifugiati, seguita dall’Afghanistan con 2,7 milioni e dalla Somalia con 1.1 milioni; contemporaneamente la Colombia, con 6,9 milioni, è il paese con il più alto numero di sfollati interni, seguita ancora una volta dalla Siria, con 6,6 milioni, e dall’Iraq, con 4,4 milioni. Lo Yemen è il paese che ha dato origine al maggior numero di nuovi profughi interni nel 2015: 2,5 milioni di persone, il 9% dell’intera popolazione.
Inoltre il 51% dei rifugiati nel mondo è composto da bambini, di cui molti non accompagnati dai genitori: sono state 98.400 le richieste d’asilo da parte di minori soli, anche questo un dato record e che induce grande preoccupazione sull’impatto che le guerre e le conseguenti migrazioni forzate hanno sulla vita e il destino di tanti bambini e bambine.
Pochi migranti, poi, hanno potuto tornare a casa propria o trovare altre soluzioni durevoli e dignitose, come il reinsediamento in altri paesi: nel 2015, 201.400 rifugiati, principalmente afghani, sudanesi e somali, hanno potuto far ritorno nei loro paesi d’origine, un dato superiore a quello registrato nel 2014 (126.800), ma ancora sostanzialmente basso in confronto ai risultati degli anni ‘90. 107.100 rifugiati sono stati inseriti nei programmi di reinsediamento in 30 paesi nel 2015, ovvero lo 0.66% dei rifugiati sotto protezione dell’Unhcr, e circa 32mila rifugiati sono stati naturalizzati nel corso dell’anno, la maggior parte in Canada e in misura minore in Francia, Belgio, Austria ed altri paesi.
Che senso ha, di fronte a questi numeri, celebrare oggi, 20 giugno, la Giornata mondiale del rifugiato? In Europa suona quantomeno impegnativo, per non dire imbarazzante: non siamo riusciti ad accogliere un milione di profughi, redistribuendoli sull’intero territorio dell’Unione, che conta 501 milioni di cittadini e il piano biennale della Commissione europea per ricollocare almeno 120.000 persone arrivate in Grecia è miseramente fallito, visto che solo l’1 per cento è stato accolto in uno degli altri paesi dell’Unione europea.
Non a caso, l’Alto Commissario Onu per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha dichiarato che sempre più persone sono costrette a fuggire a causa di guerre e persecuzioni, un dato preoccupante, a cui si aggiungono però i fattori che mettono a rischio chi si sposta: «Un numero spaventoso di rifugiati e migranti muore in mare ogni anno; sulla terraferma, le persone che fuggono dalla guerra trovano la loro strada bloccata da confini chiusi», ha ricordato Grandi. Scampati alle bombe, i profughi vanno incontro ad altri pericoli, spesso mortali, e sono vittime dei trafficanti e della politica di respingimento dell’Europa, che ha pagato la Turchia 6 miliardi di euro perché “smaltisse” al posto suo gli arrivi dei richiedenti asilo. Un piano disumano, perché appalta a un paese terzo la gestione di un’emergenza umanitaria, un paese tra l’altro ben poco tenero con i rifugiati: è notizia di ieri che delle guardie di confine avrebbero sparato contro dei siriani che tentavano di passare la frontiera nella zona di Hatay, nel nordest del paese, provocando la morte di 8 persone, di cui 4 bambini. Non è la prima volta, non sarà probabilmente l’ultima. Una situazione allarmante che ha convinto l’ong Medici Senza Frontiere, attiva in tutte le zone di conflitto, a rifiutare i fondi provenienti dall’Unione europea a causa della sua «vergognosa politica sui migranti». Nel 2015 Msf aveva ricevuto 19 milioni di euro dalle istituzioni comunitarie e 37 milioni di euro dagli Stati membri, per un totale di 46 milioni di euro, anche se a livello internazionale i fondi raccolti da Msf derivano per il 92% da donazioni private, mentre soltanto una parte minoritaria di risorse proviene anche da fondi istituzionali. La decisione di Msf arriva a tre mesi dall’accordo Bruxelles-Ankara, in cui sono stati i rifugiati a pagare il prezzo dell’egoismo europeo: più di 8mila persone, tra cui centinaia di minori non accompagnati, in fuga da Siria, Iraq e Afghanistan, sono bloccate sulle sole isole greche, in campi sovraffollati e in condizioni disastrose.
Non è tutto, la scelta dell’Europa costituisce un pericoloso precedente: «La scorsa settimana la Commissione europea ha presentato una nuova proposta per replicare la logica dell’intesa UE-Turchia in oltre 16 paesi in Africa e Medio Oriente. Gli accordi imporrebbero tagli commerciali e agli aiuti allo sviluppo per quei paesi che non arginano la migrazione verso l’Europa o che non facilitano i rimpatri forzati, premiando quelli che lo fanno. Tra questi potenziali partner ci sono la Somalia, l’Eritrea, il Sudan e l’Afghanistan. Tutto ciò che l’Europa ha da offrire rifugiati è costringerli a restare nei paesi da cui cercano disperatamente di fuggire? Ancora una volta, l’obiettivo principale dell’Europa non è proteggere le persone, ma tenerle lontane nel modo più efficace».
Altro che Giornata del rifugiato.
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