Giornata contro la violenza sulle donne: la polizia turca picchia e arresta manifestanti

In almeno quattro città le Forze dell’ordine hanno bloccato le marce e impedito la lettura di dichiarazioni. Le maggiori restrizioni nell’area curda dal Paese. La denuncia dei movimenti di opposizione per il nuovo caso di violazione dei diritti. I numeri della violenza di genere.

Istanbul (AsiaNews) – Nella Giornata internazionale Onu per l’eliminazione della violenza contro le donne, che si è celebrata ieri in tutto il mondo, la polizia turca ha impedito alle rappresentanti femminili di scendere in piazza e marciare in almeno quattro città. Gli agenti hanno usato la forza per bloccare le manifestazioni, picchiando e arrestando diverse attiviste ed esponenti di partito a Şırnak, Van, Ağrı e Mardin, nell’area a maggioranza curda del Paese.

Le marce, di carattere pacifico e senza connotazioni di natura politica, erano promosse e organizzate dal Free Women’s Movement (Tja). Secondo quanto riferiscono fonti rilanciante dalla Mezopotamya Agency (Ma), le Forze dell’ordine in tenuta antisommossa sono intervenute e hanno picchiato in maniera indiscriminata, per poi compiere numerosi fermi. Feleknas Uca, parlamentare del movimento di opposizione Peoples’ Democratic Party (Hdp), sottolinea come “ancora una volta [la polizia] ha usato la violenza sulle donne. E per questo deve pagare”.

Ad Ağrı, le donne si sono riunite all’esterno della sede provinciale Hdp. Le forze dell’ordine hanno impedito di leggere una dichiarazione e hanno compiuto arresti fra cui Hatice Akdağ, membro del Comitato esecutivo centrale del partito, e Dilek Karataş, esponente Hdp del consiglio comunale. Più “fortunate” le donne di Mardin, che hanno potuto leggere il documento ma è stato impedito loro di marciare perché la polizia aveva bloccato in precedenza le strade.

La violenza di genere resta un tema di attualità in Turchia, come emerge dalle cifre raccolte dal portale di informazione Bianet: dal primo gennaio al 23 novembre di quest’anno si contano almeno 296 femminicidi e 715 denunce di abusi. In 17 casi, gli omicidi erano a carico di rifugiate. Nel dettaglio, almeno 218 donne sono state uccise dai loro mariti o fidanzati; 23 dai loro padri, fratelli o figli; otto dal genero, cinque dai vicini e 16 da parenti. Una donna è stata assassinata da un ladro, un’altra da un paziente, due dal datore di lavoro e altrettante da “amici”.

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