La questione dell’Armenia e il genocidio vengono periodicamente evocati, magari ipocritamente, in quella che appare sempre più come una mortifera partita a scacchi geopolitica tra Stati. In cui, al solito, a rimetterci sono soprattutto i popoli.
Verso la metà di settembre il ministro degli Esteri uscente della Francia Stéphane Séjourné era approdato a Erevan.
Più che altro una tappa del suo “tour di commiato” (prima del trasferimento a Bruxelles in sostituzione di Thierry Breton) comprendente anche la Grecia e la Moldavia. E comunque non era questa la prima visita di un esponente dell’establishment francese in Armenia.
Tuttavia la faccenda sembrava aver indispettito il Cremlino (e non solo come vedremo). Pur non avendo mostrato particolare solidarietà con la piccola Armenia aggredita dall’Azerbaijan nella guerra dell’autunno 2020 e nei tragici eventi successivi (forse per non incrinare i rapporti con Ankara), la Russia ora forse teme di perdere un partenariato storico. A vantaggio della Francia, peraltro non abbastanza solidale con Erevan, al di là delle dichiarazioni di principio, sulla questione del Nagorno-Karabakh.
Un breve riepilogo. Se nel conflitto del 1988-1994 la vittoria era andata agli armeni (con la conseguente espulsione di migliaia di azeri), nella seconda guerra del Nagorno-Karabach ( autunno 2020) i ruoli si invertirono e per oltre 40 giorni l’esercito azero si scatenò sulla popolazione civile compiendo ogni genere di efferatezze. Qualificabili come una brutale pulizia etnica; al punto che molti armeni in fuga riesumarono i loro cari dalle tombe e fuggirono con le bare fissate ai portapacchi delle auto, dopo aver incendiato la propria casa.
Occupato militarmente il territorio e smantellata l’amministrazione armena della enclave ribelle, Baku dichiarava di volerla “integrare totalmente nella società e nello Stato azeri”. Quanto alle voci di una possibile concessione di “autonomia”, direi che la cosa appariva pura fantapolitica.Tornando agli scambi di visite di cortesia tra Erevan e Parigi, secondo Sergej Markedonov (direttore scientifico dell’Istituto per le ricerche internazionali Mgimo di Mosca) gli incontri tra armeni e francesi “non stupiscono più nessuno essendo ormai diventati una routine diplomatica”.
Fermo restando che questo non sembra distogliere Parigi dal tentativo di ristabilire relazioni amichevoli con l’Azerbaijan.
Facilmente intuibile che la visita di Séjourné si inseriva nel quadro delle iniziative politiche (sia interne che esterne) per una possibile adesione dell’Armenia all’Unione Europea.
Portate avanti dalla “Piattaforma delle forze democratiche” che riunisce le organizzazioni filo-occidentali armene, comunque legate (o forse manovrate) al premier Nikol Pašinyan.
Partiti e movimenti come “Repubblica” di Aram Sarkisyan, “In nome della Repubblica” di Arman Babadžanyan, “Partito europeo dell’Armenia” di Tigran Khzmalyan… che da settembre raccolgono firme (ne servono 50mila) per un referendum sull’adesione della repubblica del “Piccolo Caucaso” alla Ue. Iniziativa che gode del favore di Parigi la quale, stando alle parole pronunciate da Séjourné “sarà sempre al fianco del popolo armeno” (riferendosi però soprattutto a eventuali “contenziosi” con la Russia piuttosto che con l’Azerbaijan).
Risaliva a nemmeno un anno prima (ottobre 2023, un mese dopo l’avvio della “soluzione finale” da parte di Baku nel Nagorno-Karabakh con altri 100mila profughi) la visita in Francia del ministro armeno della Difesa Suren Papikyan, ricevuto dal suo omologo francese Sébastien Lecornu.
Oltre naturalmente a qualche “conseiller militaire”, come da protocollo.
In seguito, nel 2021, quando appariva evidente che per l’Azerbaijan non si trattava di trovare una soluzione politica del conflitto, ma di uscirne vittorioso con mezzi militari, Emmanuel Macron si era trovato nuovamente di fronte al dilemma. Mantenere una posizione di sostanziale equidistanza oppure sostenere apertamente Erevan (anche con forniture militari, se pur a carattere difensivo). Ma tale iniziativa sarebbe stata in contrasto con l’appartenenza dell’Armenia all’OTSC (Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva) diretta dalla Russia.
Va riconosciuto comunque alla Francia di aver indetto (in quanto membro permanente) la maggioranza delle riunioni d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite in merito alle periodiche azioni militari condotte dall’Azerbaijan contro l’Armenia.
Purtroppo senza risultato anche per volersi mantenere in una velleitaria “equidistanza” mentre Baku portava avanti i suoi progetti espansionisti (in perfetta sintonia con Ankara).
Come già in precedenza (e contrariamente al Parlamento) il governo francese ribadiva il concetto – ambiguo in tale contesto – di “integrità territoriale” sia per l’Armenia che per l’Azerbaijan. Sostenendo di voler garantire i diritti degli armeni del Nagorno-Karabach, ma non la loro indipendenza (ossia il diritto all’autodeterminazione).
Altri soggetti (Anne Hidalgo, maire di Parigi e alcuni parlamentari) nel frattempo (luglio-agosto 2023) intervenivano con maggior coraggio e senso di giustizia. Inviando – diversamente da USA e UE – convogli di aiuti umanitari durante il blocco imposto dagli azeri quando ormai la popolazione armena del Nagorno-Karabach era letteralmente alla fame. Avendone però gli azeri impedito il transito, nel settembre 2023il governo francese interveniva con aiuti direttamente all’Armenia (29 milioni di euro più altri 15 in dicembre).
E probabilmente Baku deve essersela legata al dito.
Per complicare ulteriormente il quadro, ricordo che durante la recente crisi in Nuova Caledonia, Sossi Tatikyan (consulente indipendente di politica estera e di sicurezza) aveva puntato il dito su una presunta “azione destabilizzatrice” dell’Azerbaijan e forse anche di Mosca. Sospettati di aver voluto “punire” Parigi per l’avvicinamento all’Armenia.
Arrivando a sostenere che la preesistente “campagna di disinformazione e di false narrazioni contro la Francia” condotta dall’Azerbaijan (e da Mosca), si sarebbe ormai trasformata in una “guerra ibrida che si estende dal Pacifico all’Africa”.
Segno inequivocabile – a suo avviso – di un deterioramento dei rapporti tra Baku e Parigi come conseguenza del rafforzamento di quelli tra Erevan e Parigi.
Gianni Sartori
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