Gerusalemme Quei luoghi santi strumentalizzati dal terrore

A Gerusalemme è da sempre il luogo più conteso il recinto sacro, la Spianata delle Moschee per i musulmani, il Monte del Tempio sopra il Muro del Pianto per gli ebrei. Eppure quanto successo ieri è qualcosa del tutto inedito nella storia recente della Città Santa. Un’azione terroristica partita dall’interno e conclusasi con la morte di due agenti di polizia israeliana – di etnia drusa, quindi non ebrei – e dei tre attentatori, un commando formato da arabi israeliani – dunque non palestinesi, ma cittadini dello Stato a maggioranza ebraica. E il governo Netanyahu che sceglie, come risposta, la linea durissima della chiusura del luogo sacro almeno fino a domenica.

Chiamare in causa l’intifada dei coltelli – l’ondata di attacchi all’arma bianca che va avanti ormai da due anni a Gerusalemme – rischia di essere fuorviante. Perché è vero che la nuova scia di violenza iniziata proprio sulla Spianata nell’autunno 2015  non si è mai fermata. Ma finora erano stati quasi tutti attacchi portati avanti da singoli, per lo più giovanissimi lupi solitari, espressione d’odio allo stato puro ma apparentemente senza una strategia coordinata dietro. Tutti elementi diversi rispetto a quanto accaduto ieri.

Quella dei tre arabi israeliani che hanno aperto il fuoco sui poliziotti israeliani con le rudimentali pistole “Carlo” ha tutta l’aria, infatti, di un’azione organizzata con un obiettivo evidente: infiammare il luogo sensibile per eccellenza nella Città Santa e da lì far divampare l’incendio. Anche la dinamica è importante: i tre erano già entrati sulla Spianata e da dentro hanno cominciato la loro azione. La polizia israeliana sospetta che le stesse armi si trovassero già da qualche parte nel complesso di al Aqsa e la cosa è abbastanza verosimile. Anche per questo hanno chiuso immediatamente l’accesso alla Spianata e iniziato interrogatori e perquisizioni.

C’è poi un altro dato importante: i tre venivano da Umm al Fahm, la cittadina nel nord della Galilea che è l’epicentro della questione arabi israeliani. E’ in questa zona della Galilea abitata solo da arabi e tradizionalmente trascurata da tutti i governi israeliani che è nato il Ramo Settentrionale del Movimento Islamico, la più importante formazione islamista in Israele. Una realtà collegata all’alveo dei Fratelli Musulmani e con un leader – l’imam Raed Salah, già sindaco di Umm al Fahm – accusato di incitare gli arabi israeliani alla rivolta. Proprio la presenza sempre più marcata di elementi legati al Movimento Islamico aveva portato nel 2015 alle misure adottate dal governo israeliano contro i morabitoun – il servizio di sicurezza interno legato al Waqf, l’autorità musulmana che sovrintende alle moschee. Già allora la reazione era stato l’immancabile grido su al Aqsa in pericolo e i tentativi di Israele di mutare lo status quo sulla Spianata. Ne erano nati scontri in forza dei quali il governo israeliano aveva dichiarato fuori legge il Movimento Islamico e arrestato Raed Salah (uscito dal carcere solo qualche mese fa).

Contemporaneamente, però, intorno al Monte del Tempio in questi anni sono continuate a crescere anche le provocazioni degli estremisti di segno opposto, quelli della destra religiosa ebraica. Sempre più spesso salgono sulla Spianata con l’intenzione di pregare in maniera manifesta accanto alle moschee, per affermare la propria sovranità su tutto ciò che sta sopra al Muro del Pianto. Qualche settimana fa c’è stata persino una coppia che ha postato sui social un selfie del proprio matrimonio celebrato sul Monte del Tempio. In questa situazione il governo Netanyahu si barcamena tra l’impegno di mantenere lo status quo (che non prevede alcuna forma organizzata di presenza ebraica sulla Spianata) e l’esigenza di non urtare la sensibilità dei movimenti nazionalisti ebraici, parte della maggioranza di governo a Gerusalemme. Così, proprio in questi giorni, Netanyahu aveva fatto sapere che la prossima settimana non avrebbe rinnovato il divieto che dal 2015 imponeva quantomeno ai membri della Knesset, il parlamento israeliano, di non salire sulla Spianata.

Può stupire, allora, che chi vuole appiccare l’incendio punti proprio su questo luogo? Il punto vero, allora, non è l’azione di un commando all’alba di un venerdì di luglio. Il problema è l’abbandono di un simbolo così importante di Gerusalemme nelle mani degli opposti estremismi; un abbandono che dura ormai da anni, in una Terra Santa dimenticata dal mondo. Come più volte denunciato dall’amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, padre Pierbattista Pizzaballa, il dramma di oggi è la mancanza di prospettive su Israele e la Palestina. Lo stesso impegno di Donald Trump a concludere “l’affare della vita” con la pace a Gerusalemme in poche settimane si è già dimostrato del tutto velleitario. E quando la Città Santa è lasciata alla legge del più forte, non possono essere che gli estremismi a trionfare. Dopo essere passati all’incasso sulla Spianata delle Moschee/Monte del Tempio.

In uno scenario del genere appaiono del tutto patetiche le dispute diplomatiche all’Unesco sui Luoghi Sacri. Ad esempio quella consumatasi appena la settimana scorsa a Cracovia per il riconoscimento della Tomba dei Patriarchi a Hebron come “patrimonio dell’umanità in pericolo”. Si piantano bandierine sui simboli che rappresentano il cuore della Terra Santa; li si utilizza – da entrambe le parti – per motivi di propaganda. Ma abbandonandoli di fatto nelle mani di chi già ora li sta distruggendo.

Oggi il mondo si riaccorge della Spianata delle Moschee/Monte del Tempio. E nessuno sa che cosa fare: ieri non c’è stato leader internazionale che abbia detto qualcosa, nonostante il livello della tensione in queste ore sia altissimo a Gerusalemme. Ci siamo talmente abituati al conflitto da non saper più distinguere i salti di qualità. Le prossime ore saranno cruciali per questa Terra Santa abbandonata alla sua marcia dei folli. Si fermeranno da soli?

di Giorgio Bernardelli | Lanuovabq.it


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