Gerusalemme, la città che chiamano “tre volte santa”, è uno dei luoghi più esplosivi del mondo, come un concentrato di odio, collera e antagonismo.
(André Comte-Sponville) Nessuna città può pretendere di essere santa, né alcun luogo, né alcun popolo. Perché non vi è che la santità individuale, personale, spirituale. Dio, se esiste, ha dato un’anima a ciascuno di noi. Ma non ho letto da nessuna parte che abbia dato un’anima a una qualsiasi città. Come potrebbe una città essere santa? Si parla a volte dell’anima di un luogo. Ma non è che metafora o superstizione. Tanto vale adorare gli idoli o le reliquie.
Ama il tuo prossimo
Lo spirito del monoteismo è il contrario: “Adorerai un solo Dio” e Dio soltanto. Così come lo spirito dell’umanesimo: “È consentito adorare soltanto l’uomo”, diceva Alain, e meglio ancora, aggiungerei io, amarlo come individuo (il prossimo, nella sua fragilità e concretezza) che adorarlo come astrazione (l’Uomo o l’umanità). “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. E chi vorrebbe adorare se stesso? Chi potrebbe adorare il suo prossimo, vale a dire chiunque? Fagli piuttosto del bene, quando puoi, come ne fai legittimamente a te stesso.
Nessuna città può pretendere di essere santa, né alcun luogo, né alcun popolo
Il buon Samaritano
Rileggete la parabola del buon samaritano, sulla quale tutti possono essere d’accordo. I samaritani si distinguevano dai giudei in quanto rifiutavano la centralità religiosa di Gerusalemme: preferivano pregare in direzione del monte Garizim, che non è migliore né è da meno e conferma ciò che vi è di relativo e di casuale in questi dati di geografia religiosa o presunta sacra. Gesù, incontrando una samaritana, lo riconosce a modo suo. “I nostri padri hanno adorato su questo monte”, gli dice lei, “e voi giudei dite che a Gerusalemme è il luogo dove bisogna adorare”. E Gesù risponde: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre”. A questo riguardo nessuno è tenuto a seguirlo, ma ognuno può meditarne la lezione. Ha poca importanza dove preghi o in quale direzione. Preoccupati piuttosto del contenuto della tua preghiera e ancora di più del tuo prossimo.
Non c’è una città santa. Ci sono invece città storiche, simboliche, che appartengono più di altre, o più preziosamente, a ciò che l’Unesco chiama “patrimonio mondiale dell’umanità”. E ne vedo poche che possano pretendere di esserlo più di Gerusalemme. In Occidente vi aggiungerei senz’altro Atene: chiunque sa che queste due città sono come i due poli della nostra civiltà – l’una simbolo della Rivelazione ebraica e l’altra della Ragione greca – di cui l’impero romano compirà, dapprima mediante la spada, la difficile e sempre problematica sintesi. E di sicuro, se fossi obbligato a scegliere tra le due, non avrei esitazioni: il mio cuore e la mia mente opterebbero per l’Acropoli. Ma non c’è da scegliere ed è ciò che Roma, altra città presunta santa e storicamente decisiva, non smette di ricordarci.
Rivelazione e ragione
La Rivelazione non vieta di riflettere, né ce ne dispensa. La Ragione non vieta di credere, né basta a se stessa. E né l’una né l’altra prendono il posto dell’amore, della morale o della politica. Da qui nasce una continua tensione tra ciò che la ragione conosce, ciò che la fede o la fedeltà prescrive, ciò che la legge autorizza o vieta. Sono come tre organi, che non si possono confondere né ripiegare completamente l’uno sull’altro. È questo che la laicità ci ricorda e che Gerusalemme potrebbe simboleggiare: lo scarto irriducibile tra fede, ragione e diritto e allo stesso tempo la loro necessaria convivenza. Significa anche che la legge, a Gerusalemme come altrove, deve prevalere collettivamente. Che i cristiani preghino per la pace, in qualsiasi luogo lo facciano, è quello che ci auguriamo. Ma non sarà sufficiente a realizzarla. (da Monde des religions; trad. it. G. M. Schmitt)
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