Gender senza freni: il Friuli inventa l’identità personale

Per ottenere un cambio di identità sessuale a livello amministrativo e anagrafico basta manifestare un’identità percepita diversa dal sesso biologico di nascita. Ormai è questa la linea che si sta seguendo a diversi livelli istituzionali dopo la sentenza n. 15138 del 2015  della Cassazione che, per la prima volta, riconobbe la nuova identità femminile di un uomo di Piacenza, il quale non ricorse alla modificazione dei caratteri sessuali primari, ovvero gli organi genitali, come invece previsto dalla Legge italiana.

In quella fattispecie il soggetto si era comunque sottoposto a dei trattamenti ormonali e ad alcuni interventi estetici tra cui la ricostruzione del seno. Ora invece si va affermando il diritto ad esprime un’identità di genere completamente slegata da qualsiasi tratto somatico e elemento biologico della persona.

In questa direzione va la direttiva approvata la scorsa settimana dalla Regione Friuli Venezia Giulia affinché eventuali dipendenti regionali che vogliano veder riconosciuta anche sul posto di lavoro la propria identità percepita, possano disporre di una procedura definita: una norma non ancora prevista a livello statale, dove, in generale , si continua ad assegnare la nuova identità solo a chi ha già completato il processo di transizione da un genere all’altro.

La stampa locale e nazionale ha salutato questa iniziativa come un atto civiltà e la  governatrice Debora Serracchiani ha parlato di “una norma che colma un vuoto in questa disciplina specifica”.

“Vogliamo garantire – ha spiegato la presidente Debora Serracchiani – il pieno diritto all’identità personale quale espressione della dignità del soggetto e diritto a essere riconosciuto nell’ambito sociale, anche sul luogo di lavoro”. L’esponente del Pd riesce persino a coniare una nuova categoria, ovvero “l’identità personale” per giustificare questa misura che comporterà l’adeguamento di tutta la documentazione identificativa del dipendete che ne farà richiesta, come il badge e i dati informatici, compresa la possibilità di utilizzare questa identità anche nelle comunicazioni istituzionali all’esterno della Regione.

“Rispettare i diritti fondamentali della persona favorisce anche un clima di lavoro sereno e produttivo”, ha invece commentato l’assessore alle pari opportunità, Loredana Panariti. “Semplici prassi – ha proseguito l’assessore – utili ad aumentare il benessere dei lavoratori nei luoghi di lavoro costituiscono per ente e dipendenti un’occasione di crescita”.

In pratica sarà possibile che un impiegato della Asl, con tanto di barba e spalle da lottatore, pretenda e ottenga che sul suo badge sia appellato come Stefania  al posto di Stefano.

Contraria al provvedimento l’opposizione. A farsi sentire è stato anche il capogruppo della Lega Nord alla Camera, Massimiliano Fedriga, che vive a Trieste. Per l’esponente del Carroccio si sta cercando “anche attraverso le istituzioni, di creare un ministero della verità per plagiare i modelli culturali e sociali, oltre tutto creando un danno enorme anche a quei cittadini che in modo superficiale si sentono coinvolti in questo tipo di decisioni”.

“Infatti – ha aggiunto Fedriga – bisogna distinguere l’orientamento sessuale, su cui io sarò sempre il primo a difendere la libertà di ognuno di compiere le scelte che preferisce, dallo svilire l’essere uomo e l’essere donna con questo modello, proveniente oltre tutto dai Paesi anglosassoni, dove si fa perdere alle persone la propria identità”.

“Una persona senza identità – ha detto ancora Fedriga – è una persona debole e manipolabile. Quindi provvedimenti di questo tipo, mascherati da scelte indirizzate alla libertà, in realtà sono liberticide”.

Dalla giunta hanno fatto sapere che il fine è anche tutelare le identità dei dipendenti transessuali. Ma è impossibile non ravvisare una matrice ideologica in un’iniziativa che arriva a parlare di identità “percepita” e “personale”. Termini che potevano essere benissimo evitanti anche portando avanti un azione di sostegno e accoglienza per coloro stanno completando una transizione sessuale tramite trattamenti ormonali.

Partendo da queste premesse si possono infatti riconoscere anche le decine di identità di genere elencate nei documenti delle frange più radicali del movimento lgbt. La versione Usa di Facebook permette di selezionare 58 diverse opzioni, tra le quali Agender, Gender fluid, Intersx e Pangender. In Australia invece l’alta corte nel 2014 ha riconosciuto l’esistenza di un `terzo sesso´, accogliendo il ricorso di una persona, Norrie May Welby, che si batte da anni per non essere identificata sui documenti ufficiali né come maschio, né come femmina.

Il riconoscimento della percezione personale è ormai su un piano inclinato molto pericoloso. Una deriva che si basa sulla strumentalizzazione di rarissimi casi clinici, in cui esistono delle reali disforie di genere e dei caratteri sessuali che disturbano la persona come nel caso degli ermafroditi, per sostenere la necessità di superare la binarietà maschile femminile, che secondo gli estremisti del gender, sarebbe solo radicata nella tradizione culturale e non nella natura umana.

di Marco Guerra | Lanuovabq.it

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