Gender a scuola: il ministero prepara il blitz

img-_innerArtFb-_miurI cancelli delle scuole primarie hanno chiuso da un pezzo, nel frattempo al ministero dell’Istruzione sono giorni di grande lavoro per la messa a punto delle linee guida del comma 16 della legge sulla ‘Buona Scuola’ che introducono l’educazione alla parità tra i sessi e la lotta alla violenza di genere e contro tutte le discriminazioni.

In queste ore stanno prendendo forma le proposte relative all’attivazione di controversi percorsi educativi che lì dove sono già stati implementati in via sperimentale hanno visto l’istituzione di corsi sull’indifferentismo sessuale, la sessualizzazione precoce degli alunni e la formazione di un’identità di genere totalmente slegata dal dato biologico di nascita.

Un nuova bozza di queste linee guida è stata appena presentata al Fongas, il Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola, istituito proprio per assicurare una “stabile consultazione delle famiglie sulle problematiche scolastiche”.

Questa rete di Associazioni di provenienza eterogenea (le realtà accreditate vanno da movimenti vicini al mondo cattolico fino all’Associazione Genitori di Omosessuali) avrà a disposizione alcuni giorni per avanzare richieste di modifica del testo redatto da un tavolo tecnico composto da pedagogisti ed esperti di diverse discipline.

Dunque l’attenzione su questo documento è altissima. Nei corridoi dei Miur stanno già circolando versioni precedenti di questa bozza che hanno diversi passaggi ambigui, nonostante il Ministero, proprio in seguito al successo della manifestazione del Family day avesse emesso la circolare 1972 del 15 settembre 2015, in cui è stato ribadito che non possono entrare ideologie nell’attuazione del comma 16, compresa quella del gender.

Preoccupazioni e dubbi non sono stati fugati anche perché l’indicazione di viale Trastevere è rimasta lettera morta, viste le sempre più numerose segnalazioni che, anche nell’anno scolastico appena conclusosi, sono pervenute dalle scuole di tutto il territorio nazionale, dove si sono tenute iniziative contro le discriminazioni promosse da formatori e associazioni dichiaratamente appartenenti alla galassia lgbt.

Sta quindi ora a queste linee educative, che poi saranno applicate nel concreto dai singoli istituti scolatici, fare chiarezza una volta per tutte su cosa si intende per educazione alla parità tra sessi, lotta alle discriminazioni e decostruzione degli stereotipi; concetti che possono essere strumentalizzati con molta facilità da chi intende presentare anche il sesso di appartenenza e la famiglia naturale come stereotipi da abbattere.

Ma i rumors che circolano in viale Trastevere parlano già di una bozza presentata dal tavolo tecnico del ministero che parla di differenza sessuale come di qualcosa che può essere vissuta in uno spettro ampio di inclinazioni, affinità e scelte. Il documento stigmatizzerebbe poi il fatto che dalle bambine e dalle ragazze ci si aspettano comportamenti e inclinazioni che corrispondono a idee e immagini “molto normative”. In particolare, secondo alcune indiscrezioni, il testo punta il dito contro “i pregiudizi e gli stereotipi che vengono spacciati come naturali”.

È evidente che nelle pieghe di queste affermazioni può avanzare qualsiasi programma di decostruzione dell’identità di una persona in un momento delicatissimo e cruciale per la formazione antropologica e umana dei ragazzi e delle ragazze che frequentano le scuole dell’obbligo.

Ma c’è di più: la commissione di esperti avrebbe anche riflettuto sull’eventualità di introdurre quel cambiamento lessicale tanto caro ai nuovi diktat del politicamente corretto, che vogliono un uso della lingua italiana rispettoso delle differenze di genere. Questo perché, secondo le linee guida, l’educazione alla parità e alla non discriminazione, non avrà uno spazio e un tempo definiti, ma sarà interconnessa ai contenuti di tutte le discipline, e di conseguenza, coinvolgerà tutti i docenti che concorrono alla crescita relazionale-affettiva degli studenti.

Non è quindi un’iperbole chiedersi se ai professori di matematica sarà chiesto di predisporre problemi che presentano due papà che vanno a fare la spesa o due mamme che misurano  gli ingredienti per fare una torta, il tutto in nome di una scienza piegata alle necessità della nuova agenda arcobaleno.

Tuttavia le linee guida possono essere ancora modificate. Per fare chiarezza assoluta sui contenuti di questi percorsi educativi il Comitato Difendiamo i Nostri Figli guidato da Massimo Gandolfini ha richiamato alcuni presupposti fondamentali. In primis il testo deve ribadire il primato educativo dei genitori nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli come indicato dall’articolo 26 della Dichiarazione universali dei diritti dell’uomo e dall’articolo 30 della Costituzione italiana; così come dovrebbe richiamare l’articolo 29 della Carta che riconosce tutti i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

In virtù di questi principi il CDNF chiede in secondo luogo che sia messo nero su bianco il diritto al consenso informato delle famiglie degli alunni su tutti i progetti educativi normati dal comma 16 e su altre iniziative sensibili, proposte anche in orario scolastico, dando la possibilità allo studente di seguire un’attività alternativa che garantisca il diritto allo studio.

Sempre secondo quanto auspicato dal Comitato promotore del Family Day, il testo deve fare anche esplicito riferimento alla suddetta circolare 1972 del 15 settembre 2015, che esclude l’introduzione di qualsiasi ideologia nelle scuole compresa la teoria del gender.

Tutte queste premesse servirebbero ad inquadrare la “parità tra i sessi” come  parità di dignità, di diritti e di opportunità senza proporre una visione conflittuale tra i sessi e senza essere strumentale all’introduzione di alcuna forma di indifferentismo sessuale, chiarendo a tal fine i termini ambigui come “genere”, “stereotipo”, “discriminazione” e salvaguardando il pluralismo culturale e la libertà di coscienza.

Per quanto riguarda la programmazione dei corsi e delle iniziative per la lotta alla discriminazione Gandolfini & co si augurano che non ci si ritrovi come riferimento esclusivo l’UNAR, che in passato ha escluso le associazione di genitori e coinvolto solo 29 associazioni LGBT, associazioni incontestabilmente di parte e pubblicizzate come enti di formazione nel portale Noi siamo pari, nella recente CM del 17 maggio 2015 emanata dallo stesso MIUR.

Ma se da un lato il rischio di introdurre la teoria gender può avvenire per via ministeriale, va segnalato che l’offensiva alla liberta educativa e al primato della famiglia sta procedendo a larghe falcate in Parlamento. Tanto che un’approvazione di uno degli otto disegni di legge in materia di educazione sessuale e di genere renderebbe inutile ogni linea guida del Ministero e farebbe entrare l’educazione gender nelle scuole dalla porta principale del Parlamento.

Alla Commissione Cultura della Camera, lo scorso 27 giugno, è infatti iniziato l’iter per la promulgazione di un’apposita legge per l’introduzione dell’”Educazione di genere” nelle scuole. La proposta è sostenuta da ben otto Disegni di Legge, sette dei quali presenterebbero aspetti chiaramente ideologici seppur con sfumature diverse.

Questi Ddl rappresentano un vero salto di qualità nella promozione dell’ideologia gender perché chiedono l’istituzione di una vera e propria disciplina dedicata all’educazione sessuale e di genere. Gli insegnamenti gender oriented non sarebbero più attività complementari e per loro natura facoltativi, ma corsi curricolari e trasversali a tutte le materie.

Il Ddl che contiene la visione più radicale è quello presentato dalla deputata di Sel, Celeste Costantino, denominato ‘1 ora d’amore’. La stessa Costantino presentando il Disegno di legge cita come esempio di buone pratiche l’associazione Scosse (realtà animata da femministe vicine al mondo lgbt). Scosse organizzò due convegni a Roma rivolti agli insegnati e tra i sottoscriventi di questa iniziativa appariva anche il circolo Mario Mieli.

In articolo pubblicato sul suo sito, la Costantino non nega quindi la volontà di ripercorrere esperienze fallimentari, che hanno alzato un vespaio di polemiche, dichiarando esplicitamente che “quello che proviamo a sancire in un testo di legge esiste già: il problema è che solo alcuni bambini e alcuni ragazzi hanno la fortuna di averne accesso”. La deputata di Sel richiama quindi quanto fatto dalla “consigliera comunale di Venezia Camilla Seibezzi che dopo aver portato delle favole che tengono conto dei cambiamenti sociali se l’è viste come nei peggiori periodi oscurantisti bandite dalle biblioteche della città per decisione del Sindaco”.

Sulla stessa linea si pone il Ddl depositato da Veronica Tentori e Chiara Braga, entrambe del Pd: “È necessario favorire una formazione che permetta a ogni studente di decidere e di costruire la propria identità, nella serena accettazione del proprio genere, e in modo da assumere una concezione della realtà che integri, la conoscenza e la valorizzazione etica della stessa”.

Altri punti critici di queste proposte di legge sono rappresentati dall’obbligo per tutto il sistema nazionale di istruzione (quindi anche per le paritarie). Significa che chi non la farà perderà i requisiti della parità. Quindi le paritarie o la fanno o chiudono. C’è inoltre la richiesta di aggiornamento (tra l’altro già in atto) dei libri di testo con adeguamento al codice di autoregolamentazione Polite (Pari Opportunità nei Libri di Testo) e dall’istituzione di una commissione tecnica di valutazione della quale dovranno far parte, tra gli altri, tre funzionari dell’Unar.

In pratica con un lessico ambiguo e riferimenti a studi che danno il primato dell’identità di genere su quella biologica si apre la via alla strumentalizzazione ideologica, il tutto ben camuffato dalla un’incontestabile lotta al bullismo.

di Marco Guerra | Lanuovabq.it


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