Dalla parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza la storia della morte di Hani Abu Daoud, privato di un ospedale dove curarsi e poi persino della possibilità di tornare nel nord della Striscia, per trascorrere gli ultimi giorni accanto ai propri cari. La sua è una delle tante follie quotidiane che stanno dietro all’appello per il cessate il fuoco in quella che è già diventata la guerra più lunga di Israele dal 1948.
Gerusalemme (AsiaNews) – Va avanti tra spiragli di speranza e dichiarazioni di chiusura la trattativa per arrivare a un accordo sul cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani tuttora nelle mani di Hamas. Il conflitto scoppiato con gli attacchi terroristici del 7 ottobre tocca oggi il suo 120esimo giorno. E accanto al terribile bilancio di morte e distruzione a Gaza e al dolore delle famiglie degli ostaggi israeliani che anche questa sera scenderanno in piazza a Tel Aviv, la guerra tra Israele e Hamas conta un altro triste “record”: è già diventata la guerra più lunga di Israele dal 1948, superando i 116 giorni della Prima guerra del Libano nel 1982.
Al di là delle statistiche, però, sono le singole tragedie umane che si consumano quotidianamente in questo conflitto a gridare l’urgenza di arrivare al cessate il fuoco. In questi ultimi giorni, in particolare, ci ha colpito un’immagine condivisa ripetutamente sui profili social della piccola comunità cristiana di Gaza: il volto sorridente di Hani Abu Daoud, un’altra di quelle vittime civili che papa Francesco nel suo discorso al Corpo diplomatico con forza qualche giorno fa denunciava essere inaccettabilmente ridotte sempre più spesso al rango di meri “danni collaterali” nello scontro bellico.
La storia di Hani parla da sé: un incidente diversi anni fa lo ha costretto a sottoporsi a dialisi e a essere inserito in una lunga lista d’attesa per un trapianto di rene. Questo, però, non gli aveva impedito di partecipare a un progetto per la creazione di posti di lavoro promosso dal Patriarcato latino di Gerusalemme a Gaza. Ma quando nelle scorse settimane gli ospedali nel nord di Gaza sono stati messi fuori servizio uno dopo l’altro a causa della guerra, Hani è dovuto partire da solo verso il sud della Striscia: senza la sua famiglia ha cercato un ospedale ancora in grado di fornirgli una dialisi. Ha ricevuto cure irregolari, fino a quando l’avanzare della distruzione ha reso tutto questo impossibile anche lì. A quel punto ha cercato di tornare al nord, per poter almeno trascorrere i suoi ultimi giorni con la sua famiglia. Anche questo è stato impossibile: a nessuno di coloro che hanno lasciato il nord di Gaza è permesso di tornare.
“Hani – ha raccontato in un post pubblicato su Facebook Sami El-Yousef, amministatore del Patriarcato latino di Gerusalemme – è deceduto da solo, lontano dalla moglie e dai figli piccoli, a causa delle complicazioni del suo problema medico e della mancanza di cure adeguate. Ed è stato sepolto nel sud, dove non ci sono cimiteri cristiani o sacerdoti. Nessuno – ha commentato Sami El-Yousef – dovrebbe trovarsi in tali circostanze. Questa guerra catastrofica deve finire ora per evitare altre tragedie umane, in modo che le persone possano non solo vivere dignitosamente, ma anche morire dignitosamente. Che Hani riposi nella pace eterna e che Dio doni la forza a sua moglie e ai suoi figli di affrontare la loro perdita”.
https://www.asianews.it/notizie-it/Gaza:-morire-da-soli-in-cerca-di-una-dialisi-60076.html
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