L’uomo era stato condannato in primo grado per omicidio involontario: aveva «chiesto» di essere condannato «sentendosi in colpa per il bambino». Ma la procura ha fatto ricorso e l’ha fatto assolvere.
Il 20 gennaio 2012 un automobilista, sotto l’effetto di psicofarmaci e alcol, ha perso il controllo del suo veicolo in Francia, piombando sul marciapiede e investendo una donna incinta di sette mesi. Il bambino che pesava già 1,7 chili è morto sul colpo. È stato subito aperto un processo, che si è chiuso il 5 febbraio in modo incredibile.
OMICIDIO INVOLONTARIO. Il 14 febbraio 2014, il giudice della Camera correzionale del tribunale di Tarbes ha condannato l’automobilista per omicidio involontario a tre anni di carcere con la condizionale, a 300 euro di ammenda per eccesso di velocità e a tre anni di sospensione della patente. Una perizia medica aveva infatti stabilito che l’incidente aveva causato direttamente la morte del feto. La condanna ha trovato anche il benestare del procuratore Chantal Firmigier-Michel.
«CONDANNATEMI». Come dichiarato dal giudice, Elisabeth Gadoulet, «una perizia psichiatrica ha messo in evidenza che la giovane donna, a causa della terribile perdita, ha subito un trauma psicologico molto grande». Anche per questo, «sentendosi fortemente in colpa», l’automobilista «ha precisato che ha coscienza di aver causato la morte di un bambino, del quale non vuole che sia contestata la qualità di essere umano in tutto e per tutto». Per questo, «per essere in grado di ricominciare, chiede di essere condannato per l’omicidio del futuro neonato».
«FETO NON È UNA PERSONA». Questa decisione non era affatto scontata. In un famoso precedente, che ha fatto giurisprudenza in Francia, la Corte di Cassazione nel 2001 si era rifiutata di condannare un altro automobilista di Metz che nel 1995, investendo una donna, aveva causato la morte del bambino che portava in grembo. Secondo i giudici di legittimità, infatti, l’articolo 221-6 del Codice penale sull’omicidio involontario non si può applicare a un feto, perché questo «non è una persona umana».
200 MILA ABORTI. La sentenza è in linea con la legge sull’aborto, recentemente modificata in Francia. L’aborto è stato definito un «diritto fondamentale» e nella République avvengono 200 mila interruzioni di gravidanza ogni anno. Se il feto venisse definito persona umana, i tribunali dovrebbero indagare su 200 mila omicidi in più ogni anno.
RICORSO E ASSOLUZIONE. Il caso di Tarbes però si era chiuso in un altro modo: il giudice nella sentenza aveva sempre chiamato la donna con il termine «madre» e sia la procura che l’omicida avevano accettato la sentenza. Tutto finito, dunque? No, perché la stessa procura che aveva ritenuta congrua la condanna, ha poi fatto ricorso, spinta da chissà chi. E il 5 febbraio 2015, la Corte di appello di Pau ha assolto l’uomo dalle accuse di omicidio involontario perché manca la vittima. La donna insomma sarebbe uguale a prima, non avrebbe perso nulla e questo nonostante una perizia medica abbia confermato che l’incidente ha causato la morte del feto.
SPIEGATELO ALLA MAMMA. Restano alcuni aspetti paradossali: la procura non ha contestato, insieme all’accusa di omicidio involontario, il fatto che padre e madre si siano costituiti parte civile «per Yanis», il nome che avevano deciso di dare a loro figlio. Perché hanno potuto costituirsi parte civile se Yanis non ha tutela giuridica come persona? È paradossale anche che in Francia l’articolo 222-19 del Codice penale punisca «le ferite causate accidentalmente a un feto (…) che non gli impediscano di nascere». Ferire un feto involontariamente dunque si può, ed è punito dalla legge, ucciderlo no. Perché un feto non è un bambino né una persona. Qualcuno lo vada a spiegare alla mamma di Yanis, che non ha neanche diritto di piangere la morte di suo figlio.
Leone Grotti
Tratto da: http://www.tempi.it/
Sostieni la redazione di Notizie Cristiane con una donazione, clicca qui