Fino a quando? Fino a che prezzo?

Perdurano i conflitti in corso, e sale la spesa per gli armamenti. Mancano risposte politiche adeguate, ma il nostro è un problema spirituale: siamo in grado di chiedere a Dio di muoverci nella ricerca della sua pace?

«Questi pacifisti sono una vera iattura, “anime belle” fuori della realtà con le loro proposte evanescenti. Quelli che frequentano le chiese, poi, sono insopportabili: tendenzialmente ipocriti, radicati in una teologia delle opere e privi di un’etica della responsabilità». Ecco, l’ho detta subito all’inizio. La questione può quindi essere liquidata con i soliti slogan. Non che qualche volta non possa esserci qualche verità, ma si tratta di una caricatura, ingiusta nel merito.

Tutto questo per eludere il fatto che le guerre in corso tendono, giorno per giorno, ad allargare l’area del conflitto, e nessuno sa neppure più immaginare un processo contrario, di mediazione politica, di compromesso, verso una pace possibile, realistica, che risparmi da subito la vita di tante persone, a cominciare da civili e bambini. La realtà è scandita sempre di più da un’economia e da una ideologia bellicista, più vigorose che mai. Il lavoro, si sa, è precarizzato come mai prima, ma quel poco a disposizione delle giovani generazioni, è sempre più legato all’economia di guerra.

«Fino a quando?». Quelli che puntano il dito verso “le anime belle”, dentro e fuori le chiese, dovrebbero assumersi l’onere di rispondere a questa domanda. E in particolare, “Fino a quale tetto di spesa? Fino a quanti morti sul campo? Fino a quali effetti collaterali, nella vita civile, già così duramente colpita dalla pandemia? Fino a quale effetto sull’ambiente e sulla crisi climatica?”. Nessuno risponde né dal governo e neppure dalla popolazione civile, che appare come anestetizzata nella coscienza. La risposta sottintesa per la guerra in Ucraina, è “Fino alla vittoria e dunque alla sconfitta della Russia”. Quella per la guerra contro i palestinesi, è “Fino all’ultimo simpatizzante di Hamas”. Ma la prima risposta implica la plausibilità anche del ricorso ad armi nucleari tattiche e fa, di questa guerra in atto, un’avventura senza ritorno. La seconda, sulla guerra contro Gaza e quel che resta della Cisgiordania, apre alla possibilità di un genocidio, secondo molti già in atto. Ma siamo disposti a pagare questo prezzo? Il nostro silenzio è anche assenso?

Nel frattempo la spesa per gli armamenti e la difesa lievita a costi senza precedenti. 8 miliardi di euro messi in previsione di spesa per acquistare, nei prossimi anni, 400 nuovi carri armati di fabbricazione tedesca. 15 miliardi per costruire 1000 mezzi cingolati. E poi l’impegno di arrivare al 2% del Pil per finanziare la Nato. E per il 2024 si programma la spesa militare più alta di sempre. Nel periodo 2013-2023 la spesa militare complessiva è aumentata del 30%. Per spendere queste cifre si può derogare a tutti i parametri e limiti di spesa imposti dal bilancio. Ma naturalmente, questo non è consentito per la sanità, per l’istruzione, per la ricerca, per soccorrere milioni di poveri. Fino a quando? Fino a dove? Fino a quanti morti? Fino a quale tetto di spesa?

Il mondo è preda di un incubo che sta uccidendo ogni giorno, prima di ogni cosa, l’immaginazione: la capacità di immaginare una soluzione ai conflitti in atto, di immaginare un diverso modello di sviluppo, attento alla vita degli esseri umani e del resto delle creature viventi. E tutto questo proprio mentre la crisi climatica richiede risposte non più differibili. Infine, proprio in questo quadro si asserisce che gli italiani dovrebbero fare più figli.

«I figli non profetizzano più, i giovani non hanno più visioni, i vecchi hanno smesso di sognare, e dello Spirito del Signore, non si sente neppure un refolo»: le parole del profeta Gioele si adempiono al contrario. Il popolo di Dio è prostrato, ammutolito, impaurito. Ci si lamenta che le chiese si stiano rapidamente svuotando. E che l’unica religione “che tira” sia quella miracolistica e talvolta superstiziosa dei benefici individuali, sostanzialmente indifferente al destino del mondo, ma come potrebbe essere altrimenti? Quale speranza siamo veramente capaci di annunciare? Ogni comunità locale, ogni denominazione, ogni uomo e donna che desideri ripetere per l’oggi, le parole e gli insegnamenti di Gesù, dovrebbe affrontare la questione.

Non c’è bisogno, per agire, di avere tutte le risposte. Perché come è facile dimostrare, nessuno le ha, meno che mai quelli che chiedono costantemente di alzare l’asticella del conflitto, ostentando certezze. Dovremmo mettere in atto un’inversione di tendenza spirituale, personale e politica, pena l’estinzione, a cominciare anche da piccoli gesti, che non trascurino però di essere ambiziosi, di voler crescere, di voler aggregare tessendo alleanze di pace. Naturalmente, tutto come una preghiera rivolta a Dio, sapendo che la pace viene da lui, che ne è il principe. E che il Trattato di pace tra il cielo e la terra, è siglato con il sangue del Crocifisso.

Vorrei volgere la famosa espressione di Bonhoeffer in Sequela in questi termini: «Chi crede, si impegna per la pace e solo chi si impegna per la pace, crede». Questo è l’effetto giroscopico di un nuovo urgente ed esigente discepolato. Solo mentre pedali e ti impegni anche per le piccole cose, trovi le ragioni per stare in equilibrio, e per immaginare e sperare in un mondo diverso. Solo mentre credi in Cristo e ti riconsacri nuovamente a Lui, trovi la forza per perseverare nella pace, in mezzo allo scetticismo, e ahimè perfino lo scherno, di amati tuoi fratelli e sorelle.

https://riforma.it/2024/02/07/fino-a-quando-fino-a-che-prezzo/


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