«La situazione precipita – spiega – quando lei impone di cambiare appartamento, andando in una zona nuova della città. Il bambino, figlio unico, perde amici e luoghi di riferimento, intanto la coppia si sfascia: la moglie si deprime e diventa un’alcolista, il padre crede di rifarsi una vita con una sua ex che, a sua volta, è separata con figli e non vuole il ragazzino in casa. Il piccolo si ribella, viene definito “cattivo” e viene affidato a una casa famiglia. Purtroppo di situazioni così, in Italia ce ne sono fin troppe». La storia viene raccontata attraverso lo sguardo del piccolo «su cui ci sarà una troupe fissa guidata da mia figlia Maria Antonia, anche quando non dovrà girare – aggiunge Pupi Avati –. Non vogliamo perdere nulla del suo sguardo».
Il regista confessa di essersi ispirato per il piccolo protagonista (che sarà scelto attraverso un casting) al nipote undicenne con cui ha un rapporto di comprensione totale: «Io lo intuisco, lo percepisco, ci capiamo al volo. Da nonno sono diventato migliore di quando ero un padre che anteponeva il lavoro ai figli». «Quando ho scritto la scena della prima notte del bimbo nella casa famiglia, nel suo lettino, tutto solo a cercare di addormentarsi, ho immaginato lì mio nipote e ho pianto» aggiunge il regista che però non accusa le strutture di accogliena, anzi: «Vi lavorano bravissime persone, ma stare a casa propria con i propri genitori è un’altra cosa». Per fortuna, c’è il lieto fine, perché, come dice Avati, «questo bambino se lo merita».
Come se lo meriterebbero tutti i figli di separati. «Penso che una persona che genera un figlio, quando nasce gli fa la promessa che sarà suo padre o sua madre. E, salvo situazioni estreme che giustifico, il bambino ha dei diritti indiscutibili e imprescindibili. Invece i genitori di oggi spesso sono pessimi, specie certi padri».
Insomma, su Raiuno, si vedrà finalmente un inno alla famiglia «vera», ed andrà a coincidere con l’altra attesa fiction di Avati, Un matrimonio, su Raiuno da ottobre. «Io cerco in qualche modo, e non dovrei essere il solo, di raccontare storie che incoraggino la società a migliorarsi. Invece di puntare il dito sempre contro gli altri, i politici, i magistrati, i giornalisti, cominciamo a guardare noi stessi. Se la società è così è perchè la famiglia ha rinunciato al suo ruolo».
Da Avvenire.it
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