Dal 1993 la mutilazione genitale femminile (Mgf) è classificata dal diritto internazionale come una delle peggiori forme di violenza contro le donne e nel 2012 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha emanato una risoluzione sull’eliminazione di questa pratica inumana. In questi ultimi anni sono stati compiuti molti progressi contro questo crimine e oggi 24 dei 29 Paesi dove si concentravano maggiormente le mutilazioni genitali femminili hanno promulgato una normativa che la vieta. Tuttavia ancora oggi il numero preciso delle donne infibulate nel mondo è sconosciuto, mancano dati attendibilie questa pratica è ancora parte di alcuni riti di passaggio dall’infanzia all’età adulta. Per questo in occasione della Giornata Internazionale della Tolleranza Zero contro le Mutilazioni Genitali Femminili, il 6 febbraio scorso, Amref Health Africa con la campagna “Stop the cut – Fermiamo il taglio” ha provato a raccontare l’attualità delle mutilazioni genitali femminili e lo ha fatto attraverso la voce delle vittime e delle carnefici che hanno abbandonato questa violenta e inutile usanza dopo aver compreso quanto dolore fisico ed emotivo potesse provocare.
“A volte mi è capitato di tagliare accidentalmente il punto in cui in una donna passa l’urina, provocando così emorragie” ha raccontato ad Amref Epanu Doros ricordando il ruolo che ha ricoperto fino a due anni fa di “tagliatrice di ragazze”, colei che opera la circoncisione femminile. “Usavo una lama di rasoio. Quando non ne avevo, prendevo vecchi pezzi di ferro, li affilavo sulle punte e li utilizzavo al posto del rasoio”. Sebbene non abbia mai ucciso per le ferite nessuna ragazza Doros vive con il rimorso di aver esposto tante ragazze al rischio di morire, comprese le sue figlie. Anche Loise Kapande, come Doros, era una popolare “tagliatrice di ragazze” e il suo compenso dopo il taglio era di circa 2.000 scellini a ragazza, più una ricompensa tradizionale: una coda di pecora. “Ho tagliato più ragazze di quante riesco a ricordare” ha detto Kapande che come Salome Kirunwa ricorda come “All’epoca credevamo che le mutilazioni genitali rendessero le ragazze forti, che le facessero diventare vere donne. […] Ho quattro figlie, ora sono delle madri, e le ho sottoposte al taglio perché non sapevo quanto fosse negativo. Non farò la stessa cosa con le mie nipoti”, ha detto Kirunwa.
Kirunwa come Doros e Kapande, tutte appartenenti alle comunità Masai, sono convinte che se le donne in futuro utilizzeranno la loro esperienza per informare sui pericoli di questa terribile pratica, presto non ci saranno più ragazze “sottoposte al taglio”. Per questo oggi cercano di sfruttare la loro popolarità come “ex tagliatrici di ragazze” per convincere la loro comunità a fermare le mutilazioni genitali femminili. “Amref adesso ci ha formato sui modi in cui possiamo veramente aiutare le madri che stanno partorendo. Perciò ora, se si verifica un’emergenza mentre le stiamo scortando all’ospedale, abbiamo a disposizione guanti di lattice e sappiamo come poter essere di aiuto”, ha spiegato Doros. Ma quella di Amref non è solo una campagna di testimonianza e di informazione per combattere la piaga dell’ablazione femminile, ma offre anche delle soluzioni al problema. Se da un lato, infatti, la legislazione anti-mutilazioni è fondamentale, dall’altro essa può mettere ancora più a rischio la vita di migliaia di giovani ragazze, costringendole ad interventi clandestini e pericolosissimi, visto che in molte comunità africane viene chiesto di sradicare questa antica pratica culturale senza fornire loro un’alternativa. Ecco perché l’ong, che promuove diversi progetti per la salute femminile nelle aree più isolate dell’Africa, si è rivolta soprattutto alle comunità africane con progetti di sensibilizzazione ed educazione della popolazione attraverso la radio e le testimonianze di chi si è salvo grazie ai “Riti di passaggio alternativi”, progetti che prevedono il coinvolgimento attivo di interi villaggi e che hanno ottenuto risultati significativi.
“La mutilazione genitale femminile è illegale. È una forma di violenza contro le donne. È contro la giustizia naturale e i diritti delle donne” ha detto il direttore generale di AmrefGithinji Gitahi. “Dalla sua esperienza nel lavorare con le comunità africane, Amref ha però compreso l’importanza delle pratiche culturali che vengono considerate e agiscono come un ponte tra l’adolescenza e l’età adulta. È per questa ragione che supportiamo le comunità che abbandonano le mutilazioni genitali per rimpiazzarle con pratiche che sostengano il benessere e la salute delle donne”. In Kenya e TanzaniaAmref ha lavorato dal 2012 con gli anziani delle comunità Masai per sviluppare un rito di passaggio alternativo per le adolescenti, eliminando la pratica della mutilazione e consentendo alle ragazze di effettuare la transizione all’età adulta senza subire il taglio. Nel solo Kenya, oltre 8mila ragazze sono scampate alle ferite, alla morte e a un matrimonio precoce. “In Etiopia abbiamo lavorato con più strutture, multi settoriali, del Governo per affrontare le mutilazioni genitali femminili. Un progetto finanziato dal Governo Olandese nella Regione di Afar in 5 anni ha portato a un declino significativo nella diffusione della pratica. Nella zona del South Omo, un progetto finanziato questa volta dal Governo Canadese combatte le pratiche dannose, incluse le mutilazioni, puntando ad influenzare un cambiamento comportamentale e ad incoraggiare il potere decisionale femminile sulle questioni materne e inerenti i bambini” ha spiegato Amref.
L’organizzazione si appella adesso al Governo della Sierra Leone e a tutte le realtà che lavorano per sostenere i diritti delle donne in Africa, affinché prendano posizione al fianco alle donne e condannino le mutilazioni genitali femminili. Come è stato fatto in Tanzania. Kenya ed in Etiopia, Amref è disponibile a fornire al Governo della Sierra Leone il supporto tecnico per sviluppare e implementare le politiche e le strategie per l’eliminazione di questa pratica nociva. “Crediamo che uno sviluppo sostenibile non possa essere raggiunto finché i diritti delle donne non siano sostenuti e supportati, fino a quando alle donne non sarà riconosciuta la medesima opportunità all’interno delle loro comunità di impegnarsi completamente per il progresso e la loro salute”. “L’eliminazione delle MGF – ha ricordato l’Unicef lo scorso mese con il rapporto, intitolato Female Genital Mutilation-Cutting: A Global Concern (Mutilazioni genitali femminili: un problema globale) – è inclusa fra gliObiettivi di Sviluppo Sostenibile, impegni che la comunità internazionale ha solennemente assunto nel settembre scorso, e che dovranno essere raggiunti entro il 2030”.
Alessandro Graziadei | unimondo.org
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