E dopo Stefania Giannini ecco che il neo-premier Paolo Gentiloni ha nominato la senatrice PD Valeria Fedeli come nuova inquilina del Ministero dell’Istruzione. Nata a Treviglio (Bg) nel 1949, negli anni universitari, come lei stessa racconta, “ho incontrato il movimento studentesco, il femminismo e poi la Cgil”. Successivamente inizia “l’attività sindacale nel Consiglio dei delegati del Comune di Milano, in rappresentanza delle insegnanti di scuola materna”. Poi il suo impegno con la Cgil la porta a Roma, prima nel pubblico impiego e quindi nel settore tessile, settore in cui ricoprirà incarichi di livello europeo. Nel 2012 diventa vice Presidente Nazionale di Federconsumatori. Come lei stessa ama precisare, nel suo impegno sindacale si è sempre battuta “per il superamento delle disuguaglianze di genere”. E’ stata eletta come capolista PD al Senato in Toscana ed infine è stata nominata vicepresidente del Senato con funzione vicaria.
In breve, il curriculum perfetto per ricoprire il ruolo di Ministro per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca. Non trovate?
Ma sarà poi vero che la Fedeli è così incompetente? Dipende da quali requisiti quelli del Pd stavano cercando per il successore della Giannini. In realtà il profilo della Fedeli calza a pennello se teniamo conto della strategia ideologica di Renzi & Co.
Infatti la senatrice Pd è la prima firmataria del Disegno di legge n. 1680 dal titolo “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università” del 18 novembre 2014 (clicca qui).
In esso si legge che occorre “superare gli stereotipi di genere” e puntare sulla “promozione del rispetto delle identità di genere”, soprattutto intervenendo nei contenuti dei libri di testo. A tal proposito il Ddl richiama all’art. 5 il progetto Polite teso a diffondere, inter alia, tra i bambini racconti e fiabe che promuovono l’omosessualità
Come avevamo già avuto modo di sottolineare (clicca qui), “prima facie il disegno di legge sembrerebbe che riguardi unicamente la valorizzazione del ruolo della donna nella società e la tutela del principio di uguaglianza al di là delle differenze di sesso”. Ma l’apparenza inganna, infatti nella Relazione introduttiva all’articolato di legge si può leggere che relativamente ai giovani è necessario «incoraggiarli a intraprendere percorsi di studi e professionali superando visioni tradizionali che tendano a individuarli come tipicamente “maschili” o “femminili”».
Il commento che facevamo allora è ancor oggi valido: “In realtà, operando così si eliminano quelle differenze proprie del maschio e della femmina – che nella terminologia gender si chiamano ‘differenze di genere’ – le quali invece si vorrebbero tutelare e mettere in risalto. Si sbianchettano le peculiarità dell’uomo e della donna perché ritenute errori grossolani compiuti da una certa cultura maschilista che a oggi non ha ancora imparato il nuovo alfabeto e la nuova sintassi del sessualmente corretto”.
E’ in tale prospettiva di neutralità sessuale dove il maschile e il femminile sono aspetti meramente accessori dei bambini e dei ragazzi che deve essere letta la finalità del Ddl indicata dall’art. 1 comma 2: “eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza e sopprimere gli ostacoli che limitano di fatto la complementarità tra i sessi nella società”. Tradotto: fare tabula rasa delle differenze sessuali.
Il Ddl infatti aggiungeva che è urgente arrivare alla «decostruzione critica delle forme irrigidite e stereotipate attraverso cui le identità di genere sono culturalmente e socialmente plasmate, stimolando al contempo l’auto-apprendimento della e nella complessità». Cioè a dire che il maschile e il femminile sono costrutti sociali, stratificazioni culturali artificiose – non di certo dati di natura – che ormai sanno di muffa. Il nuovo che avanza è l’autodeterminazione di genere: se sei biologicamente maschio, ma ti senti donna, allora comportati da donna. Perché se non fai così, aggiungeva la stessa Fedeli a commento del Ddl, vivrai in una “identità costretta, in ruoli già definiti delle persone in base al sesso di appartenenza”. Ecco questo in soldoni ciò che secondo le Fedeli occorre insegnare ai bambini a scuola. Inoltre il Ddl prevedeva in merito alla teoria del gender corsi obbligatori per gli insegnanti e insegnamenti altrettanto obbligatori nelle università.
Il Disegno di legge non diventò mai legge, ma la Fedeli non si rammaricò più di tanto del temporaneo fallimento. Infatti in una conferenza ammise che il suo Ddl ormai era diventato inutile, dato che tutte le sue finalità erano confluite nella legge sulla Buona scuola della Giannini.
Però mai dire mai. Ora che è diventata lei ministro può essere benissimo che quel Ddl venga tirato fuori dal cassetto in fretta e furia prima delle elezioni. In questa prospettiva la nomina della Fedeli pare proprio essere una rivalsa, un atto di vendetta contro il popolo dei Family Day che di certo ha avuto un suo peso nell’affossare il governo Renzi. Un colpo di coda per regalare agli studenti qualche altra leggina letale per la famiglia. E dunque siamo costretti ad ammettere che la senatrice Pd è in realtà persona adattissima per questi scopi, per nulla incompetente.
Chiudendo con un gioco di parole, potremmo concludere: “Fedeli all’istruzione e fedeli alla distruzione della famiglia”.
di Tommaso Scandroglio | Lanuovabq.it
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