Il credente può fare a meno dei miracoli, ma lo scientista non può fare a meno della loro negazione, se ne parla nel nuovo libro di Francesco Agnoli e Giulia Tanel: “Miracoli. L’irruzione del soprannaturale nella storia“ (La Fontana di Siloe 2013).“Miracolo”, questo termine spesso abusato, conosciuto da tutti ma poco compreso, un termine che viene accettato se indica un “miracolo economico”, ma che nella sua accezione originale viene evitato come qualcosa di cui vergognarsi, come un retaggio di una cultura primitiva della quale l’uomo moderno deve assolutamente liberarsi. Ma questo atteggiamento è il riuscito frutto di una mentalità che non è affatto il frutto della scienza ma dello scientismo, di quell’ideologia che nega dogmaticamente che possa esistere una qualsiasi realtà oltre a quelle indagabili e interpretabili con il metodo scientifico sperimentale.
Appare quindi in tutta la sua evidenza come sia dirompente, e direi “scandalosa”, agli occhi di questa società l’affermazione che per essere buoni scienziati si debba essere pronti ad ammettere che le proprie conoscenze non sono in grado di spiegare un certo fenomeno, che si è di fronte a quello che può poi essere definito un “evento miracoloso”. Quello che supera l’apparente, e erroneamente insinuata, incompatibilità tra scienza e miracoli, è la semplice constatazione che per parlare di miracoli non si può prescindere dalla premessa che esistano delle leggi naturali: se non ammetto che esistono leggi naturali, come posso affermare che qualcosa non si è svolto secondo una tale legge?
Ecco quindi che solo in una società dove si è affermata la scienza moderna, frutto della convinzione che esistano delle leggi, si può parlare di un evento miracoloso, nelle società pagane infatti tutto avveniva per volontà, spesso capriccio, degli dei, e così era un prodigio il fulmine di Zeus al pari di un’eruzione vulcanica o di una guarigione inspiegabile. E’ solo con la nascita della scienza moderna, a sua volta figlia di una divinità che ha istituito il mondo con le leggi di cui le tavole consegnate a Mosè sono un’espressione, e figlia di un “Logos” ordinatore, che si può parlare in senso compiuto di miracoli come di eventi che si collocano secondo leggi che non sono quelle ordinarie.
Ma se il miracolo è etimologicamente derivato da “meraviglia”, il senso del miracoloso è necessaria premessa della ricerca scientifica, diceva infatti Einstein: “Chi non riesce più a provare stupore e meraviglia è già come morto e i suoi occhi sono incapaci di vedere”. “La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero. Sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza. L’uomo per il quale non è più familiare il senso del mistero, che ha perso la facoltà di meravigliarsi davanti alla creazione, è come un uomo morto, o almeno cieco.”.
La mancanza di meraviglia, la scelta riduzionista di voler rinchiudere tutto il reale nelle categorie del misurabile e delle realtà già conosciute è quindi nemica della scienza, dove infatti la scienza ha bisogno del meraviglioso, lo scientismo vuole vedere solo banalità meccaniche, ecco dunque che il Big Bang diventa nelle parole di un’astronoma come Margherita Hack solo: “la più grande scorreggia dell’universo”. E che, come si ebbe a dire in una conferenza dell’UAAR, quelle strutture straordinarie, che sono le cellule, in realtà sono solo “uno schifo”: “Non tutti sanno che una cellula non è come tutti la descrivono, una fabbrica perfetta con tutti gli ingranaggini a posto, ma è un… uno schifo, cioè una roba molle, fatta di cose spesso che non servono, messe lì che uno si porta dietro dall’evoluzione.“
Ma un’altra cosa che va chiarita è che i fedeli cristiani non temono che un evento ritenuto miracoloso possa essere spiegato con la scienza conosciuta, non è l’eccezionalità di un evento miracoloso a determinare o no la fede, per il cristiano in realtà tutto è meraviglia e stupore, e quindi tutto è miracolo, l’esistenza stessa dell’Universo, così come la nascita del un germoglio di una pianta o il cielo stellato, sono “miracoli”. Il miracolo per il cristiano quindi non è tanto un fatto quanto la sua interpretazione, tutta la natura rimanda ad un’altra realtà e tutto è un segno di quella realtà, le cose che osserva un cristiano o un non credente sono le stesse, ma sono invece i significati ad essere differenti, o meglio, la presenza di un significato piuttosto che il “non senso”.
Lo scienziato che è pronto ad arrendersi davanti ad un “miracolo” è quindi più pronto ad accettare i limiti personali e della propria scienza, è quindi un vero scienziato. Se invece questi limiti non vengono accettati e per paura dell’inspiegabile si ricorre a spiegazioni forzate, allora non si è bravi scienziati, si è al massimo scientisti. Un’ultima cosa va detta infine con grande chiarezza: se il cristiano non ha timore che un evento “miracoloso” sia spiegato con la scienza sperimentale, chi è invece ad avere assolutamente bisogno di non essere smentito è l’ateista: se infatti la mancanza di un miracolo non minaccia la fede, la presenza anche di un solo miracolo è mortale per lo scientismo ateo.
Proprio come è riportato nel libro di Agnoli e Tanel. Era proprio un propagandista di prima grandezza dell’ateismo come Emile Zola, ad affermare che anche un solo miracolo è sufficiente a confutare l’ateismo.
Enzo Pennetta (biologo)
Fonte Uccronline.it
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