Per tutta la vita Tycho Brahe (1546-1601) osservò le posizioni dei pianeti, del Sole e delle stelle. Da quelle misure di angoli e tempi il suo assistente Giovanni Keplero ricavò 3 “leggi” che descrivono la geometria delle orbite, le velocità di rivoluzione e le relazioni cinematiche tra i pianeti. Ma perché i corpi celesti seguono proprio quelle leggi? La risposta arrivò nel 1687 da una piccola equazione contenuta nei “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” di Isaac Newton: f = Gm1m2/r2,
donde, per sovrappiù, si ricavavano le traiettorie balistiche in Terra e… le maree di Mont Saint-Michel. Se Newton avesse proposto di spiegare le ellissi dei pianeti col caso invece che con un’equazione, e così pure le loro velocità col caso, e la caduta dei gravi col caso, ecc., non sarebbe sepolto all’abbazia di Westminster tra i grandi di Gran Bretagna, ma forse avrebbe un posticino nella storia del teatro comico. Certo il “caso” gioca un ruolo negli affari del mondo, come misura dell’imperfezione conoscitiva dell’umana ragione e come effetto dell’incrociarsi delle libere volontà. Ma quando non rinuncia ad interrogarsi su ciò che accade, la scienza ove necessario sposta in là i propri limiti con il ricorso alla statistica e al calcolo delle probabilità.
La raccolta scrupolosa di dati operata da Brahe (e, prima di lui, da babilonesi e greci) fu un elemento necessario ma non sufficiente alla nascita dell’astronomia: “A Tycho Brahe mancava la fede nelle grandi leggi eterne. Perciò rimase uno fra i tanti meritevoli scienziati, ma fu Keplero a creare l’astronomia moderna” (Max Planck). Senza la “fede nelle grandi leggi eterne”, non si dà scienza. Né basta una descrizione matematica, compatta ed elegante, di osservazioni come quella condensata nelle 3 leggi di Keplero. Solo quando molte descrizioni sono dedotte logicamente da pochi postulati, siamo in presenza dello splendore d’una teoria scientifica. Questa impresa riuscì a Newton con la sua gravitazione universale fondata su quell’equazione. In generale, una teoria scientifica riguardante una classe di fenomeni è un sistema logico-formale, dai cui assiomi indipendenti, coerenti ed in minimo numero (principio di Ockam) s’inferiscono predizioni sperimentalmente controllabili (principio di falsificabilità).
Nella nostra era tecnologica si dà per scontato che esistano leggi e teorie scientifiche, ma questa esistenza si poggia su almeno 2 assunzioni:
1) La successione degli eventi naturali non è del tutto casuale e capricciosa, ma vi agiscono relazioni nascoste, dotate di qualche regolarità, che meritano di essere indagate. Questo postulato riguarda l’oggetto di osservazione e di studio, la Natura, e afferma che la Natura è almeno parzialmente dotata di ordine e leggi. Se così non fosse, nessuna scienza e nessuna tecnologia sarebbero a priori possibili; né alcuno scienziato farebbe il suo lavoro se credesse che il mondo è governato esclusivamente dal caso.
2) Le relazioni tra i fenomeni naturali possono essere percepite almeno in parte dalla mente umana. Questo postulato riguarda l’Io, il soggetto delle osservazioni universali, e afferma che l’ordine presente in Natura è almeno in parte visibile e descrivibile dall’Io. La descrizione che l’Io fa della Natura è una “corrispondenza logica” tra l’ordine oggettivo esterno dell’Universo e l’ordine soggettivo interno dell’Io (della specie terrestre Homo sapiens).
Tutti coloro che dichiarano di credere nelle scienze sperimentali credono in questa corrispondenza logica tra fenomeni naturali e linguaggio umano, anche senza rendersene conto. Ma non è sempre stato così perché, di per sé, le leggi scientifiche non hanno maggior ragione di esistere delle sirene di Ulisse, che promettevano la conoscenza ma davano invece l’oblio della morte.
Quando gli esploratori del XVI secolo scoprirono le Americhe e il Pacifico, la loro maggiore sorpresa non fu la scoperta di nuove terre, ma quella dell’egemonia tecnologica globale dell’Europa. Come mai – si chiesero – solo noi abbiamo fonderie, cannocchiali, orologi affidabili, mezzi di trasporto oceanici, ecc.? L’unica risposta che io trovo convincente è: la fede cristiana nel Logos. Mentre le altre religioni ponevano l’accento sul mistero o sul caos o sull’introspezione o sull’obbedienza ad un Arbitrio assoluto, fin dalla Patristica e poi nella Scolastica la teologia cristiana aveva attinto dai greci la logica come strumento per ragionare su Dio, creatore razionale del mondo; e per ragionare sul mondo, la cui natura la ragione umana, proprio in quanto partecipe della medesima essenza divina razionale, può indagare. Logos nella Natura creata e osservata, stesso logos nell’uomo creato e osservatore: ecco la radice storica europea della corrispondenza logica tra Natura e mente, da cui è nata la moderna tecno-scienza. Il teologo Agostino aveva indicato la strada: “Alcuni, per trovare Dio, leggono un libro. Ma anche la grandezza del creato è un gran libro [su Dio]: guarda, considera, leggi il mondo superiore e quello inferiore. Dio non ha tracciato con l’inchiostro lettere per mezzo delle quali tu lo potessi conoscere. Davanti ai tuoi occhi ha posto ciò ch’egli ha creato… Gridano verso di te il cielo e la terra: ‘Io sono opera di Dio’” (Sermones) e il fisico Galileo ha seguìto: “La filosofia [naturale, ovvero la scienza (NdR)] è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta dinanzi agli occhi, io dico l’Universo” (Lettera a Maria Cristina di Lorena, 1615).
Il positivismo ottocentesco e la sua versione aggiornata di Vienna d’inizio Novecento erano destinati al fallimento: essi non potevano negare la metafisica del Logos in nome del logos delle scienze naturali senza negare anche queste. Simul stabunt vel simul cadent. E quando si è capito da tutti che, non solo la realtà è imbevuta di valori su cui l’empiria è muta (le asserzioni normative e valutative non appartengono al mondo naturale, eppure hanno senso nel mondo reale anche più di quelle scientifiche), ma che la stessa empiria non è un mondo dato direttamente, ma un insieme matematico di dati raccolti, ordinati ed elaborati dall’Io secondo regole logiche comunque a quella estranee, filosofia e scienza hanno celebrato dopo il funerale del positivismo anche quello del neopositivismo. Nel XXI secolo l’attacco alla Creazione deve così passare attraverso l’attacco diretto alla scienza di Galileo, Newton, Einstein e Heisenberg.
Nel giro d’una settimana, nelle “pagine culturali” di nostri quotidiani sono apparsi due articoli nei quali s’inneggia al caso come “cuore pulsante dell’universo” (Chiara Lalli in “Dobbiamo imparare a convivere col caso”, Corriere della Sera) e al Caso padre di tutti i casi, il multiverso, “che sta prendendo piede” (Piero Bianucci in “Ognuno di noi ha un sosia, ma in un altro universo”, La Stampa). L’articolo di Bianucci, dove fin dal titolo s’indovina la mira di sostituire nella nuova “scienza” postmoderna l’icona fisico-matematica di Albert Einstein con quella magico-avventuriera di Giordano Bruno, è così pieno di errori storici, scientifici e anche grammaticali, che ho trovato difficoltà ad arrivarvi in fondo. E qui ne termino il commento. La Lalli invece si lascia bere d’un fiato: questa “docente di logica e filosofia della scienza” d’università (dove ai suoi studenti insegna con scrupolo la logica e il metodo scientifico, non dubitiamo), nelle vesti di “divulgatrice scientifica” per i lettori del Corriere a tutto appare interessata fuorché al rigore delle sue materie accademiche, cui preferisce le bollicine dell’auto-contraddizione, come rilevammo in altra occasione a commento d’una sua intervista a Boncinelli.
Ella, quando interroga un autore o ne commenta un libro, tralascia lo spirito critico – che ci aspetteremmo dalla giornalista – per adagiarsi alle tesi dell’interlocutore. Di Boncinelli abbracciò subito l’idea che “l’anima è un’illusione”, senza accorgersi dell’incoerenza: un’illusione di “chi”? l’anima della filosofa non coglie la certezza cartesiana d’esistere stante nel dubbio cartesiano d’illudersi? Con l’ultimo autore (tale Brian Clegg), per mostrare la fallacia degli umani sull’esistenza d’ordine in Natura ed abbatterne la fiducia a “ipotizzare schemi inesistenti piuttosto che convivere con il peso del caso”, la Lalli scopre “l’indifferenza della natura per i nostri desideri”: ma quando mai la scienza, anche quella più meccanicistica e deterministica alla Laplace, ha attribuito alla Natura sentimenti umani?!
“È facile lasciarsi sedurre da schemi ordinati e diventa sempre più difficile orientarsi nella complessità del mondo, considerando che, mentre noi siamo rimasti più o meno uguali a migliaia di anni fa, intorno a noi ci sono realtà inimmaginabili anche un paio di secoli fa”, allarga sconsolata le braccia la nostra divulgatrice scientifica. Già: tutte queste “realtà inimmaginabili anche un paio di secoli fa” però, sono frutto della tecno-scienza nata nell’Europa cristiana e fondata sulla corrispondenza logica tra Natura e ragione umana. Prendiamo una di queste corrispondenze, quella in capo a tutte tra spazio-tempo e materia-energia da un lato e logos dall’altro:
Rμν – ½gμνR + Λgμν = (8πG/c4)Tμν
Questa è l’equazione della Relatività Generale. Provino gli ideologhi del caso ad “indovinare” i moti degli astri con la sua precisione, e poi l’espansione dell’Universo intero, e poi l’esistenza dei buchi neri, ecc.: eppure tutto ciò vi è ordinatamente contenuto con meravigliosi simboli!
Fonte: www.uccronline.it/
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