“Crescere in città”, questo il titolo di una raccolta di attività presentata dalla città di Torino rivolta a studenti e insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. La mamma di un ragazzino di seconda media, che ha preferito rimanere anonima, a cui è arrivata questa proposta all’inizio dell’anno scolastico è stata contattata telefonicamente dalla nostra redazione, e ha dichiarato che vorrebbe far partecipare il figlio ad altri progetti extra-curricolari, come corsi di teatro o di musica, ma non sa come fare e dopo aver chiesto spiegazioni alla segreteria scolastica non ha ancora ricevuto una risposta. Vediamo in cosa consistono queste proposte, definite dal sito di Crescere in Città come “educative e formative”.
La prima è organizzata dal dipartimento di giurisprudenza dell’università degli studi di Torino ed è rivolta ai bambini delle scuole primarie. Lo scopo che si pone questa attività è quello di “fornire conoscenze nell’ambito dei rapporti famigliari”, affrontando diversi temi tra cui la questione delle unioni civili omosessuali, e di conseguenza delle famiglie arcobaleno, delle famiglie fondate sulla convivenza, della separazione e del divorzio. Temi decisamente inadeguati da affrontare insieme a bambini delle elementari.
L’altra attività rivolta a bambini della stessa fascia d’età è organizzata dal Centro studi e documentazione del pensiero femminile: già il nome è tutto un programma! Il corso si propone di contrastare gli stereotipi di genere ancora presenti per interiorizzare una parità tra i generi. Nella descrizione dell’attività, che consiste nella redazione di un giornale in cui verranno raccolte le esperienze di donne di diverse epoche e generazioni, come la propria madre, nonna o bisnonna, si precisa che “questi modelli di relazione fondati su rispetto e parità saranno fondamentali nelle età immediatamente successive dove la cultura imporrà ruoli molto più rigidi”, quindi sostanzialmente si formano nuove leve per combattere il famigerato patriarcato. Comunque, queste sei ore di indottrinamento, vengono a costare 350€ per classe, e io che pensavo che l’obiettivo fosse quello di costruire una società migliore per le nuove generazioni.
Passando alle scuole secondarie, l’associazione Filobus 61 riprende il discorso sulla parità di genere andando ad esaminare i ruoli maschili e femminili nella società. Ruoli che ovviamente sono “condizionati da stereotipi e pregiudizi marcati nel tempo e per questo differenti nel tempo e nello spazio”. Paradossalmente, nella parte finale della descrizione del corso, viene specificato che “l’educazione alle differenze deve essere valorizzata, in particolare nei contesti educativi e scolastici, accompagnando bambine e bambini, ragazze e ragazzi al rispetto delle medesime”: prima sostengono che le differenze non ci sono, perché siamo tutti uguali, poi decidono che vanno rispettate… fatto sta che anche questi incontri hanno un costo di 20€ per ogni bambino.
Concludiamo con un corso proposto dalla cooperativa Esserci, rivolto alle scuole secondarie di primo grado, che esamina la questione della sessualità: dalla promozione del “pensiero critico per attivare le capacità di prendere decisioni libere, consapevoli e informate sui temi dell’affettività e della sessualità”, all’esplorazione di “valori, atteggiamenti, stereotipi e norme sociali” che hanno un impatto sulle relazioni sessuali, fino a promuovere una cultura della prevenzione sui rischi, informando i ragazzi dell’esistenza di presidi socio-sanitari per adolescenti sul territorio. Si parla quindi di genere (definito ovviamente come un “costrutto sociale”), del corpo umano e dei cambiamenti durante la pubertà, dei comportamenti sessuali con annesso discorso sul piacere e sul benessere, della salute riproduttiva e dei metodi contraccettivi. Gli organizzatori specificano che le attività nelle classi saranno strutturate secondo il modello della Comprehensive Sexuality Education, che adotta un approccio “olistico e positivo alla sessualità, sensibile alle differenze, ai diritti e alle identità delle persone”, già riconosciuto dall’UNESCO. Un approccio alla sessualità che non tutti potrebbero vedere così positivo, soprattutto se proposto a dei ragazzini di undici anni, che per partecipare devono anche pagare una quota di 15€.
Il fatto che corsi di questo tipo vengano proposti nelle scuole, che si affrontino temi delicati e complessi come la sessualità, la differenza di genere e l’omosessualità con dei ragazzini così giovani, è veramente preoccupante. Il fatto che una mamma abbia sentito la necessità di segnalarlo, e che abbia sottolineato la difficoltà che sta riscontrando perché non ha alcuna intenzione di permettere che suo figlio segua queste attività, dovrebbe farci rendere conto di quanto stia drasticamente peggiorando la situazione nelle scuole italiane. Questi argomenti devono essere affrontati in famiglia: sono i genitori che si devono occupare di educare i ragazzi su questioni sociali così delicate, sulla base dei loro valori e dei loro principi, non è sicuramente compito di una cooperativa imporre la sua visione del mondo a menti così giovani. Almeno, se proprio è così importante affrontare questi temi nelle classi, lo si faccia in contraddittorio: perché nelle scuole non viene mai invitata un’associazione come la nostra? Perché nell’affrontare il tema della sessualità, oltre a far conoscere i presidi socio-sanitari sul territorio non si fanno conoscere anche i Centri di Aiuto alla Vita a cui le giovani in situazioni di gravidanza inaspettata possono rivolgersi? Perché quando si parla di famiglia non può esserci nessuno che spieghi l’importanza e l’unicità della famiglia tradizionale? È la “dialettica” del pensiero unico, che viene inculcato nelle menti dei più giovani, e questo è chiaramente sbagliato.
Sostieni la redazione di Notizie Cristiane con una donazione, clicca qui