La partita per la legalizzazione della dolce morte in Francia si gioca tutta intorno alla incomprensibile differenza tra “eutanasia” e “sedazione terminale”. Un trucco linguistico che «non cambia il risultato concreto».
Che differenza c’è tra “uccidere” e “aiutare a morire”? Nessuna, in tutti e due i casi una persona muore a causa di un’altra, ma è su questo sottile crinale linguistico che si gioca la partita della legalizzazione dell’eutanasia in Francia. La legge, salvo folgorazioni sulla via di Damasco, si farà: François Hollande ha annunciato a gennaio che nel «rispetto della dignità» approverà una legge con «paletti severissimi».
SEDAZIONE TERMINALE. Per fare il primo passo, cioè presentare una bozza di legge, il governo socialista deve però attendere il parere del Comitato consultivo etico nazionale, annunciato per febbraio, poi rimandato a inizio marzo e infine spostato a non prima di aprile o anche maggio. Il parere non sarà certamente diverso dal rapporto Sicard, chiesto nel 2012 da Hollande, che pur rigettando l’ipotesi di approvare l’eutanasia, apriva le porte all’introduzione della “sedazione terminale”.
IL PIANO UMANO. Che differenza c’è tra “sedazione terminale” ed “eutanasia”? La stessa che passa tra “uccidere” e “aiutare a morire”, anche se alcuni medici intervistati in forma anonima da Le Monde non la pensano così: «Io non uccido, io aiuto a morire», racconta il dottor O. «Forse il risultato concreto è lo stesso ma non sul piano umano. Non ho mai guardato me stesso come qualcuno che ha ucciso delle persone». O. continua descrivendo il cocktail di morfina, ansiolitici, ipnotici e analgesici che fa assumere ai pazienti per addormentarli e “aiutarli a morire” causando loro una crisi respiratoria: «Io li aiuto solo a dormire, so che loro vogliono morire perché non hanno più speranze».
«UCCIDERE È DIVERSO». La “sedazione terminale” in Francia oggi viene ancora chiamata “omicidio” ma tra qualche mese questa parola potrebbe essere sostituita con “fine vita compassionevole”: «È vero che così si accorcia la durata della vita, non si può negarlo», ammette il dottor G. «Molti non vedono la differenza [con l’omicidio] ma io sì. Uccidere è diverso, è un’azione immediata. Io aiuto a morire, aumentare una dose non ha niente a che vedere con l’eutanasia». Ancora una volta è una questione puramente linguistica, perché «forse il risultato concreto è lo stesso».
CURE PALLIATIVE. Il quotidiano di sinistra francese raccoglie la voce anche di quei medici che, pur soffrendo per i pazienti che stanno male, si rifiutano di ucciderli e «somministrano le cure palliative» contro il dolore. Ma questi sarebbero la minoranza, il 60 per cento dei medici sarebbe secondo un recente sondaggio a favore dell’eutanasia anche se non farebbe mai «una iniezione». Quella dell’ago, infatti, è una visione troppo cruda. Meglio preparare un cocktail mortale: «Io non sono un’eccezione», spiega R., uno di coloro che già oggi “aiuta a morire” le persone. «Gli altri non parlano perché hanno paura dei giudici».
COSCIENZA. Nel 2013 l’ordine dei medici, che di solito è «piuttosto retrogrado» secondo le parole dei professionisti interpellati da Le Monde, si è espresso a favore della «sedazione terminale». Il dottor Faroudja, responsabile della sezione etica del Consiglio dell’ordine, spiega: «Non si tratta di un passo verso l’eutanasia, uccidere deve restare vietato. Riconosco però che tra uccidere e addormentare il paziente aspettando che muoia», e causando la crisi respiratoria che lo ucciderà, «la differenza è sottile». Così sottile che non c’è, ma è facile intuire perché «sul piano umano» i medici in Francia cerchino in tutti i modi di inventarsi una distinzione tra “uccidere” e “aiutare a morire”, da far passare attraverso i media: perché, in fin dei conti, anche la loro coscienza grida come quella dei “retrogradi”.
Fonte: http://www.tempi.it/
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