Per 17 volte hanno invitato la donna a praticare l’eutanasia al marito: la lesione cerebrale era troppo grave, irreversibile…
Due anni fa, Jay Hendry (nella foto) era rimasto vittima di un incidente stradale.
Le sue condizioni erano talmente gravi che i medici ritenevano fosse più giusto porre fine alle “sofferenze” del malato.
Oggi, la moglie, Megan, ha dichiarato che Jay è di nuovo in grado di parlare e interagire con le persone che incontra nella sua casa in Pennsylvania.
Gioca con i suoi tre figli, e qualche volta addirittura cerca di aiutare con le faccende di casa.
Solo sua moglie ha creduto in lui: si chiede se i medici, invece di proporre l’eutanasia, avessero cominciato prima la fisioterapia, forse il suo recupero sarebbe ancora più progredito.
I medici avevano diagnosticato lo “stato vegetativo persistente”, senza speranza: solo Megan (e un infermiere) sentivano che si stavano sbagliando.
L’hanno accusata di essere egoista, di non volere il bene di Jay… invece lei ha insistito, finché non ha trovato un centro di riabilitazione disposto ad accogliere il marito.
Anche di soldi, ce n’erano davvero pochi. Quando ha portato a casa il malato, lei lavorava tutto il giorno: l’assistenza domiciliare gli è stata negata e alla fine ha dovuto lasciare il lavoro: ringrazia Dio, gli amici e i parenti che l’hanno aiutata, non certo il suo Paese.
Ancora c’è chi le dice che la qualità della vita di Jay “non è degna di essere vissuta”: Megan si ribella a questi discorsi e spiega che l’uomo è certamente handicappato gravemente, ma è vivo e vive una vita di gioie e dolori, di felicità e depressione, di conquiste , di sfide e di sconfitte come qualsiasi altra persona viva. Ha desideri e obiettivi. Ogni giorno si sveglia, vede i suoi figli, gioca, vede la TV e litighiamo, persino. “Egli ci ama e noi lo amiamo“.
Tratto da: Informare per Resistere
Fonte: ProLife News | Losai.eu
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