Eugenetica mascherata da qualità della vita Charlie resiste mentre i genitori gettano la spugna

È finita nel peggiore dei modi l’assurda battaglia legale sulla vita del piccolo Charlie Gard, sacrificato sull’altare di una cultura diabolica secondo cui certe vite non sarebbero degne di essere vissute. Una cultura di stampo eugenetico, affermatasi particolarmente a partire dal XIX secolo, oggi sempre più radicata nel nostro Occidente anche perché col tempo il suo linguaggio è diventato più sofisticato: “Qualità della vita”, “miglior interesse”, “dignità nel morire”, sono i termini oggi imperanti che ingannano molti. È triste constatare che anche i genitori di Charlie, dopo aver avuto la forza di ribellarsi e sollevare il coperchio di questo sistema di eliminazione dell’umanità più fragile, si siano fatti condizionare dalla suddetta cultura e da pressioni che certamente saranno state enormi, arrendendosi all’idea che per il loro bambino sia meglio morire, per il solo fatto che a questo punto il trattamento sperimentale avrebbe scarse possibilità di farlo migliorare.

“Per Charlie è troppo tardi. Il danno è stato fatto. Non è più nel suo miglior interesse tentare la strada del trattamento”, ha detto tra lo stupore generale Grant Armstrong, avvocato di Chris e Connie, all’inizio dell’udienza di ieri. Da lì è stata ovvia la conclusione del giudice Nicholas Francis, che già tre mesi e mezzo fa aveva condannato a morte il bambino: “Confermo gli ordini dati ad aprile”. Ossia: distacco della ventilazione assistita e prosieguo delle sole cure palliative. Salvo miracoli, il piccolo Charlie, nato il 4 agosto di un anno fa, morirà soffocato. Al netto dell’ipocrisia, questo sarebbe “il suo miglior interesse” che il Gosh, il tutore fantoccio del bambino e i giudici ci hanno ripetuto per mesi.

Ma come si è arrivati allo sconcertante esito di ieri? La prima sorpresa si era avuta nel fine settimana, quando era stato comunicato che l’udienza non sarebbe più cominciata alle 10, bensì alle 14. C’è chi ha pensato fosse solo per facilitare il collegamento video dagli Stati Uniti col dottor Michio Hirano, il neurologo di fama internazionale che si era offerto di provare il trattamento sperimentale. Ma il problema del fuso orario era già noto al giudice, per cui è possibile che i risultati delle risonanze magnetiche e dell’elettroencefalogramma della settimana scorsa abbiano indotto le parti a chiedere uno slittamento di qualche ora. Nella mattinata di ieri le parti si sono incontrate per un’ulteriore discussione che potrebbe continuare oggi, come ha spiegato Armstrong nel corso dell’udienza, iniziata tra l’altro con qualche minuto di ritardo per problemi con il collegamento video. Che alla fine non c’è stato.

Sono bastate poche frasi ad Armstrong per spiegare la mutata volontà dei genitori, alla luce dei  risultati – a quanto pare più negativi del previsto – di quei test e del tempo prezioso che si è perso nel cercare di ottenere l’autorizzazione alla cura sperimentale, sempre negata prima dall’ospedale e poi dai giudici. “Il tempo per Charlie è scaduto, adesso il trattamento non può offrire chance di successo. I genitori ritirano la loro richiesta di cambiare l’ordine originario (la sentenza dell’11 aprile, ndr). […] I genitori sono stati estremamente stressati dai risultati dei test, Charlie ha sofferto un’estesa atrofia muscolare, che è irreversibile anche con la terapia a base di nucleotidi”. Il legale di Chris e Connie ha poi proseguito ribadendo il biasimo delle minacce che sarebbero state indirizzate allo staff del Gosh: nel fine settimana, Chris aveva sconfessato per le critiche pubbliche all’ospedale Alasdair Seton-Marsden, cioè colui che fino a pochi giorni prima aveva parlato al fianco della famiglia. “Non è il nostro portavoce”, aveva scritto il papà di Charlie. È stato annunciato il desiderio dei genitori di costituire una fondazione per curare altri pazienti con patologie mitocondriali e Armstrong ha inoltre sottolineato che Charlie aveva il diritto di ricevere il trattamento e che il ritardo gli ha impedito di continuare a sperare, invitando il giudice a considerare di accrescere il potere decisionale dei genitori in casi del genere.

Il giudice Francis, nel confermare la sua visione assolutizzante delle sentenze come dogmi capaci di stabilire il bene e il male (“solo leggendo le quattro sentenze i commentatori possono capire l’intera situazione”), ha detto che un medico dovrebbe vedere il paziente prima di poter fornire prove al tribunale. Un riferimento alla testimonianza di Hirano, che il Gosh – ringalluzzito dall’esito della vicenda – è arrivato perfino a bacchettare in un comunicato diffuso dopo l’udienza. “Si spera che chi, come il professor Hirano, ha fornito le opinioni che hanno sostenuto i genitori di Charlie e le loro speranze, protraendo perciò questa battaglia legale con tutte le sue conseguenze, trovi anche molto da riflettere”. Tradotto: Hirano e gli altri sei esperti che hanno firmato il protocollo sperimentale, tra cui figura anche lo specialista italiano Enrico Bertini, non dovevano interferire, interrompendo i tempi della condanna a morte di Charlie.

Alla fine dell’udienza ha parlato anche Connie. “Dopo l’ultima risonanza magnetica abbiamo deciso di lasciare andare nostro figlio. Non c’è evidenza di un danno cerebrale irreversibile, se avessimo avuto accesso ai dati grezzi siamo convinti che avrebbe avuto il trattamento. La sua patologia è peggiorata fino al punto di non ritorno. Nessun organo è venuto meno, non c’è prova che stia soffrendo, ma la prospettiva di un miglioramento è adesso troppo bassa. […] Amiamo tanto Charlie, nostro figlio è un guerriero e la sua eredità non morirà mai, la sua anima continuerà a vivere per l’eternità”. Scendono le lacrime sue, di Chris e altri familiari mentre dice che il bimbo non arriverà al suo primo compleanno. Dalla dichiarazione completa divulgata poco dopo fuori dal tribunale, risulta ancora più evidente la verità sulla decisione finale. “Il team americano e italiano era ancora disponibile a curare Charlie dopo aver visto la risonanza magnetica e l’elettroencefalogramma effettuati la scorsa settimana. Non è cerebralmente morto (e mai lo è stato). Ancora ci risponde, perfino adesso”. Ma alla fine ha prevalso la già accennata linea eugenetica: “Si è considerato che i muscoli di Charlie si sono deteriorati fino a un punto che è fondamentalmente irreversibile e, qualora il trattamento funzionasse, la sua qualità della vita non sarebbe quella che vorremmo per il nostro prezioso piccolo bambino. Entrambi hanno concordato che il trattamento sarebbe dovuto iniziare molto prima”.

Questo quotidiano ha scritto più volte che il trattamento sperimentale era una strada da tentare, ma che la vita di Charlie andava e va difesa in ogni caso, così come quella di qualsiasi malato capace di vivere grazie a una cura di base come la ventilazione assistita, la nutrizione o l’idratazione. La vita umana va protetta anche quando non esiste una terapia efficace, perché non è dalle condizioni fisiche che dipende la nostra dignità: è perché siamo esseri umani, con un corpo e un’anima, che la nostra dignità è incancellabile. Per questo ogni legge che apre le porte all’eutanasia è inaccettabile. La battaglia di Connie e Chris andava perciò sostenuta nella misura in cui si battevano per il diritto di vivere di Charlie, vedendosi negati da una giustizia da stato totalitario i loro diritti di genitori di curare il figlio: fatto che rappresenta un elemento di preoccupazione in più in questa vicenda, ma non certo l’unico. È chiaro infatti che laddove la battaglia dei genitori per la vita di Charlie è venuta meno in nome di una bassa “qualità”, bisogna rigettare con forza questa logica e ribadire che la vita va protetta sempre, dal concepimento fino alla morte naturale. È questo il bene oggettivo da difendere e per cui bisogna continuare a pregare.

di Ermes Dovico | Lanuovabq.it


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