Esecuzioni in Arkansas, un passo che deve preoccupare

Le recenti esecuzioni capitali non ribadiscono soltanto il principio della pena di morte, ma anche l’inefficacia di alcune campagne di boicottaggio, aggirate dalla Corte Suprema.

Nella notte tra il 24 e il 25 aprile, nello Stato dell’Arkansas, nel sud degli Stati Uniti, sono state eseguite le condanne a morte di due uomini ritenuti colpevoli circa vent’anni di omicidio. Si tratta di un fatto rilevante non solo perché ogni esecuzione capitale dovrebbe esserlo, ma anche perché non accadeva dal 2000 che uno Stato americano eseguisse più di una condanna a morte nello stesso giorno; allora fu il Texas, con due esecuzioni, ma in generale dagli anni Settanta ci sono state sentenze multiple nello stesso giorno appena dieci volte in tutti gli Stati Uniti. Inoltre, prima di queste due iniezioni letali e di una eseguita la scorsa settimana, in Arkansas era tutto fermo dal 2005 a causa dei problemi legati all’accesso ai tre farmaci utilizzati nelle iniezioni: il bromuro di rocuronio, il midazolam e il cloruro di potassio.

All’inizio di aprile il governatore repubblicano Asa Hutchinson aveva annunciato l’esecuzione di 11 condanne a morte entro la fine del mese a causa della scadenza dell’anestetico, il midazolam. Il 30 aprile, infatti, le riserve di questo farmaco arriveranno a scadenza e, per via dell’ampio boicottaggio messo in atto da alcune tra le più importanti case farmaceutiche europee, non è garantita la possibilità di acquistarne ancora. Nel 2011 la società danese Lundbeck, che produceva il barbiturico Pentobarbital, vietò ai suoi distributori americani di rifornire gli istituti penitenziari, e a quel punto si decise di introdurre il midazolam. Ora il problema sembra riproporsi, ma l’impressione è che questo non possa bastare per bloccare le esecuzioni capitali.

«Il principio che viene comunque ribadito – spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia – è che se hai commesso un reato che comporta spargimento di sangue, devi essere ripagato con la stessa moneta. Il governatore dell’Arkansas l’ha detto chiaramente».

Però questa volta, con la fretta di eseguire le condanne, possiamo affermare che si sia andati oltre il principio?

«Certo. Il principio è inaccettabile, ma la prassi è davvero grottesca, nel senso che si sono messe in fila 8 persone come se fossero su un nastro che trasporta bagagli all’aeroporto motivando la cosa con il fatto che il sedativo, che è uno dei tre componenti dell’iniezione letale, scade esattamente l’ultimo giorno di aprile, per cui prima di buttare queste ultime scorte hanno deciso di usarle».

È il secondo sedativo sottoposto a boicottaggio. Questo non basta per andare verso la fine delle esecuzioni capitali?

«Purtroppo no, al punto che alcuni Stati degli Stati Uniti hanno adottato leggi per ripristinare o introdurre metodi alternativi, come il plotone d’esecuzione, che probabilmente verrebbero bocciati dalla Corte Suprema, ma che hanno comunque mostrato l’intenzione di proseguire nelle condanne. Oltretutto è già successo che, per aggirare l’embargo mondiale nell’invio di sedativi per l’iniezione letale negli Stati Uniti, alcuni Stati e alcuni penitenziari si sono rivolti a dei produttori che erano fuori dall’Unione europea, magari in India, o addirittura al singolo farmacista. Ci sono stati dei ricorsi perché il condannato a morte voleva sapere la provenienza della sostanza con cui veniva messo a morte, e poi è stato dato il via libera comunque alle esecuzioni stabilendo un precedente orribile, cioè che il detenuto non è tenuto a sapere da dove viene il farmaco con cui sarà messo a morte».

La decisione di confermare le esecuzioni in Arkansas è stata una delle prime compiute da Neil Gorsuch, nuovo membro della Corte Suprema, nominato da Donald Trump per prendere il posto di Antonin Scalia e insediatosi il 10 aprile. Lui si è sempre dichiarato pro-vita, ma il suo primo atto è stato di fatto pro-morte. Questa incoerenza non è isolata. Con la guida repubblicana gli Stati Uniti potrebbero vivere una fase in cui le esecuzioni capitali vengono rilanciate?

«Sì, c’è questo rischio. Il giudice vacante della Corte Suprema avrebbe dovuto essere nominato prima, già da Obama, che però non l’ha fatto. Oggi la Corte Suprema, che ha voce in capitolo su moltissimi ambiti, è a maggioranza repubblicana ed esprime posizioni pro-vita, ma in senso ampiamente selettivo, com’è evidente. Non è un’incoerenza rara: non dimentichiamo che all’interno della maggioranza repubblicana c’è quella antiabortista, oppure quella di chi è contro alcune decisioni nel campo dei diritti sessuali e riproduttivi e poi è a favore della pena di morte. Ora, con la maggioranza repubblicana della Corte Suprema si rischia di dare un duro colpo a tanti diritti che sembrano garantiti e scontati. Oggi negli Stati Uniti c’è da preoccuparsi per la tenuta del sistema dei diritti umani».

Con i vostri omologhi statunitensi c’è un dialogo costante: oltre che preoccupati sono anche sorpresi da questa tendenza?

«No, però sono sicuramente rammaricati, perché abbiamo avuto già qualche cenno del tipo di mondo che ci verrà lasciato tra quattro o tra otto anni. Le decisioni che vengono prese negli Stati Uniti hanno sempre rilevanza mondiale, per cui non sono soltanto preoccupati i nostri colleghi di Amnesty Usa, ma anche tutto il mondo dei diritti umani, delle associazioni che si battono per i diritti civili. Oltretutto teniamo presente che quello della pena di morte non è l’unico problema: per esempio, non c’è nemmeno uno dei cinquanta Stati americani che abbia delle leggi sull’uso della forza in situazioni di ordine pubblico che sia coerente col diritto internazionale, e questo spiega perché ci sono centinaia e centinaia di omicidi da parte della polizia. Ci sono tante altre questioni che riguardano anche il profilo internazionale, decisioni su che peso dare agli organi internazionali di giustizia, che posizione prendere nei conflitti, oppure in materia di rifugiati. Ecco, questo rischia di essere un quadriennio segnato da decisioni negative su tutti questi aspetti».

Immagine: By CACorrections (California Department of Corrections and Rehabilitation) – http://www.flickr.com/photos/37381942@N04/4905111750/in/set-72157624628981539/, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11627466

di Marco Magnano | Riforma.it

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