Oqbamichel Haiminot ha subito enormi violenze fisiche e psicologiche, ma non ha mai voluto abiurare. Il regime lo obbligava a trasportare enormi massi in cima alla montagna.
L’Eritrea ha liberato il 15 giugno Oqbamichel Haiminot, pastore evangelico in prigione da oltre un decennio senza accuse formali. Si tratta del primo leader cristiano arrestato dopo che nel 2002 il governo ha riconosciuto ufficialmente quattro confessioni religiose: ortodossi, cattolici, evangelici luterani e musulmani sunniti. I fedeli di queste religioni hanno una limitatissima libertà di culto, tutti gli altri neppure quella. La persecuzione nel paese africano è tale che secondo un rapporto dell’Onu «il regime percepisce la religione come una minaccia alla sua stessa esistenza».
NON HA MAI ABIURATO. Haiminot è stato arrestato per la prima volta nel 2003. Rilasciato dopo poche settimane, è stato nuovamente detenuto nel gennaio 2005 mentre partecipava a un matrimonio insieme ad altri 70 cristiani. Portato nel centro militare di Sawa per ricevere una «punizione militare», è rimasto in detenzione per quattro mesi mentre gli altri venivano rilasciati. Qui, secondo Voice of the Martyrs (Vom), le autorità hanno cercato inutilmente di farlo abiurare per poi rinchiuderlo in isolamento. Durante la detenzione sarebbe stato abusato fisicamente e psicologicamente in modo estremo. Una delle sue punizioni sarebbe stata quella di trasportare grossi massi senza motivo in cima a una montagna.
Dopo un crollo mentale e fisico è stato brevemente rilasciato per poi essere arrestato nuovamente nel 2007 e rinchiuso nella stazione di polizia numero 5 fino al 15 giugno scorso. Ora, dicono fonti di Vom, il pastore è libero ma avrebbe bisogno di urgenti cure mediche. Come non si conosceva il motivo dell’arresto, così nessuno sa perché sia stato liberato proprio ora.
«PRIGIONE A CIELO APERTO». La Costituzione del paese è sospesa dal 1997 con la scusa della guerra con l’Etiopia, che nelle scorse settimane ha proposto ad Asmara un cammino di pace credibile, che il regime africano non ha però ancora accettato. Non c’è solo un problema di libertà religiosa in Eritrea, che «è un’enorme prigione a cielo aperto, piena di celle e campi di concentramento», secondo Berhane Asmelash, medico cristiano scappato dopo essere stato incarcerato e torturato. Nel paese infatti non esistono diritti umani, libertà di espressione, pensiero e stampa. Vige un «pervasivo sistema di sorveglianza e spionaggio che colpisce gli individui dentro e fuori dal paese». Vivendo nella «costante paura» di essere monitorati e temendo di essere «arrestati, torturati, fatti sparire e uccisi», gli eritrei sono costretti ad «autocensurarsi in molti aspetti della vita». Nessuno può sapere «quali attività potrebbero essere considerate “devianti” e sanzionabili». Il sentimento della popolazione è ben descritto da un testimone intervistato dall’Onu: «Quando sono in Eritrea, mi sembra di non potere neanche pensare perché sono spaventato dalla possibilità che la gente possa leggere i miei pensieri. E ho paura».
CONFINATI NELLE CHIESE. Come raccontato a Tempi da un sacerdote cattolico che ha di recente visitato l’Eritrea, e che vuole restare anonimo, «la situazione è molto delicata. I cattolici, che godono del riconoscimento statale, sono comunque confinati dentro le mura delle chiese, dove possono praticare le loro attività. Fuori non possono fare nulla. Il proselitismo è vietato e anche per stampare libri religiosi ci vuole un’autorizzazione dello Stato. A malapena c’è la Bibbia, che comunque è molto costosa e difficile da reperire».
Foto Ansa
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