Sulla base di quanto ieri e l’altro ieri i maggiori telegiornali e giornali gli hanno raccontato, il proverbiale italiano medio crede che “l’Europa” si sia ormai schierata a fianco del nostro Paese per quanto concerne la gestione del problema dei migranti che dalle coste libiche si dirigono verso le coste della Sicilia e della Calabria. In realtà qualcuno ha deciso di rallegrarci facendo passare per obiettivi raggiunti quelle che sono soltanto delle ardue speranze. I fatti sono questi: la Commissione Europea ha pubblicato un piano, predisposto da Federica Mogherini, che lunedì prossimo 18 maggio verrà sottoposto all’esame dei 28 ministri degli esteri e della difesa degli Stati membri. Tutto qui.
Nel documento si sollecitano gli altri 26 Stati membri a spartirsi l’impegno di esaminare le richieste d’asilo di migranti: un compito che per ora è soltanto sulle spalle degli Stati dove essi giungono, ossia l’Italia e la Grecia. Dopo aver stabilito, non si sa bene in base a che cosa (la cifra non ha infatti alcun nesso con il numero effettivo dei migranti in arrivo), un…”numero chiuso” di 20 mila richieste d’asilo da prendere in esame nell’arco dei prossimi due anni, la Commissione stanzia per tale attività un suo contributo di 50 milioni di euro, e considera poi l’eventualità di “azioni navali” per intercettare i natanti dei passatori.
Quando però è stato chiesto a Federica Mogherini se si pensa anche a “concrete azioni militari”, la sua risposta è stata che questo dipende da ciò che i ministri degli Stati membri decideranno lunedì. Si aggiunga che comunque – in base alle clausole di riserva con cui a suo tempo aderirono ai trattati istitutivi dell’Unione – alla Gran Bretagna, all’Irlanda e alla Danimarca non si può imporre di impegnarsi pro quota in nulla. Inoltre il governo ungherese ha già fatto sapere che lancerà un referendum popolare contro l’accoglienza di immigrati giunti nel territorio dell’Unione in modo irregolare; e nella sostanza la maggior parte degli Stati membri dell’Est Europa è sulle medesime posizioni. Stando così le cose l’unico fatto nuovo è questo: Federica Mogherini ha evidentemente sempre più amici tra i corrispondenti a Bruxelles e dispone adesso di un ottimo ufficio stampa.
È pur vero tuttavia che chiunque fosse al suo posto non potrebbe fare molto di meglio. Quello della politica estera è il settore nel quale più che in ogni altro pesa il vuoto di identità e quindi di valori comuni che caratterizza l’Unione Europea. Senza i suoi valori fondanti e senza la sua storia l’Europa né si spiega né sussiste. Perciò la strada che si è voluto imboccare dal Trattato di Maastricht in avanti, quella di un’Unione basata solo sugli interessi e su principi astratti, non poteva che condurre là dove siamo arrivati adesso: a un’Unione cioè che non è in grado di reggere a sfide complesse.
Nel mondo globalizzato in cui ormai viviamo le migrazioni internazionali sono analoghe a quelle che erano le migrazioni interne, ad esempio, nell’Italia degli anni ’50-’60 del secolo appena trascorso. Non puoi decidere se ci debbano essere o meno. Sono un fenomeno in fin dei conti ineliminabile, messo in moto da un lato dall’enorme divario in termini di tenore di vita tra l’Europa, l’Africa e numerosi Paesi asiatici, e dall’altro dalla facilità con cui adesso possono circolare le notizie, le persone, il denaro. Anche la differenza tra rifugiati politici e rifugiati economici diventa sempre meno evidente. Rispetto alle garanzie giuridiche, alla sicurezza della vita quotidiana e ai servizi sanitari e sociali di cui si dispone in Europa, un eritreo è comunque una persona la cui vita e la cui libertà sono in pericolo. Inoltre, diversamente dalle Americhe o dall’Australia, l’Europa non è una grande “isola” circondata dagli oceani. È parte di un insieme euro-afro-asiatico sostanzialmente continuo, della cui continuità, come ogni giorno i fatti dimostrano, un mare interno quale il Mediterraneo è parte integrante.
In tale quadro il problema andrebbe affrontato in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue fasi. Nell’immediato occorre rallentare e governare i flussi migratori irregolari in tutta la misura del possibile, il che implica – diciamolo ancora una volta – il coinvolgimento attivo in primo luogo degli Stati di origine e di primo transito di tali flussi. Frattanto però occorre anche avviare piani a medio e lungo termine di sviluppo condiviso dei Paesi di partenza dei migranti.
Costoro peraltro (sarebbe importante che si cominciasse a capirlo) in patria non sono dei poveri, altrimenti non avrebbero potuto mettere insieme le somme, relativamente notevolissime, che devono pagare ai passatori cui si affidano. In loco sono dei potenziali ceti medi che potrebbero diventare i primi interlocutori di programmi di sviluppo nei Paesi dove sono nati e cresciuti. Qui, se ce ne fossero le condizioni, avrebbero così motivo di investire quei capitali, frutto spesso del risparmio di interi gruppi familiari, che invece spendono in viaggi che li portano talvolta alla morte; e nel migliore dei casi alla sopravvivenza in ruoli sia economici che sociali molto meno qualificati di quelli che avrebbero potuto assumere in patria.
di Robi Ronza
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