Notiziona: boom di vendite della pillola dei cinque giorni dopo e calo degli aborti. Così un po’ tutti i giornali commentano i dati diffusi da Federfarma su richiesta del PD lombardo che attestano l’incremento di vendite da 16.797 del 2014 a 145.101 nel 2015 per arrivare alle 200.507 nei primi 10 mesi del 2016 che fa prevedere di raggiungere le 240.000 confezioni nell’intero anno. Il piatto serve per riverniciare l’antico adagio radicale, “Più pillola, meno aborti”, srotolato in una piazza S. Pietro dove il beato Paolo VI contro un muro di ostilità laica ed ecclesiastica aveva ripetuto ciò che la Chiesa aveva sempre insegnato: la contraccezione è un male morale e dunque non è lecito praticarla.
Anche se fosse vero che diffondere tra la popolazione la contraccezione riduce gli aborti, dal punto di vista morale la risposta è semplice: non si può fare il male per ottenere un bene. E che la contraccezione sia un male è una cosa che metteva d’accordo la filosofa di Oxford Elizabeth Anscombe, il giornalista inglese Malcolm Muggeridge, il filosofo tedesco della Fordham University, Dietrich Von Hildebrand, e il marxista cofondatore della scuola di Francoforte, Max Horkheimer. Per dirla con le parole di quello stratosferico teologo che è il cardinale Carlo Caffarra, la contraccezione promette di sottrarre la sessualità dai casi seri della vita, senza però riuscire a mantenere tale impegno. Ma è davvero così? Davvero la pillola dei cinque giorni dopo riduce gli aborti?
Scusandomi in anticipo del fatto che dovrò usare un linguaggio piuttosto tecnico, vi darò alcune ragioni per dubitarne. La prima ha a che fare col meccanismo d’azione. Sappiamo che la probabilità di gravidanza per singolo rapporto nelle donne che richiedono le pillole post-coitali è la metà rispetto alla popolazione che cerca una gravidanza: 4% anziché l’8%. Nel 2013 Vivian Brache e collaboratori pubblicano sulla rivista Contraception i dati sull’efficacia di ulipristal nel bloccare o ritardare l’ovulazione per oltre 5 giorni, dunque un autentico effetto contraccettivo, confrontandoli con il levonorgestrel, cioè la pillola del giorno dopo, e col placebo. Mentre il placebo e il levonorgestrel avevano un’efficacia antiovulatoria del 4 e 14,6%, Ellaone, il nome commerciale dell’ulipristal, funzionava nel 58,8% dei cicli.
Nessun organo riporta l’andamento delle vendite del levonorgestrel, dunque non sono in grado di dire se l’incremento di vendite di ulipristal sia avvenuto per spostamento delle richieste dal vecchio al nuovo prodotto, o se invece vi sia stato un complessivo incremento di vendite dei prodotti post-coitali. Quello che è possibile affermare è che, attraverso il solo effetto contraccettivo, i dati di Brache indicano che ulipristal ha un Number Needed to Treat (NNT) di 45,6 nei confronti del placebo e di 56,6 nei confronti del levonorgestrel. Cosa significa? Che per evitare una gravidanza non programmata si deve somministrare ulipristal a 46 donne che non assumono nessun farmaco e a 57 donne che avrebbero assunto levonorgestrel. La letteratura indica che circa la metà delle gravidanze non programmate finiscono in aborto, dunque possiamo stimare che per evitare un aborto si dovrebbe somministrare l’ulipristal ad un numero doppio di donne.
Se le pillole dei cinque giorni dopo fossero composte tutte da nuove utenti, allora il numero di aborti evitati grazie alle 128.304 pillole di Ellaone vendute in più nel 2015 rispetto al 2014 sarebbero potuti essere 1.395 aborti. Se invece si trattasse interamente di un passaggio da levonorgestrel a ulipristal, allora il numero di aborti evitati sarebbe stato di 1.125. Il Ministero però informa che nel 2015 il numero di aborti è calato di 8.339 unità. Dunque l’effetto contraccettivo di ulipristal può avere contribuito in misura soltanto del 13-16% alla riduzione degli aborti registrata nel 2015 rispetto all’anno precedente. Stimando a 240.000 le confezioni vendute nel 2016, le stesse cifre producono una riduzione rispettivamente di 2.063 e 1.665 aborti rispetto al 2015, ma in questo caso manca il dato degli aborti, dunque non è possibile fare valutazioni.
Che i prodotti post-coitali non abbiano alcun impatto a livello di popolazione nel ridurre gli aborti è un dato consolidato della letteratura scientifica. La Francia costituisce un campo sperimentale molto chiaro. Il 1999 è l’anno d’introduzione del levonorgestrel; nel 1998 gli aborti erano stati 195.969 (Rossier C, Pirus C. Population 2007/1 vol. 62). Nell’ultimo rapporto sugli aborti in Francia riferito all’anno 2015 gli esperti dell’istituto nazionale francese di statistica scrivono: “Più di un milione al giorno di pillole del giorno dopo e dei cinque giorni dopo vengono venduti ogni anno dal 2005, una cifra leggermente verso il basso a partire dal 2013”. In effetti il grafico riportato mostra un numero inferiore a 200.000 confezioni nel 1999 che raggiunge 1.200.000 confezioni dal 2005 in poi.
Tuttavia a tale incremento non ha corrisposto alcuna riduzione degli aborti che “sono ogni anno circa 220.000 dal 2002, con lievi fluttuazioni annuali dell’ordine di poche migliaia” (nel 2015 sono stati 218.100). Non si capisce dunque per quale motivo un incremento di pillole post-coitali di portata 4 volte minore registrato in Italia, dovrebbe condurre ad una riduzione degli aborti del tutto assente ed addirittura in crescita in Francia. Tuttavia c’è un aspetto di estrema rilevanza. Ulipristal non agisce soltanto mediante il blocco dell’ovulazione, ma parte rilevante del suo meccanismo d’azione è data dalle modificazioni indotte a livello dell’endometrio, la membrana che riveste internamente l’utero, ostacolando l’annidamento dell’embrione e determinandone la morte.
Questo effetto che, su suggerimento del ricercatore svedese Bent Boving nel 1959 ad un convegno organizzato da Planned Parenthood e Population Council [due giganti di aborto e contraccezione], è stato denominato “contraccezione” proprio per dissimularne la portata morale, è a tutti gli effetti un effetto abortivo. Possiamo chiamarlo intercettivo, microabortivo, criptoabortivo, possiamo chiamarlo con il conte Mascetti “sbiriguda”, ma aborto è e aborto resta a tutti gli effetti, dal momento che abortire significa sopprimere un nuovo essere umano concepito.
Molti dati presenti da anni in letteratura hanno dimostrato i profondi effetti apportati dall’ulipristal sulla mucosa endometriale, ma proprio lo scorso mese, sulla rivista Molecular and Cellular Endocrinology, un team di ricercatori messicani con a capo il Dr. Saúl Lira Albarrán, ha dimostrato mediante indagini genetiche e immunoistochimiche i cambiamenti in senso non recettivo dell’endometrio indotti dall’ulipristal in grado di fornire, nelle parole degli autori, “una plausibile spiegazione della più elevata efficacia contraccettiva del metodo rispetto a quella del levonorgestrel”.
Dunque, se volessi evitare di diffondere “fake news”, direi che la notizia vera è questa: un prodotto assunto dopo rapporti sessuali per non avere figli sta aumentando le vendite; attraverso i suoi meccanismi non abortivi ha concorso alla riduzione degli aborti visibili in misura stimabile tra il 13 e il 16%, mentre attraverso i suoi meccanismi endometriali induce un numero non quantificabile di aborti precocissimi e invisibili.
di Renzo Puccetti | Lanuovabq.it
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