Quando Socrate, il filosofo saggio, passeggiando per i mercati usava dire, nel mentre osservava le numerose mercanzie esposte: «quanto sono fortunato, di quante cose io non ho bisogno» (Aforismi di Socrate), aveva compreso come non sono le cose in se, né tanto meno il loro possesso a cambiare la vita o nel darle valore, ma è il modo in cui le desideriamo e ci leghiamo ad esse a compromettere l’arte del vivere. Allo stesso modo e con linguaggio diretto, Gesù ci invita, quale profondo conoscitore dell’animo umano, a farci “un tesoro in cielo”: «Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore» (Mt 19, 21-22). Con parole semplici esprime il concetto di ansia, di preoccupazione, di paura dell’uomo moderno sempre più afflitto dal desiderio di possesso del di più. Come psicologo devo precisare che il possesso non riguarda solo cose materiali, bensì anche quelle idee, teorie e teorizzazioni sulla vita felice, promessa dai professionisti, dai guru e affaristi senza una propria spiritualità. Si può essere posseduti dal desiderio di potere, di successo, di apparire provocando quella nevrosi del di più (Riccardi P., Ogni vita è una vocazione, ed. Cittadella Assisi 2014) che sfocia in atteggiamento di narcisismo, egocentrismo, esaltazione del se, individualismo.
Da Socrate ad oggi, l’uomo ha avuto gli strumenti per capire come dare valore alle cose e cogliere l’essenziale dalla moltitudine. Ma realmente le ha comprese? Se nuove forme di patologia nomofobia (paura di essere tagliati fuori dalle chat, tipiche degli adolescenti); social Withdrawal e Hikikomori (che consiste nel ritiro fra le mura domestiche e la mancanza di qualunque rapporto sociale reale se non virtuale); per non parlare di tutte quelle dipendenze dai social ed altro definite new addiction, ossia nuove dipendenze, la fanno da padrone.
Anche oggi esistono numerose mercanzie, dagli smartphone ai congegni elettronici all’avanguardia, dai social alle piattaforme multimediale più varie che non cambiano davvero la vita in meglio se ci si lega oltre misura ad esse. Da psicologo e psicoterapeuta ritengo utile fare una riflessione riguardo lo stato del bisogno e della necessità reale nelle parole di Gesù: “Perciò vi dico: «per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?» (Matteo 6:25)”. Il valore è nella vita, non nelle preoccupazioni eccessive per esse. Ci si è mai chiesto che senso ha possedere un’auto di grosse cilindrata se magari non si ha necessità, né reale bisogno di percorrere in fretta grandi distanze? Eppure averla inorgoglisce. Ci si è mai interrogati che senso ha lo smoderato uso del sesso, se quello di cui si ha bisogno è la dimensione dell’amore? Ma farlo è potenza. Si è mai valutato se l’ultimo congegno elettronico di smartphone è realmente sfruttabile in toto? In realtà averlo dà un senso di sicurezza. Basta pensare che la potenzialità dei nuovi congegni elettronici dal tablet agli smartphon sono come il cervello umano, se ne sfrutta solo il 20 per cento. Il superfluo, di cui l’uomo di oggi si lascia accattivare, diventa il boomerang del vuoto esistenziale con vere e proprie nevrosi del di più. Allora non resta che riflettere come liberarsi dal superfluo dei desideri e dei falsi bisogni; «Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno di Dio» afferma la grande verità di Gesù (Mt 5, 3). Non bisogna spaventarsi dalle parole povertà e spirito, si tratta del liberarsi dai condizionamenti umani, terreni, mondani nei quali affidiamo il nostro vivere, per scoprire la libertà di coscienza, di conoscenza e di orientamento verso la ricerca della verità in Dio. Povertà in spirito diventa sinonimo di libertà interiore per l’arte del vivere.
Pasquale Riccardi
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