Echi biblici attraverso una pietra spezzata

Una stele di basalto nero, rinvenuta nel deserto della Giordania, riporta un’iscrizione con il primo uso conosciuto del nome di Yahweh (uno dei nomi di Dio nell’Antico Testamento).

Tor Tjeransen – Un francese di nome Frederick Klein fu il primo europeo a vedere la pietra. Purtroppo, fu anche l’ultimo a osservare la stele[1] integra. La pietra è ora esposta al museo del Louvre a Parigi e, se lo visitate, noterete che è stata rotta in molti pezzi. Non si è trattato di un evento naturale o di un incidente: la stele è stata danneggiata di proposito dai beduini (gruppo nomade originario del deserto israeliano del Negev).

Nonostante il suo stato frammentario, è ancora un elemento storico estremamente rilevante. L’archeologo Siegfried Horn ha dichiarato: “È un monumento antico la cui importanza è difficilmente superabile”. Oggigiorno, la distruzione di beni culturali non solo è considerata un crimine, ma è vista da molti come un attacco al passato dell’umanità. Sentimenti che non si provavano quando i beduini di Dhiban decisero di distruggere la pietra.

Una storia di distruzione 
Frederick Augustus Klein era un missionario anglicano che iniziò il suo ministero in Israele nel 1851. Nel 1868 viaggiò a cavallo in Giordania, fino al villaggio di Dhiban che si trova quattro chilometri a nord del Wadi Mujib, un profondo canyon dove il fiume biblico Arnon scorre verso il Mar Morto. Quando arrivò sul luogo, gli fu mostrata una stele alta circa un metro, poggiata per terra, recante un testo inciso. Klein controllò la parte posteriore per vedere se c’era un’iscrizione anche su quel lato, ma era assente.

Si rese conto che la pietra era un oggetto importante e il Museo di Berlino cercò di acquistarla dai beduini che vivevano nella zona, questi chiesero però un prezzo incredibilmente alto. Francia, Gran Bretagna e Germania iniziarono una competizione per recuperare la stele. Alla fine, il governo turco intervenne ed era pronto a inviare i soldati per rivendicare la stele con la forza. I beduini erano così infuriati che la ruppero riscaldandola con il fuoco e versandovi sopra acqua fredda. I pezzi furono distribuiti tra le varie famiglie del villaggio.

Nel corso degli anni, tre persone sono riuscite a ottenere 57 frammenti della pietra, che rappresentano circa due terzi dell’originale. Rimettere insieme i pezzi sarebbe stato un compito molto difficile se non fosse che nel 1869 un tale Yacub Karavaca avesse preso l’impronta dell’iscrizione premendo della carta bagnata sul monumento e staccandola dopo che si era asciugata. Purtroppo, non era di ottima qualità perché, mentre prendeva il calco, scoppiò una rissa tra i beduini e Karavaca dovette strappare la carta prima che fosse asciutta, per salvarsi la vita con la fuga. Anche se la carta bagnata si è strappata in diversi pezzi, è diventata la guida per mettere insieme i frammenti di pietra e determinare quale fosse il resto dell’iscrizione.

Oggi, questa lastra di basalto è conosciuta come “pietra moabita” o “stele di Mesha”. Entrambi i nomi si riferiscono a Mesha, il re moabita che fece realizzare il monumento e l’iscrizione.

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